Negli ultimi anni ha spopolato il mito dei supercibi, nato dall’esaltazione di proprietà benefiche ritenute magiche per la nostra salute. Eppure, gli stessi micronutrienti speciali sono spesso presenti in alimenti più semplici e meno costosi.
- Questo articolo è tratto dal nostro mensile Cibo, disponibile sulla app di Domani e in edicola da sabato 30 agosto
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Forse è merito delle tinte vivide che sembrano pennellate su una tela tropicale, o di quei nomi che suonano come formule magiche, Açaí, Aronia, Camu Camu, e che evocano terre lontane, ma oggi i supereroi siamo finiti a scovarli anche tra gli scaffali del supermercato. Non indossano maschere né armature, non hanno neanche il mantello eppure vantano poteri che sfiorano la fantascienza: combattere rughe e malanni, tenere a bada il colesterolo, far sparire i chili di troppo. Basta un assaggio, un sorso, una capsula (e un portafoglio ben allenato). Ma sono davvero pronti a salvarci o solo personaggi da fiaba alimentare, creati per farci sognare come protagonisti di un romanzo d’avventura?
Frutti “potenziati”
Non esiste una definizione ufficiale o riconosciuta per stabilire cosa rientri nella categoria dei cosiddetti superfrutti. Il termine sarebbe stato introdotto alcuni anni fa, quando alcuni studi misero in evidenza le proprietà benefiche di determinati alimenti. Da allora, l’espressione si è diffusa nel linguaggio comune per descrivere frutti particolarmente ricchi di antiossidanti, polifenoli, fibre, vitamine, sali minerali o altri composti ritenuti vantaggiosi per il benessere. Ma quanto devono essere ricchi? Non è dato saperlo, né sono stati stabiliti dei valori soglia. Di conseguenza, l’assenza di una definizione chiara ha reso il concetto terreno fertile per mode effimere nel mondo dell’alimentazione.
“Super…” è infatti un’etichetta utilizzata soprattutto come strumento di marketing, modellato sulle tendenze alimentari del momento. Tanto è vero che non è mai stata riconosciuta ufficialmente da organismi internazionali che si occupano di sicurezza e qualità degli alimenti come l’Efsa in Europa e l’Fda negli Stati Uniti.
Nutrienti comuni, fama straordinaria
Il mito dei supercibi nasce dall’esaltazione di qualche micronutriente speciale, ma spesso sfugge che quelle stesse sostanze sono già presenti in cibi molto più semplici e accessibili. La bacca di Açaí, ad esempio, viene celebrata per il contenuto di polifenoli e le relative proprietà antiossidanti: da semplice frutto esotico diventa rimedio universale contro stress, stanchezza e persino sovrappeso. Il punto è che gli stessi nutrienti sono presenti anche negli “umilissimi” mirtilli. Anche le more, il ribes nero o il sambuco ne offrono valori simili o persino superiori, e con porzioni abituali di consumo si raggiungono facilmente gli stessi livelli, soprattutto, spendendo molto meno.
Anche la curcuma, diventata spezia-star delle proprietà antinfiammatorie, ha seguito un percorso simile, nonostante la curcumina, il suo principio attivo, venga assorbita dall’organismo in quantità irrisorie. Ma se i mirtilli contengono gli stessi nutrienti dell’Açaí e la curcumina viene assorbita solo in minima parte, resta il dubbio che dietro al mito pesi più il marketing che la scienza.
Un altro esempio interessante è l’Aronia melanocarpa, conosciuta anche come Aronia nera o Sorbo nero, una piccola bacca dal colore viola intenso, originaria del Sud America e nota per il suo contenuto di vitamina K. Questa vitamina è fondamentale per la coagulazione del sangue e la salute delle ossa. Le linee guida nutrizionali raccomandano un apporto quotidiano di circa 140-170 microgrammi per un adulto, un traguardo facilmente raggiungibile con una dieta equilibrata. Tuttavia, la vitamina K non è affatto rara: si trova in molti frutti e ortaggi comuni. L’Aronia ne fornisce circa 1,3 microgrammi ogni 100 grammi, mentre le prugne secche ne contengono circa 60 nella stessa quantità. Considerando i prezzi di mercato, ottenere un microgrammo di vitamina K dall’Aronia costa circa 0,16 euro, mentre dalle prugne secche il costo scende a circa 0,02 euro. Questo dimostra come il “super” sia più una questione di marketing che di reale efficacia nutrizionale.
Tra i superfrutti non manca il Camu camu, minuscola bacca amazzonica diventata famosa grazie al suo altissimo contenuto di vitamina C. In realtà, per raggiungere le dosi sbandierate bisognerebbe mangiarne quantità poco praticabili nella vita quotidiana. E poi, la vitamina C è tutt’altro che rara: arance, kiwi, fragole o peperoni bastano ampiamente a coprire il fabbisogno giornaliero. Il Camu camu, venduto spesso in polvere o capsule, ha un costo al milligrammo nettamente superiore rispetto a quello delle fonti fresche e locali. Ancora una volta, quindi, il superpotere non riguarda tanto la rarità o l’efficacia del nutriente, quanto l’aura di eccezionalità creata dalle strategie di mercato.
Un destino simile ha avuto il noni, frutto verde e bitorzoluto della Polinesia, presentato negli anni Novanta come miracoloso contro dolori articolari, malattie gravi e per rafforzare le difese immunitarie. Peccato che le evidenze derivavano solo da studi in provetta o su animali, e la presunta sostanza benefica non è mai stata confermata nell’uomo.
Questione di stile di vita
È importante sottolineare che non è mai un singolo alimento a cambiare significativamente la salute, ma l’insieme delle scelte alimentari e dello stile di vita. A questo si aggiunge che l’effetto di un nutriente dipende sia dalle sue caratteristiche sia dalle condizioni individuali di chi lo consuma. Perciò, strategie alimentari efficaci devono inserirsi in un contesto di dieta varia. Affidarsi a prodotti miracolosi, come bacche esotiche o spezie antiossidanti, non compensa cattive abitudini; solo un insieme bilanciato di scelte permette all’organismo di trarre il massimo beneficio dal cibo.
E la storia ce lo ricorda bene. Il primo superfrutto? Il pomodoro! Lo racconta il botanico Renato Bruni: all’inizio dell’Ottocento negli Stati Uniti era considerato poco più di una pianta ornamentale, finché attorno al 1815 il medico John de Sequeyra lo introdusse nella dieta dei suoi pazienti, sostenendo che «una persona che consuma pomodoro a sufficienza non morirà mai». Tra cure del fegato, depurazioni del sangue e le celebri tomato pill, che promettevano miracoli e si rivelarono semplici lassativi, la storia del pomodoro mostra con ironia come anche i primi superfrutti abbiano avuto i loro flop, ricordandoci che nessun alimento da solo può davvero fare magie.
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