Sempre più teatro in affitto per le celebrazioni dei super ricchi, la città lagunare divenuta ormai punta di diamante della turistificazione globale si svuota, protesta e rischia di perdere la possibilità di decidere del proprio futuro. La comunità è divisa, tra chi attacca l’amministrazione Brugnaro per aver abdicato a qualsiasi politica di residenzialità pubblica e chi considera eventi simili come una grande opportunità e i turisti con minor disponibilità economica come una scocciatura. Intanto sull’elezione del sindaco conta sempre di più chi vive sulla terraferma
Cinque yacht per attraccare, dieci milioni di dollari di budget, tre giorni di festa nei luoghi più esclusivi. Tra pochi giorni Jeff Bezos, fondatore di Amazon e terzo uomo più ricco del mondo, sposerà la giornalista Lauren Sánchez. Ma la vera protagonista è Venezia, sempre più teatro in affitto per le celebrazioni dei super ricchi. Dietro la vetrina, però, c’è una città che si svuota, protesta e rischia di perdere non solo i suoi abitanti, ma anche la possibilità di decidere del proprio futuro.
«Venezia, nel corso della sua storia, ha sempre saputo costruire e vendere un’immagine di sé: prima con il Carnevale, poi con il mito della Repubblica Marinara e infine con l’idea di una città libera e trasgressiva. Oggi queste narrazioni non bastano più: la città si propone sempre più come scenario perfetto per le storie d’amore delle celebrità internazionali», spiega a Domani Giovanni Semi, docente di Sociologia urbana all’Università di Torino.
Nonostante il massimo riserbo sull’evento, le informazioni continuano a trapelare: gli sposi saranno in città dal 26 al 28 giugno per una tre giorni nei luoghi più esclusivi. Si parla di un budget da dieci milioni di dollari, con la celebrazione prevista venerdì 27 sull’isola di San Giorgio Maggiore e la grande festa di sabato 28 alla Scuola Grande della Misericordia.
La scelta di Venezia come location ideale è il risultato di un lungo lavoro dietro le quinte dell’amministrazione Brugnaro e in particolare del direttore generale del Comune, Moris Ceron. Non sono mancate le polemiche su un possibile conflitto di interessi: la Scuola Grande della Misericordia è stata concessa in gestione nel 2009 a una società collegata al gruppo Umana, riconducibile allo stesso Brugnaro.
Un conflitto che il sindaco ha provato a disinnescare affidando le sue imprese a un blind trust con sede a New York, sul quale sostiene di non avere alcun controllo. Nonostante questo, a maggio Brugnaro è stato rinviato a giudizio dalla procura di Venezia nell’ambito dell’inchiesta Palude, proprio in relazione alla gestione della Scuola e di altri immobili.
La città che si ribella
Una parte della comunità veneziana contesta apertamente le politiche dell’amministrazione: «Gli oligarchi non sono benvenuti a Venezia, così come non è possibile immaginare una città messa a disposizione dei super ricchi, sacrificando la vivibilità per i residenti», afferma Alice Bazzoli, portavoce della rete No Space for Bezos.
Nelle ultime settimane le azioni del comitato hanno avuto eco internazionale: manifesti in tutta la città, striscioni sul campanile di San Giorgio, in piazza San Marco e in altri luoghi chiave. Per sabato 28 giugno è prevista una grande manifestazione: «Useremo i nostri corpi per impedire che Bezos possa festeggiare il suo matrimonio, gli faremo andare la torta nuziale di traverso», scrive la rete in un comunicato.
Il matrimonio di Bezos riaccende il dibattito sul turismo a Venezia. La città è la punta di diamante della turistificazione globale: porta all’estremo dinamiche come lo spopolamento, la pressione internazionale e la patrimonializzazione degli spazi urbani.
Il sindaco Brugnaro da mesi insiste sul grande indotto che eventi come il matrimonio di Bezos porteranno alla città. Anche nel dibattito pubblico c’è chi considera questi eventi una grande opportunità. In parte della popolazione residente si fa strada l’idea che i viaggiatori con meno disponibilità economica siano indesiderabili e che Venezia debba essere riservata alle élite internazionali.
«Si tratta di una visione classista e distorta», avverte Semi. «Il turismo internazionale è un fenomeno globale e inevitabile: non possiamo scegliere chi arriva, né pensare di fermarlo». Secondo il docente di Sociologia urbana, è anche un’illusione credere che la ricchezza di eventi come quello di Bezos possa ricadere sui cittadini: «La teoria del gocciolamento della ricchezza è indifendibile: non è vero che, se arrivano super ricchi e spendono di più, questi dieci milioni di euro torneranno ai veneziani. Non ci si illuda su questo».
Una proposta concreta, suggerisce, sarebbe introdurre una tassa specifica per i miliardari che scelgono Venezia per i loro eventi. «Bezos guadagna 13 milioni di dollari l’ora. Fargli pagare 60 milioni di euro per entrare a Venezia non sarebbe una follia: sarebbe una politica redistributiva. Ma l’amministrazione non ha alcun interesse a sostenerla».
Intanto, per i residenti, la città ha sempre meno da offrire: «Venezia affonda sotto il peso di un’economia consacrata al turismo sfrenato, per colpa di un’amministrazione che ha abdicato a qualsiasi politica di residenzialità pubblica», spiega ancora Bazzoli. Secondo i dati dell’Osservatorio Ocio, al 31 dicembre 2023 il patrimonio abitativo pubblico era di circa 10.435 unità, gestite tra Comune e Ater. Un patrimonio che si è ridotto negli anni: nel 2017 gli alloggi erano 10.717, trecento dei quali persi in sei anni, tra demolizioni non compensate e politiche di vendita.
Dietro a questa erosione c’è un disinvestimento crescente nell’edilizia pubblica e un sottofinanziamento cronico per recupero e manutenzione.
La rappresentanza politica che manca
I super ricchi festeggiano, i residenti fanno le valigie. Alla radice di tutto, però, c’è anche un problema di rappresentanza. Al 31 dicembre 2024, i residenti nella città storica sono circa 48.400, contro i quasi 252.000 abitanti dell’intero Comune. Di fatto, il sindaco viene eletto da chi vive in terraferma.
Questo squilibrio produce amministrazioni che non rispondono più ai bisogni della città lagunare, ma puntano solo alla produttività e agli interessi degli investitori.
«Si eleggono sindaci sempre più aggressivi e interessati solo alla produttività della città, piuttosto che ai residenti. I tentativi di scindere Venezia amministrativa dall’entroterra sono falliti, e se qualcosa non cambia, questo sembra essere il destino della città», spiega Semi.
Oggi Venezia non ha più voce in capitolo su sé stessa. E forse, prima ancora che la città affondi sotto il peso della crisi ambientale, rischia di scomparire la sua stessa capacità politica di provare a cambiare le cose.
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