Ci sono canzoni che pensi non dimenticherai mai. Per un certo periodo della vita ti accompagnano ovunque. Le ascolti in macchina quando accendi la radio, mentre fai la spesa al supermercato o ti alleni in palestra, le canti anche mentre cammini, da solo, pensando che rimarranno con te per sempre. Ma poi evaporano piano piano dalla tua testa, vengono confuse con altre che arrivano a sostituirle e improvvisamente è come se non fossero mai esistite. Succede anche con gli amori.

Quando raggiungi un’età in cui la proiezione verso il futuro arranca faticosamente perdendo nel suo cammino lo stupore del desiderio, accade che gli amori a cui ti aggrappi nei tuoi ricordi sono pochi, pochissimi. Gli altri sono diventati melodie incerte, hai dimenticato cognomi (probabilmente non li hai mai saputi), mescolato odori, sovrapposto notti accadute o forse solo immaginate.

Ma quelli che rimangono saldi nella tua testa, sono ancora fluorescenti.

Di questi innamoramenti preziosi parla l’ultimo libro di Dario Voltolini, Il Giardino degli Aranci (edito da La nave di Teseo), in cui il protagonista, Nino Nino, mentre si reca all’appuntamento con Luciana – una compagna di liceo incontrata per caso dopo molti anni – ripensa a quelle ragazze che, prima di lei, lo hanno invaso di desiderio.

Nino Nino

Tutto in questo libro è musica, a partire dal nome del protagonista, Nino Nino, diventato lui stesso onomatopea perché, da ragazzino, si mette furiosamente a correre in cerchio imitando la sirena dell’ambulanza accorsa a salvare un infartuato nello stabilimento balneare, sempre quello, dove viene portato in vacanza dai genitori. Le estati diventano un’unica stagione, un’unica spiaggia, il mondo di Nino Nino è quello di qualsiasi bambino nato prima dell’accelerazione che, con internet, ci ha teletrasportati ovunque, dunque da nessuna parte davvero.

Nino Nino è un bambino che ha conosciuto la noia, la fatica delle recite scolastiche, gli odori dolciastri – di ghiandole e scarpe e catrame – degli spogliatoi, l’oratorio con le ombre dei preti, la vergogna della tua miseria quando ti riconosci vampiro, pronto a azzannare, divorare queste ragazze che diventano la tua educazione sentimentale.

Nel libro si chiamano Luciana, Ilaria, Sophie, Samantha, Filippa, Ester, ma c’è anche Andrea, un ragazzo che quando si alza in verticale vola e fa sempre canestro: sono corpi belli, bellissimi, qui è tutto un risplendere e ci s’innamora solo di ciò che riluce.

I corpi

Non è importante possederli, basta guardarli quei corpi, a volte toccarli per caso, quasi per sbaglio. È sufficiente un’occasione, un gioco, “Guardie e ladri” per esempio, e la ragazzina in squadra con te, su quella spiaggia eterna, ti chiede di mettere le tue mani a cucchiaio per issarla: vuole scovare i “ladri” che – ne è certa – sono nascosti nelle cabine, così ti ordina di sollevarla per spiare tra le fessure del legno.

Nino Nino sentirà per anni il peso di quel piede fra le sue mani, il tendine che si allunga, l’odore del mare e del basilico che arriva dal costume ancora umido di lei.

Ne Il Giardino degli Aranci le ragazze sono spesso bionde, somigliano a lucciole che appaiono e scompaiono. La mia preferita: Filippa, «tanto magra che l’elastico del costume, teso tra le ossa del bacino, rimaneva sollevato dal ventre. Ma dove c’era muscolo compatto o inaspettato cuscinetto adiposo (i glutei, i seni), ecco che la forma era soave, tonda, lievitata, soda». Filippa sembra fatta di elastici, arriva al galoppo, si tuffa imbizzarrita, i capelli sono criniera, profuma di limone, ed è questa l’unica eredità che lascia a Nino Nino, la scia del suo odore mentre lei si è già catapultata altrove.

Lui può solo muoversi goffamente seguendo il sole, i suoi soli, senza strategie, per «abbronzare la propria essenza».

Luciana

Quando Luciana finalmente compare, al liceo, è una visione mistica: una Madonna dorata e azzurra che non sa di essere fatta di luce. È seduta nel suo banco, in mezzo agli altri studenti che sono occupati a vivere il rumore della loro adolescenza, solo Nino Nino s’accorge del miracolo di lei e per lei diventa genio sputando dalla sua bocca la matematica: se prima «le parentesi erano ciglia sparse sulla pagina», i Teoremi di Euclide adesso diventano acqua che scorre facile nella sua gola, fulmina tutto, risponde veloce e furioso perché non ha tempo da perdere, deve scattare al suono della campanella, guadagna il dono dell’ubiquità e sul finire del trillo appare già davanti a lei, divinità da onorare e omaggiare con piccoli doni e arcobaleni, milioni d’arcobaleni disegnati solo per lei.

Un’unica domanda Nino Nino non si porrà mai: piacerà lui, a Luciana e a tutti gli altri soli? Non se lo chiederà perché «il piacere estremo che provava in presenza di Luciana non lasciava spazio a nient’altro, non lasciava nemmeno spazio all’eventuale piacere o non piacere provato da lei nei suoi confronti».

Nino Nino guarda, pedina, recupera parole giapponesi come Bakkushan, che fonde l’inglese back (dietro) al tedesco schön (bello), per inseguire «le belle da dietro». Quando raggiunge queste visioni, qualcosa s’infrange: il problema non è la mancanza di bellezza – che c’è in abbondanza anche «da davanti» – ma la non corrispondenza con l’idea fantasmagorica che, da qualche parte, si era annidata in lui.

Chi vuole indignarsi lo definirebbe uno stalker, un uomo pericoloso, ma Nino Nino è una creatura di un candore infinito, e se la sua vita seguitasse fuori dalle pagine del libro di Dario Voltolini e lui diventasse ancora più grande, arrivando alla morte, immaginerei il suo funerale come quello di Bertrand Morane nel film L’uomo che amava le donne di François Truffaut: solo donne, unicamente donne a salutare chi le ha guardate fermando il tempo e lo spazio.

In fondo, siamo tutti vampiri: azzanneremmo molti colli per poter avere indietro la nostra giovinezza e, con lei, la reminiscenza del desiderio. In anni in cui sembra che abbiamo dimenticato la materia di cui sono fatti i nostri desideri, potremmo provare a cercarli disegnando arcobaleni, ritrovando così il peso del piede di una ragazzina tra le nostre mani a cucchiaio.

 Ad aiutarci, per fortuna, c’è la musica di Dario Voltolini.

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