Maid, Adolescence, Ni una más fino al Mostro: le serie tv che parlano di violenza di genere non sono più solo polizieschi in cui il femminicidio era ridotto a un enigma da risolvere, accompagnato da luoghi comuni e stereotipi, ma storie che provano a restituire complessità al fenomeno
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Negli ultimi anni, le serie tv hanno iniziato a raccontare la violenza di genere cercando di superare gli stereotipi narrativi che per molto tempo l’hanno banalizzata. Non più solo polizieschi in cui il femminicidio era ridotto a un enigma da risolvere, accompagnato da luoghi comuni e stereotipi, ma storie che provano a restituire complessità al fenomeno. Racconti che non guardano solo all’autore e alle dinamiche del crimine, ma alle vittime e alle loro vite, al contesto sociale in cui quella violenza nasce e si ripropone.
Nel 2021 Netflix ha lanciato Maid, la storia di Alex, giovane madre vittima di violenza domestica. La serie esplora non solo la violenza fisica, ma anche quella psicologica ed economica, mostrando quanto siano concatenate. In Maid le donne sono rappresentate spesso come vittime: dalla madre della protagonista – sopravvissuta a un marito violento e dipendente da sostanze e relazioni tossiche – ad Alex, che senza soldi cerca di costruire per sé e per la figlia una nuova vita lontano dalla violenza.
Maid è uno dei primi esempi recenti di una narrazione che rinuncia alla semplificazione, trattando anche temi poco esplorati nelle serie tv – come quello della dipendenza economica – e inquadrando la violenza come fenomeno sociale.
Il punto di vista dei giovani
Se Maid si concentra sulla violenza domestica, altre serie spostano il racconto sui più giovani, mostrando come il tema della violenza attraversi la scuola, i social, i gruppi di pari. In Ni una más (2024) Alma, studentessa di 17 anni, denuncia uno stupro nel suo liceo appendendo uno striscione al cancello: «Attenzione, qui si nasconde uno stupratore!». La serie affronta con lucidità le pressioni sociali, le relazioni di potere e la difficoltà di essere credute, raccontando anche che cosa significa esporsi pubblicamente.
Tra le serie tv più note di quest’anno c’è poi Adolescence che, rispetto a Ni una más, racconta la storia da un’altra prospettiva, quella maschile. Jamie Miller, tredicenne arrestato per il femminicidio di una compagna di classe, diventa l’occasione per raccontare come una certa idea di mascolinità possa radicarsi fin dall’adolescenza. La serie non è un thriller investigativo, ma un’analisi sulle radici culturali del fenomeno. Non è solo la storia di Jamie, ma di tutti i ragazzi, della società e di una subcultura misogina che permea la loro quotidianità.
Un approccio differente emerge in Terrazza sentimento (2025), che affronta la storia vera di Alberto Genovese, imprenditore condannato per violenza sessuale. Nonostante l’intenzione di offrire spunti di riflessione sulla violenza di genere, la serie resta ancorata al punto di vista del protagonista: le feste, gli eccessi, la sua ascesa e caduta. Al centro c’è soprattutto Genovese, che viene raccontato rimarcando le sue debolezze, quasi cercando di far empatizzare gli spettatori. Terrazza sentimento tocca temi come la vittimizzazione secondaria e lo stupro, ma lo fa restando distante dalle donne che quella violenza l’hanno subita.
Raccontare il contesto
Ci sono poi serie in cui il ruolo della donna, o la violenza perpetrata nei suoi confronti, non rappresentano il fulcro della storia, ma una cornice da cui analizzare la società. La miniserie Il mostro (2025) – dedicata al “mostro di Firenze” autore di otto duplici omicidi tra il 1968 e il 1985 nella provincia fiorentina – sceglie di non ripercorrere tutte le indagini: ricostruisce solo una parte della vicenda, inquadrandola nel contesto dell’Italia degli anni Settanta.
«Ci sembrava più interessante provare a raccontare i singoli sospetti», ha spiegato il regista Stefano Sollima in un’intervista a la Repubblica, perché «erano un’occasione per raccontare un ambiente sociale e culturale che era “mostruoso”», soprattutto per le donne. Nelle quattro puntate emerge come, all’epoca, le donne fossero obbligate a vivere sempre sotto l’autorità di un uomo – prima il padre, poi il marito – entro confini rigidi, e punite quando cercavano di oltrepassarli.
Un filo comune
Queste serie sono diverse tra loro per linguaggio, pubblico e intenzioni, ma evidenziano una tendenza: la violenza di genere non è più un elemento accessorio della trama. Dalla violenza domestica di Maid alla denuncia pubblica di Ni una más, dalla riflessione culturale di Adolescence al ritratto della società patriarcale de Il mostro, la narrazione prova sempre più spesso a mettere al centro le vittime, restituendo contesto e mostrando quanto la violenza sia intrecciata alla cultura e alla società.
Ci sono ancora episodi che cadono nei cliché, o che scelgono di concentrarsi sui carnefici più che sulle vittime, come Terrazza sentimento. Ma sempre più produzioni provano a raccontare la violenza senza spettacolarizzarla, inserendola nel contesto in cui si sviluppa. È un cambiamento lento, non lineare, ma necessario. Perché anche le storie che vediamo sullo schermo contribuiscono a modellare la percezione sociale della violenza.
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