Qualche anno prima di morire Philip Roth era solito dire che due cose terrorizzanti lo attendevano, «la morte e il mio biografo». Inoltre quelli erano tempi in cui i romanzieri, tanto i più affermati come anche gli esordienti, si trovavano a temere, oltre la propria dipartita e coloro che per pagine e pagine avrebbero spettegolato su di loro una volta sepolti, una terza cosa: i critici letterari. A ogni nuovo romanzo. Li attendevano e ne erano spaventati. Leggevano le loro recensioni in punta di sedia e con un check up dal cardiologo già prenotato per quella stessa settimana.

Ora? I romanzieri continuano ad aspettarle le recensioni, tutte le volte che pubblicano un romanzo, e le desiderano perché certificano che in effetti un loro nuovo libro esiste per davvero, ma se dicessimo che ne sono spaventati diremmo un’esagerazione. Se dicessimo che una recensione autorevole può valere la carriera di un giovane scrittore diremmo una stupidaggine. Nei diretti interessati prevale ai giorni nostri la curiosità alla paura. E va bene anche così.

Il vecchio Indice

Nel lontanissimo 1984 venne fondata una delle riviste letterarie più longeve che esistano nel nostro paese, l’Indice dei libri del mese. Il lontanissimo 1984. L’anno in cui morirono Eduardo De Filippo, François Truffaut, Truman Capote, Michel Foucault e Julio Cortázar. Non proprio l’altro ieri, insomma.

L’anno dell’uscita di Opere mondo di Franco Moretti. L’anno del Signor Mani di Abraham B. Yeoshua. L’anno di A colpi d’ascia di Thomas Bernhard, dell’Impero del sole di Ballard. L’anno di Staccando l’ombra da terra di Daniele Del Giudice. L’anno dell’Anno della morte di Ricardo Reis a firma di Saramago. L’anno in cui nacque Mark Zuckerberg e nel quale la Apple presentò il primo computer della serie Macintosh.

Da allora di tempo ne è trascorso parecchio. L’Indice che si ispirava sin dagli albori a pubblicazioni anglosassoni di grande prestigio, come The Times Literary Supplement e The New York Review of Books, nella sua storia avrebbe collezionato grandi collaboratori, grandi direttori, tra i quali vorrei citare Cesare Cases e Mimmo Càndito, avrebbe beneficiato dei disegni di Tullio Pericoli e delle copertine di Franco Matticchio che tuttora abbelliscono ogni numero in edicola.

Ancora adesso l’Indice, a quasi quarant’anni dalla sua prima uscita, è uno spazio pressoché infinito che ogni mese ospita recensioni, commenti, approfondimenti che spaziano dalla narrativa contemporanea al cinema d’autore. Da qualche tempo, inoltre, a fianco della sua storica edizione cartacea si è aggiunta una versione online che in più offre un importante archivio della rivista.

Figure sovversive 

Il recensore – ovunque lo si incontri, che sia su una pagina di carta o su un sito internet  – starà alla larga delle ovvietà grazie ai libri che ha letto e alle persone che ha incontrato, saprà essere sovversivo rispetto al comune sentire e soprattutto saprà mostrare sempre il suo scetticismo al cospetto delle mode del momento. Non è snob, ma non è neanche fesso. Sa dove guardare. Sa cosa guardare. E a loro volta i lettori riconoscono chi sa guardare e chi sa cosa guardare: come i frequentatori di Tripadvisor sanno che per farsi un’idea su un ristorante conviene di gran lunga guardare le fotografie dei piatti e non le opinioni dei clienti, chi legge abitualmente le recensioni letterarie sa che è consigliabile guardare innanzitutto l’uso dell’intelligenza che fa il suo autore.

Riferendosi a Montaigne, R. W. Emerson scrisse che: «I Saggi sono un piacevole soliloquio a caso di argomenti che gli passano per la mente (…), non è mai noioso, sempre sincero, e vi è del genio nel fare interessare il lettore a quello che gli interessa». Non possiamo dire che anche i recensori siano fatti della stessa pasta? Non parlano spesso per nessun altro se non per sé stessi, non dovrebbero evitare come la peste il rischio di annoiare e non hanno forse anche loro come primo obiettivo quello di “interessare il lettore a quello” che interessa loro, magari sollecitandoli a curiosare il romanzo di cui stanno scrivendo?

Vogliamo trovare un personaggio letterario che rappresenti in maniera calzante il recensore? Direi Barnaba, il giovane ex ufficiale della marina militare protagonista di un piccolo libricino di Del Giudice, alto e con i capelli ricci, che ora che sta diventando cieco decide di andare al museo di Reims per vedere per l’ultima volta i quadri che ha sempre amato. Il recensore è infatti colui che guarda con l’intensità di chi sa che quella sarà l’ultima volta, l’ultima volta per necessità e disponibilità di tempo, che il suo sguardo potrà posarsi su quella novità editoriale.

Nuove uscite

Negli ultimi tempi in Italia sono nate altre due riviste online molto interessanti e che ospitano testi curati e con una loro singolarità meritoria: Lucy e Snaporaz. Com’è opportuno per chi ha una storia tanto recente è bene che per queste due novità editoriali a parlare siano i loro manifesti. Lucy si definisce una rivista multimediale che si occupa di cultura, arti e attualità che ogni mese sceglie di raccontare un tema «da prospettive diverse» affidandosi ad articoli, illustrazioni, contributi audio e video. Snaporaz è una testata giornalistica digitale che «legge libri, va al cinema e a teatro, guarda le serie televisive, esplora l’arte e l’architettura, ascolta musica di ogni genere».

In Italia sono cinquemila gli editori che pubblicano almeno un libro all’anno. Perché dunque dovremmo stupirsi che nascano sempre nuove riviste cartacee o in rete in cui critici letterari e recensori raccontano i tantissimi libri in uscita? Senza contare il fatto che si possono persino recensire libri inesistenti. Libri mai pubblicati. Mai scritti. Di cui non esiste una sola pagina, il cui presunto autore non è mai neanche nato. Come Borges che finse che il libro che voleva scrivere fosse già stato scritto, scritto da un autore indiano, e lo recensì sulle pagine della rivista Sur. Era il 1940 e quando quel suo articolo fu pubblicato i lettori credettero di avere sotto gli occhi la recensione di un libro esistente, di un autore indiano a loro ancora sconosciuto.

Angeli e sotterfugi

E che dire di chi recensisce sé stesso? W. Somerset Maugham, in occasione della prefazione che scrisse per uno dei suoi romanzi più celebri, Schiavo d’amore, riportò un aneddoto raccontato da Roger Martin du Gard a proposito di quella volta che Marcel Proust, desiderando che qualcuno recensisse il suo grande romanzo e pensando che nessuno avrebbe potuto farlo meglio di lui, decise di scrivere l’articolo di suo pugno: lo diede poi in mano a un giovane intellettuale a cui chiese la cortesia di firmarlo e di consegnarlo alla rivista su cui desiderava apparisse. Cosa successe? Qualche giorno dopo il direttore del periodico convocò il giovane e gli disse che non avrebbe potuto pubblicare il suo articolo perché «Proust non mi perdonerebbe mai se pubblicassi una critica tanto fredda e malevola sul suo lavoro».

Per finire chiamerei in causa gli angeli. Gli angeli, sul serio? Cosa c’entrano gli angeli con le recensioni letterarie? Il padre di Maurice Sendak, in occasione di uno dei tanti giorni che il bambino trascorse a letto a causa delle molte convalescenze che ne contrappuntarono l’infanzia, lo invitò a osservare fuori dalla finestra della sua camera e a vedere se fosse comparso un angelo. Se lo avesse adocchiato, una fortuna imprevista gli sarebbe toccata in sorte. Era una maniera per farlo stare all’erta, nonostante la malattia. «Ma se sbatti le ciglia lo perderai», gli disse. Nei fumetti di Sendak comparirà spesso una finestra.

All’inizio di Where the Wild Things Are, ad esempio, è da una finestra che appare la luna, e così anche l’ultima vignetta è di nuovo una finestra. Ecco cosa c’entrano gli angeli con le recensioni letterarie. Anche il recensore se chiude gli occhi si perde l’angelo. Se sbatte le ciglia quando non dovrebbe, si perde tutto del libro che sta leggendo. E se non vede l’angelo non sarà in grado di raccontare quel romanzo ai suoi lettori. Sempre che nel romanzo che sta leggendo un angelo ci sia.

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