Il blocco della lega all’introduzione del concetto di consenso nel reato di violenza sessuale ha rivelato la vera postura del governo, che emerge nel ddl Valditara sul «consenso informato» in ambito scolastico. Tra «educare al rispetto della donna» ed educare al consenso, cioè l’educazione sessuo-affettiva completa, la distanza è enorme, ed è tutta politica
Il naufragio della riforma del reato di stupro – affossata dai voti della Lega – ha avuto almeno un merito: esplicitare la postura del governo sulle violenze di genere. La proposta puntava a introdurre il mancato consenso come elemento centrale nei processi per violenza sessuale, superando, in linea con il resto d’Europea, l’obbligo di dimostrare minaccia o costrizione.
Il rifiuto della maggioranza conferma che l’Italia continua a non applicare la Convenzione di Istanbul – ratificata più di dieci anni fa – e che il peso della violenza resta sulle spalle delle persone che la subiscono, alimentando la vittimizzazione secondaria.
È un messaggio coerente con l’altra partita in corso: il ddl Valditara 2423 sul «consenso informato» in ambito scolastico, che tornerà alla Camera la prossima settimana. Un disegno di legge che vieta l’educazione sessuo-affettiva nelle scuole dell’infanzia e primaria e la sottopone al consenso delle famiglie nelle secondarie. Il tutto mentre l’Italia rimane uno dei fanalini di coda europei sulle disparità di genere.
Nel frattempo il ministro rivendica le nuove Linee guida per l’educazione civica, presentate la scorsa primavera come una svolta per educare al «rispetto della donna». Dal prossimo gennaio diventeranno corsi online di Indire per docenti. Ma la domanda cruciale è: quale modello educativo verrà portato nelle scuole?
Il modello educativo
Perché tra «educare al rispetto della donna» ed educare al consenso, come lo intende quella che la ricerca e le raccomandazioni internazionali chiamano educazione sessuo-affettiva completa (Comprehensive Sexuality Education), la distanza è enorme, ed è tutta politica.
L’educazione sessuo-affettiva lavora sul consenso come competenza relazionale complessa: significa dare alle persone giovani gli strumenti per nominare ciò che si desidera e cosa no, per riconoscere confini e segnali d’allarme, per leggere le dinamiche di potere. Significa affrontare stereotipi, linguaggi, identità di genere, orientamenti sessuali, rappresentazioni dei corpi, emozioni. È un approccio intersezionale e non eterosessista, che riconosce come la violenza non nasca dalla devianza individuale o da un raptus, ma dalla stratificazione di disuguaglianze, da modelli culturali che assegnano ruoli e gerarchie.
L’«educazione al rispetto della donna» evocata dal ministro si muove invece in un altro campo. Parla di comportamenti appropriati, ruoli maschili e femminili considerati naturali, di un rispetto che somiglia alla galanteria più che alla trasformazione culturale. In questo paradigma, l’uomo è tenuto a “trattare bene” la donna, rappresentata come un’entità altra, omogenea, debole e incapace di intendere e volere.
Quello proposto dal ministro è un modello moralistico che oltre a riprodurre un immaginario profondamente sessista e binario, riduce la violenza a un problema di educazione individuale, ignorando un sistema che normalizza la mascolinità dominante e marginalizza tutte le soggettività fuori dal binarismo di genere e dall’eterosessualità.
La distanza tra i due approcci diventa evidente guardando ai fatti. La vicenda del Liceo Giulio Cesare, con la “lista degli stupri” scritta sui muri, lo mostra con spietatezza. Che cosa dovrebbe prevenire un corso ministeriale? Che non si imbrattino le pareti o che non si costruiscano le condizioni culturali per immaginare una lista di ragazze da violentare?
L’iniziativa della rete
È esattamente questo terreno che l’educazione sessuo-affettiva prova a scardinare, ed è per questo che nei prossimi giorni approderà in molte città italiane un ordine del giorno promosso dalla rete Educare alle differenze che chiede il ritiro del ddl e riconosce e difende i percorsi di educazione sessuo-affettiva già in atto.
L’odg invita i comuni a sostenerli nonostante il clima di sospetto, a coinvolgere l’Anci in un confronto diretto con il ministero e a chiedere ai parlamentari una posizione chiara. È un atto politico importante anche dove non passerà: afferma che la difesa della scuola, dei diritti e dell’educazione non è negoziabile. E ricorda che la cultura del consenso non nasce per decreto, né con la galanteria tanto cara al ministero.
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