La pasta burro e parmigiano condivisa a Campegine è stata un anticipo di quella Liberazione che i fratelli non avrebbero mai visto. Quest’anno diventa un gesto e un simbolo di solidarietà nei confronti dei civili che a Gaza sono vittime di chi usa il cibo come arma di guerra
Un piatto di pastasciutta, un simbolo potente, umano e politico, di Liberazione, ieri e oggi.
Erano nei campi, i Cervi, quando arrivò la voce che Benito Mussolini era stato arrestato. Era al capolinea, ma il peggio doveva venire.
I Cervi erano pronti, sempre vigili, pensarono la cosa più bella e pacifica: un piatto di pastasciutta, condita con burro e parmigiano reggiano, presi a prestito al caseificio, portata in piazza a Campegine. Per tutti. Dicono anche che c’era uno, ai margini della piazza, con la camicia nera. Gelindo si avvicinò e gli disse: «Vedi come ti ha ridotto il regime, con questa camicia. Vieni e mangia con noi».
Era l’anticipo del 25 aprile, che i Cervi non vedranno.
Quando sarebbe arrivata la Liberazione per tutti, «per quelli che c’erano, per quelli che non c’erano, e anche per quelli che erano contro», come dirà Bulow, il comandante dei partigiani di Ravenna Arrigo Boldrini.
La luce
Ottantadue anni dopo la Repubblica, nata da quella Liberazione, non è ancora riconosciuta da tutti come figlia della scelta antifascista. Non la riconosce neppure chi è al governo del paese, come se la storia italiana fosse incompiuta.
Nella Repubblica del popolo sovrano, ormai la metà del popolo sembra rinunciare alla sua democrazia. Questo siamo, 82 anni dopo la pastasciutta dei Cervi.
In quella pastasciutta c’era la storia nuova che sognavano: la fine della guerra, la libertà, la democrazia, una nuova Costituzione. Tanti erano morti per questo, da don Giovanni Minzoni a Giacomo Matteotti, tanti erano stati incarcerati, mandati al confino, uccisi. Milioni mandati in guerra.
La pastasciutta di quel 27 luglio 1943, nella piazza di Campegine, era il gesto gratuito contro i soprusi e le violenze, la solidarietà contro le divisioni, la pace contro la guerra.
Il mappamondo sul trattore, la pastasciutta antifascista, simboli ormai entrati nella storia. Quando la notte attraversava la vita delle persone e dell’intera umanità, c’era chi teneva accesa la luce.
Resistere
Oggi, chi resiste?
Mentre noi prepariamo la pastasciutta, a Gaza si muore, si muore per il cibo, per l’acqua. Muore la popolazione civile. L’opposto della scelta dei Cervi. Oggi il cibo usato come arma di guerra, ieri il cibo come promessa di pace.
Le nostre pastasciutte, in questo 25 luglio 2025, più di trecento in Italia, altre nel mondo, in Europa, negli Usa, a Cuba, in Brasile, non potranno non essere per Gaza. A loro arriverà il nostro aiuto, attraverso Emergency.
Ma non basterà. Dove e come si esprime oggi la volontà dei popoli per il cessate il fuoco, l’ingresso degli aiuti umanitari, la strategia politica dei negoziati per la pace? In Medio Oriente, in Ucraina, in Myanmar, in ogni altra parte del mondo?
Rimarremo impotenti, indignati forse ma immobili, alla fine schiavi dei poteri oligarchici della politica, dell’economia, della finanza, della tecnologia, delle armi, della comunicazione, strettamente nelle mani di pochi? Fino a quando lasceremo che essi, in nome nostro, calpestino diritti, umanità, democrazia? Dov’è la politica, dov’è la cultura, dov’è l’informazione, dov’è l’opinione pubblica che resiste e che, come la pastasciutta dei Cervi, tiene accesa la luce nel buio della notte? Dov’è l’Europa della politica, del diritto, della pace?
Una pastasciutta impegnativa più che mai, quella di quest’anno. Come quella dei Cervi, allora, che squarciava il muro della storia con la forza del cambiamento, dal basso. A Casa Cervi, in questi giorni, ci sono i giovani di Libera, da ogni parte d’Italia, per il loro Campo Nazionale. La lotta di Liberazione continua, su tutti i fronti.
Nei piatti della pastasciutta antifascista, in queste sere, c’è la speranza dell’Italia e dell’umanità intera. L’unica possibile.
Ci sarà sempre, nella storia, la pastasciutta dei Cervi, per tutti.
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