Chi è Evgeny Prigožin e cosa rappresenta davvero in Russia? Gli applausi e gli abbracci che hanno accompagnato la ritirata della Wagner da Rostov devono far riflettere. Nella millenaria storia russa convivono nel profondo dell’animo popolare due sentimenti opposti: il rispetto e il timore per il potere costituito (per quanto autoritario sia), e l’amore per coloro che si sacrificano per la patria, soprattutto se “piccoli” e in opposizione al potere.

Si tratta di due atteggiamenti che possono coesistere perché ruotano entrambi attorno al legame viscerale dei russi con la “santa madre Russia”: terra, sangue, storia, religione e nazione. In molti discorsi di Prigožin abbiamo ascoltato rivendicazioni patriottiche: mentre i dirigenti si nascondono a Mosca, la Wagner difende con il suo sangue la santa madre nel momento del pericolo. Ancora oggi continua a farlo. All’interno della costruzione propagandistica architettata per giustificare l’aggressione all’Ucraina, molti russi percepiscono questo messaggio come vicino, tanto più se sono degli ex galeotti a propagarlo.

La costruzione dell’eroe

Matteo Pugliese su queste pagine ha ben descritto la composizione della Wagner (e non solo). È interessante comprendere come Prigožin (lui stesso un ex detenuto) sia riuscito a renderli accettabili agli occhi dell’opinione pubblica, grazie al sacrifico del sangue. La gente è convinta che hanno dato il loro sangue per una causa più grande: la patria comune. Vanno quindi rispettati. Lo stesso Prigožin in una delle sue innumerevoli intemerate ha preso di petto i russi stessi: «O in prima linea ci vanno i vostri figli o i miei eroi della Wagner. Decidete!».

Chi combatte per la patria, anche se ha avuto un passato turbolento, è degno del rispetto dovuto agli eroi. Prigožin è riuscito ad apporre sui suoi mercenari la consacrazione del patriottismo. In qualche modo si sono guadagnati il diritto di contestare il potere grazie ai sacrifici fatti: la prova è che (per ora) non vengono puniti.

Chi tra gli occidentali ha pensato di poterli usare contro il Cremlino si sbaglia: se conquistassero il potere sarebbero ancora più inflessibili degli attuali decisori. La competizione tra Prigožin e il presidente Vladimir Putin si svolge attorno al tema del patriottismo: cioè su chi riesce ad interpretarlo meglio agli occhi dei russi, risultando più credibile. Malgrado la fine della rivolta, la questione resta aperta.

Lotta di patriottismo

Prigožin ha strappato un velo: ora l’onere della prova (patriottica) tocca ai dirigenti di Mosca. Per questa ragione gli ultimi discorsi del leader russo girano attorno allo stesso tema: pur accusando il suo ex cuoco di tradimento, ha definito i Wagner come “eroi”. Nemmeno Putin può andare contro il sentimento popolare e Prigožin lo sa: i Wagner si sono conquistati tale diritto. Si giunge al paradosso che Ucraina o occidente c’entrano ormai poco con tutto questo: la sfida è sull’amor patrio. Fino ad ora il sostegno popolare a Putin è stato quasi unanime grazie allo spirito patriottico che rappresenta nel quadro della ricostruzione storico-politica operata (quella che l’occidente non condivide).

La rivolta dei Wagner ha rotto una specie di incantesimo e il futuro ci dirà quali saranno le conseguenze. Gli occidentali possono capire solo parzialmente tale sentimento popolare, che talvolta può sembrare esagerato o apparire artefatto e propagandistico. Eppure anche nella storia europea ci sono stati momenti simili e cieche retoriche dello stesso tipo. Davanti a tali  pericolose manipolazioni la prudenza è d’obbligo. È significativo che nelle ore del tentato golpe la leadership occidentale si sia schierata rapidamente per la “non ingerenza” negli affari interni russi.

Dopo oltre 16 mesi di retorica bellicistica, è come se un brivido avesse attraversato le cancellerie occidentali: se la Russia esplode le conseguenze potrebbero essere fatali per tutti. Salvo l’eccezione di alcuni paesi dell’est Europa, Polonia in testa, europei e americani stanno diventando più cauti, assillati dal timore di vedere armi nucleari cadere in mano a chissà chi.

Ordine e realismo

Chi ha sostenuto il negoziato sin dall’inizio della guerra pensa esattamente questo: meglio trattare con un Putin che trovarsi davanti a numerosi e sconosciuti signori della guerra. D’altronde si sono già viste le conseguenze di tale involuzione in Iraq o in Libia. Le ipotesi del regime change o dello spezzare la Russia per punirla, sono irresponsabili: giocare contro il patriottismo russo può provocare enormi danni. Malgrado il ritiro della Wagner, l’esilio di Prigožin sembra finto e la crisi ancora in atto.

In Russia vi sono almeno una mezza dozzina di agenzie di contractor militari, come i Redut o i Patriot. Lo stesso esercito regolare ha creato varie unità sul modello Wagner. Infine ci sono le milizie etniche come i ceceni di Kadirov e così via. Che effetto avranno a lungo termine le critiche sulla guerra dirette contro il ministro della difesa e i suoi generali? Alcuni tra questi sono già usciti di scena.

Prigožin si è spinto fino a smontare le ragioni dell’aggressione all’Ucraina anche se ciò non lo rende più vicino alla sensibilità occidentale. Ma le sue parole non favoriscono certo il reclutamento generale di cui Mosca ha bisogno per continuare a sostenere il conflitto. La competizione intestina al potere russo può produrre un indurimento di posizioni o scelte scellerate. Prima dell’irreparabile l’occidente deve trovare una via di uscita politica che riporti all’equilibrio delle forze.

Come ha scritto Thomas Friedman sul New York Times: «Detesto Putin ma detesto  ancor più il disordine, perché quando un grande stato si disintegra è molto difficile rimetterlo in piedi di nuovo. Le armi nucleari e la criminalità potrebbero fuoriuscire da una Russia disintegrata e cambiare il mondo… Putin ha preso il mondo intero in ostaggio. Se vince, il popolo russo perde. Ma se perde e il suo successore si chiama disordine, a perdere è il mondo». Non ci piacerà ma il realismo della politica è l’unica via prima che sia troppo tardi. 

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