Ripubblicare oggi un libro di vent’anni sulla guerra fa subito pensare a un calcolo editorial-commerciale un po’ meschino. Antonio Scurati aveva pubblicato con Donzelli, nel 2003, uno studio alquanto paludato e accademico sulle rappresentazioni della guerra nella cultura occidentale (Guerra. Narrazioni e culture nella tradizione occidentale).

Lo ripubblica adesso, da Bompiani, praticamente tale e quale: cambia solo il sottotitolo, che nella prima edizione era stato pensato allo scopo di presentare il libro come titolo per concorrere a qualche cattedra universitaria, e che adesso diventa il più spendibile Il grande racconto delle armi da Omero ai nostri giorni. Non ci vuole una particolare dose di malignità per sospettare che l’autore o l’editore (o più probabilmente tutti e due) abbiano ragionato così: oggi tutti sono tornati a parlare di guerra perché la guerra, purtroppo, c’è di nuovo in Europa, ed è proprio una guerra tradizionale; è facile quindi che qualcuno sia attratto da un titolo che parla di guerra, delle guerre del passato, e promette di illustrarle rifacendosi addirittura a Omero.

Intendiamoci: nulla di particolarmente sconveniente. Si vendono così pochi libri in Italia che ogni mezzo per venderne qualcuno in più sembra lecito, anche se ci si potrebbe chiedere se ne abbia davvero bisogno uno scrittore che nel risvolto di copertina, oltre a informarci di essere cresciuto «tra Venezia e Ravello» (forse perché, come luoghi wagneriani, possono evocare la Cavalcata delle Valchirie, ottima colonna sonora per una scena bellica) tiene a dirci di avere vinto «i principali premi letterari italiani» (tutti?) e di essere «tradotto in tutto il mondo» (più di Pinocchio?). Il problema però è che questa scelta commerciale porta con sé qualche inconveniente sul piano dell’analisi storica.

Inconvenienti

Chi ha comprato adesso il libro, viste le circostanze della pubblicazione, è inevitabilmente portato a chiedersi se le tesi in esso sostenute servano a capire qualcosa della guerra in atto. E qui cominciano i guai, perché l’autore stesso ammette che l’invasione russa dell’Ucraina sembra sconfessare non solo le tesi particolari in esso sostenute ma anche lo schema basilare che lo sorregge, la relazione tra guerra e visibilità e le sue vicende, appunto, dalla guerra “gloriosa” e procacciatrice di fama ed eternità agli eroi greci fino alla sua estinzione nella rappresentazione television war della Guerra del Golfo.

Ma se questo può essere imbarazzante per l’autore, ancora più imbarazzante rischia di essere la spiegazione che ne offre Scurati. La spiegazione è questa: le sue teorie non servono a nulla a capire la guerra in corso non perché siano infondate o unilaterali ma perché questa guerra «non appartiene alla nostra storia».

Il problema, insomma, non sta nelle insufficienze del libro, che spesso sembra far credere che le guerre siano state combattute perché i poeti ne potessero cantare: ma non sarebbe meglio un po’ di sano materialismo storico, a ricordarci che le guerre sorgono sempre per questioni di economia e di potere? Il problema starebbe nella impossibilità di ricondurre la guerra di Putin nell’alveo della nostra storia, e sapete perché? Perché essa sarebbe, nientemeno, che uno scontro tra Oriente e Occidente.

Strana spiegazione. Per un verso, essa sembra ricalcare la vecchia solfa dello «scontro di civiltà»: quando non si vuole andare a fondo sulle cause di un conflitto, o si vogliono oscurarle, c’è sempre qualcuno che ricorre alla scappatoia di affermare che la guerra è uno scontro di civiltà. Ne abbiamo avuto esempi recenti, ma non sarebbe male ricordare che perfino la Prima guerra mondiale, quello che oggi ci appare il primo atto della “guerra civile europea”, venne presentata sia dalla Triplice alleanza sia dagli Imperi centrali come uno scontro tra la civiltà (la propria) e la barbarie (altrui), e che nell’avvalorare questa sciocchezza, tanto per cambiare, si distinsero soprattutto gli intellettuali.

Ci sarebbe indubbiamente un modo meno roboante e più costruttivo di vedere la cosa: si potrebbe, per esempio, considerare lo scontro in atto come la contrapposizione tra un paese –la Confederazione russa – che sta sempre più transitando da una democrazia autoritaria ad una vera e propria dittatura – e un paese, l’Ucraina, che si stava sempre più dimostrando attratto dalle democrazie europee. In fondo sia Putin sia il Patriarca Kyrill hanno presentato la guerra come lo scontro tra i garanti dei valori tradizionali e le debosciate nazioni dell’Unione europea, dai costumi corrotti.

Oriente e occidente

Per Scurati, però, questo è evidentemente troppo poco. No, qui siamo al conflitto metastorico «tra Oriente e Occidente». La Russia è l’Oriente all’assalto dell’Occidente. Putin sarebbe l’erede di Attila, Gengis Khan, Tamerlano il grande. Strana filosofia della storia. In che senso sarebbe Oriente la Russia, e da quando?

Certo, la Russia ha sempre avuto una posizione particolare, in Europa. Ma almeno dai tempi di Pietro il Grande la sua storia ha sempre fatto parte della storia europea. Per secoli, la Russia è stata un baluardo contro l’Impero Ottomano; per secoli, ha partecipato alle guerre europee alleandosi con le grandi potenze occidentali.

Dalle guerre di successione alla guerra dei Sette anni, alle guerre napoleoniche, e fino alla grande guerra, ha fatto parte a pieno titolo del concerto delle grandi potenze europee. Quando, nel 1905, la flotta giapponese, a Tsushima, distrusse la flotta russa salpata quasi un anno prima dai porti del Baltico, l’impressione nel mondo fu enorme: per la prima volta nella storia un paese non-occidentale vinceva una guerra (non una battaglia, cosa già avvenuta in molte guerre coloniali, ma un intero conflitto) contro un paese occidentale. Quello sì fu uno scontro tra Oriente e Occidente, non certo la guerra di Putin.

Abbagliato dalla sua strana geopolitica, Scurati arriva perfino a far torto al suo libro stesso, che forse qualcosa da dirci anche sulla guerra in corso ce la avrebbe. Certo, la questione della visibilità sembra entrarci davvero poco. Putin non ha alcun interesse a dare visibilità a questa guerra, che anzi tenta di disconoscere perfino nel lessico, impedendo che nel suo paese il nome stesso di guerra venga pronunciato. L’Ucraina, dal canto suo, ha certo interesse a che le distruzioni e le atrocità, una volta compiute, siano documentate, fotografate, filmate. Ma, come tutti i contendenti, non ha interesse a che si veda la guerra nella materialità degli scontri in atto. Che del resto potrebbero esser documentati, da una parte e dall’altra, solo da giornalisti embedded, e quindi ben poco attendibili.

Ma, per un altro verso, la resistenza ucraina all’invasione sembra riportarci a una guerra, e una retorica di guerra, che pensavamo appartenesse al passato. Per esempio, al lessico della gloria e dell’eroismo (a cui pure Scurati dedica tanta attenzione, soprattutto nella prima parte del suo libro) della difesa del suolo nazionale, della cacciata dell’invasore. In questo senso sembra addirittura riportarci oltre l’orizzonte del Novecento, verso questioni di indipendenza nazionale, di autodeterminazione dei popoli, che parrebbero addirittura ottocentesche. I vari intellettuali che discettano su quello che l’Ucraina dovrebbe fare, quali territori dovrebbe cedere, come se invece che in uno studio televisivo fossero a Yalta, sembrano dimenticarlo.

Una guerra europea

Altro che Oriente! Questa guerra, anche se combattuta con armi prevalentemente americane, è certamente una guerra europea. È combattuta sul suolo europeo, e l’Europa ne subirà le principali conseguenze, qualsiasi esse saranno. Proprio questo, in fondo, è l’aspetto che più ci sconcerta. È vero, la guerra sul suolo europeo c’era stata anche negli anni Novanta, nei Balcani. Ma allora potemmo illuderci che si trattasse di uno strascico del passato, di un passato che si chiudeva, dolorosamente ma si chiudeva.

Adesso assistiamo a una guerra che appartiene al presente e, anche se ci auguriamo tutti che questo non avvenga, potrebbe appartenere al futuro. E proprio questo non potremo mai perdonare a chi la ha iniziata, oltre alle uccisioni, alle distruzioni, agli stupri: l’averci ricordato con la forza feroce dei fatti che la guerra, che credevamo di avere archiviato per sempre, almeno alle nostre porte, almeno nella nostra Europa, è invece ancora possibile, è invece sempre possibile.

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