(Puntate precedenti. Maremma, settembre1985. Il giovane cronista Leo è a un bivio. L'amico Giorgio S. è sparito nel nulla. La maledizione della sua famiglia di “scribacchini falliti” incombe. E tra le mani scotta il manoscritto inedito di Italo Calvino. Chi potrà aiutarlo a sciogliere questi nodi? Un inatteso alleato americano: Gore Vidal…)


Inappuntabile nel suo abito grigio di seta, solo la cravatta leggermente allentata, lo scrittore americano Gore Vidal mi aspettava al Roccamare Resort disteso su una sdraio a bordo piscina, come un imperatore dell'antica Roma. Si era fatto portare due drink color pastello in bicchieroni guarniti di cannucce, ombrellini di carta, chicchi d'uva, fette di ananas e spicchi di mela infilzati in lunghi stecchini di legno.

«Venga qui a rifocillarsi. Dopo un funerale è la cosa più saggia da fare» disse indicandomi la sdraio accanto alla sua.

Una valigetta, un cocktail e un pezzo da scrivere

Mi lasciai andare sulla sedia e poggiai per terra la valigetta ventiquattrore.

«Ha mai assaggiato il Sophia, il cocktail della casa?». Guardai la piscina. Era davvero a forma di piede, quello dell'attrice, come un'impronta lasciata sulla battigia. Sentivo che mi saliva l'ansia, dovevo scrivere il pezzo, l'ultimo su Calvino, il racconto della sua sepoltura. Anche se sapevo che con lui non finiva lì, anzi, cominciava allora. La valigetta posata accanto a me era il detonatore di quella nuova storia.

«Mentre venivo in macchina, immaginavo un raccontino da scrivere su questa piscina» disse Vidal. «Una bellissima attrice sposa un produttore più vecchio di lei, il quale le regala una villa in Maremma con una piscina che riproduce l'orma di lei».

Lo interruppi: «Ma questa è la storia vera di Sophia Loren e Carlo Ponti e di questo posto». Vidal sbuffò. «Mi lasci finire. L'attrice molla il produttore che resta inconsolabile nella villa a fissare la piscina a forma di piede con uno sguardo adorante da feticista. Non esce più, sta tutto il giorno in pigiama, non si taglia la barba, non risponde al telefono, licenzia la servitù, si nutre unicamente di patatine fritte da supermercato, beve il bevibile e l'imbevibile. Poi una mattina si alza, fa una doccia lunghissima, si rade, indossa il suo completo migliore e si avvia verso la piscina con una coppa di champagne in mano, ci entra dentro vestito di tutto punto e si dirige a passi lenti da palombaro dove l'acqua è più profonda…».

La storia della valigetta

Vidal smesse di raccontare. «Lei non mi sta ascoltando e ha ragione. Non è certo venuto qui per sentire le mie elucubrazioni. Mi scusi, deformazione professionale. La prego, mi dica la storia di questa valigetta da cui non si stacca mai. Però prima prendiamoci un altro drink». Fece roteare un dito rivolto al barman che stava nella sua postazione in fondo alla piscina, più o meno in corrispondenza dell'alluce della Loren, come una sentinella nella garitta. Dopo che il barman portò gli altri due Sophia,feci scattare la combinazione ed estrarre il manoscritto dalla ventiquattrore.

«E quello?» chiese Vidal. «Un romanzo» risposi. «Suo?» domandò con l'aria delusa e annoiata che si dipinge sulla faccia di tutti gli scrittori quando capiscono di trovarsi di fronte a un aspirante collega. «No, è il romanzo inedito di Italo Calvino».

Ora Vidal non era più disteso mollemente sulla sdraio come un antico romano sul triclinio. Si era tirato su. Guardandolo capii per la prima volta il significato vero dell'espressione «avere l'acquolina in bocca».

Mangiai uno spicchio di mela dallo spiedino. Avevo bisogno di raccogliere le idee. Che ci facevo lì? Mi ricordai uno dei tanti magheggi di cui Giorgio S. amava dilettarsi. Sosteneva che le canzoni di Ornella Vanoni contenevano tutte le risposte, erano un prontuario da consultare quando non si sapeva che pesci pigliare. In quel momento mi sembrò di sentire la voce inconfondibile, sensuale, un po' adenoidea, che cantava: «Accettare questo strano appuntamento è stata una pazzia». Per un attimo credetti che la cantante si stesse esibendo al pianobar del resort.

Lunghe storie da ascoltare a cena

Fu allora che ebbi la sensazione che a Giorgio S., il mio grande amico di cui non avevo più notizie da settimane, era successo qualcosa di brutto. E che, comunque, dal posto in cui si trovava, non aveva smesso di proteggermi, di mettermi in guardia, di farmi pervenire consigli, come aveva appena fatto con la canzone della Vanoni. Ma il potere di sorvegliare da lontano le persone care non è un potere che hanno soltanto coloro che sono morti? Scossi la testa per liberarmi di questo pensiero come un cane si scrolla di dosso la pioggia. «Mi racconti tutto» disse Vidal. «È una lunga storia» risposi. «Non ho proprio tempo. Mi scusi, devo scrivere l'articolo per il giornale e sono già in ritardo».

Mi guardò costernato, come se gli avessi gettato di colpo in faccia il contenuto del bicchiere che tenevo in mano. Riprese subito il controllo della situazione. «Quanto tempo ci mette a scrivere l'articolo?». «Un paio d'ore».

Scusa, strafottente. «Troppe. Le do una mano io e ce la caviamo in mezz'oretta. Facciamo così. Ci leviamo di torno l'articolo e poi lei mi racconta tutto, magari a cena che è il momento migliore per le storie. Che ne pensa?».

Un articolo che emozione

Nemmeno venti minuti. Questo fu il tempo che impiegammo a scrivere l'articolo. Fece tutto Vidal. Cominciò dal cataclisma che si era abbattuto sul Messico il giorno in cui Calvino si era spento e finì con il pugno di terra gettato sulla bara.

Lo dettai per telefono ai dimafoni del giornale. La dimafonista scoppiò in lacrime a metà pezzo. E mi ricordai una cosa che diceva sempre Giorgio S.: «Saprai che sei diventato un vero giornalista la volta in cui dettando un pezzo farai piangere la dimafonista».

Ma non c'era nulla di cui andare orgogliosi, non erano merito mio quelle lacrime.

Il momento tanto atteso 

A cena, partii da lontano, dalla maledizione che affliggeva la mia famiglia di scribacchini. Poi misi al corrente Vidal dello scambio di manoscritti con Calvino. Una specie di permuta. Io gli avevo dato quello di mio padre sulla storia d'amore di Calvino con una famosa diva del cinema, e lui mi aveva consegnato il suo romanzo pop inedito in unica copia. Dissi a Vidal del brillio quasi luciferino che aveva visto negli occhi dello scrittore al momento del passaggio dei manoscritti dalle mie mani alle sue e viceversa. Lui annuì, come se conoscesse già quel particolare. Eravamo rimasti soltanto noi nella sala ristorante. Vidal ordinò due cognac: «È il momento di aprire il manoscritto. Mi legge qualcosa». Presi la prima pagina dalla valigetta e mi schiarii la voce: «Fortunio Chaya era morto. Era accaduto a Recife, dove si trovava ospite di Domitilia de Castro, la giovane vedova unica erede del multimiliardario tedesco Helmuth Springer, pronta a cedere metà del suo patrimonio alla celebre rockstar latinoamericana in cambio di un week end d'amore». Mi fermai e guardai Vidal con gli occhi sbarrati. «Cosa succede, amico mio?» chiese lui.

Di chi è il manoscritto?

«Non capisco» balbettai. «Questa non è la storia raccontata nel manoscritto di Calvino. Ormai la conosco a memoria. Le somiglia, ma non è lei. Sono cambiati nomi, circostanze». Vidal corrugò la fronte. «Rimetta il manoscritto nella valigetta. La chiuda e poi la riapra e legge nuovamente la prima pagina». Obbedii con gesti da automa. Iniziai a leggere la pagina uno. «Tutto per me cominciò con un pacchetto di sigarette, Stuyvesant per la precisione. Le fumava Gloria. La cosa mi disturbò. Era un tratto snob. Dico, abbiamo più o meno la stessa età, siamo entrambi della generazione delle Marlboro, se proprio deve trattarsi di tabacco. Per me lo faceva per il nome, Peter Stuyvesant è proprio un bel nome». E adesso da dove spuntava fuori questo Peter Stuyvesant? E chi era questa Gloria? «Non è il manoscritto di Calvino. Qualcuno deve aver sostituito» dissi. «Invece, penso proprio che sia puro Calvino» replicò Vidal.

«L'ultima sua magia. Un libro che ogni volta che lo si apre è diverso». Non capivo più niente. «Rimetta i fogli dentro, chiuda con la combinazione e poi li ritiri fuori. Abbiamo tutta la notte davanti». Sembrava certo del fatto suo. Seguii le istruzioni e alla fine tirai fuori la pagina uno e lessi. «Il giorno dell'incontro è giunto. Il campione del mondo in carica sale sul ring. Al primo colpo di gong avanza incerto sul quadrato. L'avversario, un cubano di grande eleganza stilistica, fa un balzo e gli mormora all'orecchio: “Mi sono fatto tua moglie”. Poi schiude le labbra e gli mostra il paradenti, una specie di sorriso pieno di schermo…».

(Fine della venticinquesima e ultima puntata)


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