Ci è voluto un miracolo, anzi due. È servito un appuntamento in Vaticano, ed è servito un silenzio assoluto di Silvio Berlusconi, per poter trascinare i popolari europei dietro a Manfred Weber, il loro leader, nella due giorni romana tuttora in corso.

Visto che i miracoli non vanno sfidati, il summit resta comunque sotto tono: niente accrediti o viaggi per giornalisti a Roma, né punti stampa, a parte quelli improvvisati da Antonio Tajani che non sta nella pelle all’idea di fare da padrino in questa ennesima fase dei rapporti tra popolari e meloniani.

Un cimitero di summit

Il summit di Roma altro non è che un summit di Napoli mascherato. Il summit di Napoli infatti è saltato, e a dire il vero è saltato anche un altro summit dei popolari, previsto a Varsavia. Più che un’agenda, quella del Ppe stava diventando un cimitero di eventi cancellati.

Il plenipotenziario dei popolari – Weber che guida contemporaneamente il partito europeo e il gruppo all’Europarlamento – lavora da almeno due anni alla tessitura politica con Raffaele Fitto, Giorgia Meloni, e in generale coi meloniani.

A febbraio il capodelegazione di Forza Italia all’Europarlamento, il napoletano Fulvio Martusciello, stava già pregustando l’idea del summit di giugno nella sua città: dovevano essere giornate di studio con microfoni e telecamere sull’attenti, un’occasione per esibire la famiglia europea in Italia. Poi però Silvio Berlusconi ha fatto le sue ennesime sparate filorusse contro Volodymyr Zelensky. E a quel punto nel gruppo è stato il terremoto. «Forza Italia cambi leader!», aveva detto a Domani il capodelegazione polacco e vicepresidente del Ppe Andrzej Halicki. Specialmente per il fianco est dei popolari, andare in Italia da Berlusconi sarebbe stato indigeribile, anche per il proprio elettorato. E poi l’alleanza tra Weber e i conservatori, con gli avversari del Pis dentro, per i polacchi del Ppe (opposizione Tusk) era pure indigesta.

Così dopo aver tentato di scavallare il problema, il leader popolare ha dovuto cancellare il summit di Napoli. L’unico compromesso possibile – cioè che Berlusconi non si facesse vedere neanche in video – si era rivelato infatti fragile, a cominciare dalle dichiarazioni di Alessandra Mussolini a Domani: «Certo che Berlusconi si farà vedere!». Niente Napoli, quindi. E Varsavia? Saltata sempre per i guai di Weber, toccato dallo scandalo Voigt: la delegazione polacca non ha voluto saperne di portarselo nella capitale attirando il fuoco nemico degli ultraconservatori Pis.

Mangia, prega, taci

A salvare Weber e Antonio Tajani, che si accredita intanto come il volto presentabile (rispetto a Berlusconi) e governabile (cioè vicino a Meloni), sono state le altissime sfere. A inizio 2023 infatti era già stata prenotata una visita dal Pontefice: in teoria, il piano era di convergere tutti a Roma dal Papa dopo il summit napoletano.

Poi però Napoli è saltata, ma non si dice certo di no al Papa. Peraltro nulla può riunire una delegazione polacca irritata e un leader controverso quanto la stella polare vaticana. E allora ecco spiegata la due giorni in corso: costruita attorno alla fede. Anche se poi il papa è finito in ospedale, almeno un miracolo il Ppe lo ha ricevuto: un Berlusconi che non straparli. Neppure un video, neanche una letterina.

Tajani ha potuto fare da padrone di casa (Forza Italia), e ha esibito per l’ennesima volta che con Weber il governo Meloni procede unito sui migranti. Il leader del Ppe ha potuto farsi i selfie con «la gioventù» di partito (volti femminili da cercare col lanternino) evitando però domande troppo scomode sui rapporti con l’estrema destra e con Meloni: niente conferenze stampa, niente inviti ai giornalisti. Gli oltre 170 membri del gruppo popolare hanno dibattuto sull’«Europa cristiano-democratica» e incontrato rappresentanti della Chiesa cattolica. La fede unisce dove l’estrema destra (o Berlusconi) scompiglia.

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