Isoliamo due casi recenti che hanno fatto rumore e che ci istruiscono a proposito delle distorsioni del dibattito pubblico: l'epiteto di “cortigiana” di Donald Trump affibbiato da Maurizio Landini a Giorgia Meloni e le parole di Elly Schlein ad Amsterdam sulle minacce delle destre estreme alle democrazie, messe in relazione con l'attentato al giornalista Sigfrido Ranucci.

Che Landini abbia usato una espressione offensiva e fuori luogo è cosa sicura e avrebbe fatto bene a scusarsi. Ma onestà intellettuale esigerebbe che la legione dei censori non facesse finta di intendere quella parola, ripeto, sbagliata, come se avesse un significato letterale e sessista. Il suo senso era chiaramente politico: quello di una subalternità politica a Trump. E di questo soprattutto si dovrebbe discutere. Questione, si converrà, più seria del difetto di padronanza lessicale da parte di Landini.

Solo qualche giorno dopo, in un post del presidente Usa che non ha avuto il rilievo che merita nella stampa nostrana, lo stesso Trump ha gratificato la nostra premier di sperticati elogi per due ragioni: avere fatto da sponda ai dazi in una logica di scambio a due (contro la regola che ne attribuisce la competenza alla Ue) e, più in genere, di adoperarsi per dividere l'Europa, che è notoriamente tra gli obiettivi strategici di Trump. Scusate se è poco, per il contenuto e per il rilievo della fonte.

Anche il caso Schlein-Ranucci è interessante al riguardo. Ovvio che la segretaria Pd non stabilisse un nesso tra il governo e la bomba, che non accusasse Meloni quale mandante. La sua tesi era palesemente altra. Ovvero che le destre estreme rappresentano un problema per le democrazie. Lo si può negare? Comunque è di questo che si dovrebbe discutere. Non è un interrogativo plausibile? Negarlo o esorcizzarlo sarebbe come misconoscere una delle più macroscopiche questioni di questo tempo ovvero la crisi delle democrazie, la contrazione del loro numero, la proliferazione delle autocrazie e del sovranismo. Possiamo noi considerarci del tutto immuni da tali derive?

Facciamo un sommario ripasso: si pensi ai rapporti conflittuali con la magistratura, alle riforme costituzionali in cantiere, a cominciare da quella ("madre") del premierato, al fastidio (appunto) per la libera informazione e, in particolare, per il giornalismo di inchiesta (sempre più raro), allo stesso assetto dell'editoria con la concentrazione di tre testate governative nelle mani di un editore deputato della destra (Antonio Angelucci), alla occupazione militare della emittente pubblica, alle restrizioni per la libertà delle manifestazioni e al decreto sicurezza, al vittimismo aggressivo mirato a polarizzare lo scontro chiaramente orchestrato da palazzo Chigi, allo sdoganamento e alla sfrontata ostensione di gruppi neofascisti con i loro riti e le loro simbologie. Sono tutte invenzioni di natura paranoica?

A fronte di tali e tanti segnali si minimizza, si fraintende intenzionalmente, ci si concentra sul dito e non sulla luna. O anche solo si sdottoreggia se convenga o meno alle forze democratiche tematizzare il problema. Sintomatica la stampa mainstream sedicente indipendente e i suoi editorialisti. Ha ragione chi osserva che la prima e più insidiosa minaccia alla libertà di stampa è da attribuire all'autocensura dei giornalisti, a un conformismo che talvolta si spinge sino al servilismo.

Come altrimenti giudicare lo sport nazionale praticato dalla suddetta stampa di concentrare i suoi strali sui limiti delle opposizioni e di indossare i guanti bianchi con le forze di governo? Attaccare le prime non costa nulla, non così le seconde.

Così pure è difficile non avvertire una dose di ipocrisia nella universale solidarietà espressa a Ranucci. Non c'è bisogno di spingersi sino a sospettare congiure politiche contro di lui e la sua squadra. Bastano due dati eloquenti: il trattamento riservatogli in Rai e la matrice delle centinaia di querele temerarie di cui è fatto oggetto.

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