- Mio nipote viene sempre, adesso, tutti i giorni; mentre per mesi, quando stavo a casa, non si faceva vedere, quasi mai, neanche al telefono. Questi giorni che sto a letto si presenta dopo pranzo, forse sa che se capita verso quest’ora, mi trova sveglio, mi porta il giornale e, se mi va, me lo legge, come fossi cieco.
- A Genova, legge, Berlusconi ha fatto mettere limoni finti attaccati alle piante. Crede che non ci sento. Tiene il tono di voce alto, come se fossi diventato oltre che cieco, sordo, sordo o occluso nei pensieri, un uomo per modo di dire, che non s’alza dal letto, non sente e non vede, e lui si sente che si deve conquistare la mia attenzione a forza di acuti, ma manco mi va di farglielo notare.
- «Chi è morto?». «Quando?», dice lui. «Chi è morto?». «Chi è morto quando, nonno?». «Non è morto uno l’altro giorno?». «Quello che è morto a Genova, dici?». «È morto?». «Sì». «Quanti anni aveva?». «Ventitré». «Quanti ’e te?». «Uno in meno».
Arriva nel primo pomeriggio, come un’ondata di riflusso di calore, mio nipote. Me ne accorgo dalla voce che mi dice: «no’», mi chiede se sto dormendo, ma io non gli rispondo, «nonno», non subito almeno, perché non mi rendo conto da dove arriva: eeh? perché mi chiama se non si fa vedere? mi dice che mi trova meglio, mi alza il lenzuolo, mi scopre, mi rassicura che la gamba sinistra si sta sgonfiando, lo vedo che è meno gonfia? (ma sono storti i pantaloncini che porta?), mi tocca il ginocchio, e



