A quale famiglia appartiene il principale partito che sostiene il governo, Fratelli d’Italia? È conservatore, post-fascista o rappresenta la contemporanea destra radicale e populista così diffusa in Europa? E a quale famiglia appartiene l’altro partito sovente considerato anch’esso populista ed espressione della destra radicale, ovvero la Lega di Matteo Salvini? La sua lunga permanenza al governo in questi anni ne ha smussato il profilo e lo ha portato ad assumere tratti più da partito conservatore?

Destra radicale

A queste domande studiosi, osservatori, politici tendono a rispondere in modo diverso. Tra gli studiosi è prevalente la tendenza a collocare questi partiti più in prossimità del polo della destra radicale, anche se non manca chi li collocherebbe invece nella famiglia conservatrice. Tra i primi troviamo, ad esempio, Caterina Froio, che nell’introduzione all’edizione italiana di The Far Right Today del politologo Cas Mudde aggiunge il caso del partito di Giorgia Meloni alla casella della destra radicale, già riempita da Mudde con la Lega nell’edizione originale del suo libro.

In un articolo recente, i politologi Gianfranco Baldini, Filippo Tronconi e Davide Angelucci, pur con alcune cautele, che tengono conto sia delle radici del partito sia dell’adozione talvolta di posizioni più moderate, anche loro inseriscono FdI tra i partiti della destra populista e radicale (Yet Another Populist Party? Understanding the Rise of Brothers of Italy, South European Society and Politics, 2023: 1-21).
Interessante è il riferimento che fanno al carattere illiberale della cultura politica del partito di Meloni, un carattere peraltro non celato, anche se non dichiarato, dalla stessa leader nel suo libro del 2021, Io sono Giorgia. Dove Meloni faceva convivere una visione organicista della società, una concezione nativista dell’appartenenza al proprio paese e all’Europa, un allarme apocalittico, a dir poco reazionario, di fronte all’affermazione dei nuovi diritti dell’individuo, con la pretesa autodefinizione di “conservatrice”, addirittura “conservatrice liberale”. E non vi è dubbio che, ancor più che Salvini (il cui partito nel Parlamento europeo appartiene ai sovranisti di Identità e Democrazia), Meloni – presidente dei Conservatori europei – tenga a questa definizione. Una definizione che, a differenza di quella di destra radicale, la normalizza e apre a un maggiore consenso potenziale.

L’autorappresentazione 

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Ha funzionato questa strategia di normalizzazione? Ha, eventualmente, coinvolto la Lega di Matteo Salvini? Per rispondere possiamo osservare alcuni tra i dati dell’ampia ricerca condotta dalla Friedrich Ebert Stiftung, la fondazione culturale e di ricerca tedesca di orientamento socialdemocratico, sui partiti della destra radicale in nove paesi europei. In particolare, possiamo prendere in considerazione alcuni tra i risultati relativi al caso italiano, sul quale hanno lavorato, all’interno della ricerca, il politologo della Federico II di Napoli Marco Valbruzzi e chi scrive.

I dati che ci aiutano a trovare una risposta a quegli interrogativi – ottenuti mediante un sondaggio realizzato per la FES da Euromedia Research – sono quelli attinenti alla percezione che gli italiani hanno della natura ideologica di Fratelli d’Italia e della Lega.

Osserviamo subito che la gran parte degli elettori dei due partiti si auto-percepisce come moderata o conservatrice. L’83, 8 per cento degli elettori di FdI considera il partito al quale va il proprio consenso «conservatore di destra»; solo l’8,4 per cento e il 7,8 per cento rispettivamente neo e post fascista e di destra radicale. I leghisti considerano invece il loro partito «conservatore di destra» o di «centro-destra» (questa seconda categoria non è stata prevista per FdI) nella misura del 74,5 per cento (13,7 per cento e 11,8 per cento, rispettivamente populista di destra e di destra radicale).

Notiamo quindi la prevalenza di una percezione di “normalità” (essere interni a un sistema di valori considerato “legittimo”) del proprio voto in entrambi i partiti, anche se in misura minore nel caso della Lega, che sembra quindi poggiare su un consenso (circa un quarto) più “antisistema”.

Inoltre, mentre l’ampia maggioranza degli elettori della Lega considera FdI un partito conservatore (75 per cento), solo il 53 per cento degli elettori di quest’ultimo considerano la Lega un partito conservatore o di centro-destra e ben il 38,1 per cento gli attribuisce la natura di partito populista di destra. Insomma, gli elettori di Giorgia Meloni oggi pensano evidentemente di distinguersi, almeno in parte, ma una parte significativa, da quelli di Salvini (un leader ondivago e sempre molto sopra le righe, in crisi ormai dall’estate 2019) in virtù di un posizionamento meno radicale. Un giudizio che è condiviso anche dagli elettori di Forza Italia.

Normalizzazione mediatica

Sembra, dunque, che i partiti populisti della destra radicale in Italia siano stati e siano (oggi in particolare FdI, ieri probabilmente la Lega) favoriti da una percezione diffusa della loro “normalità”, una percezione che ha consentito loro di ampliare significativamente il proprio consenso.

E che, a sua volta, come ha scritto ad esempio Mudde, dipende dal trattamento “normalizzante” riservato dallo stesso sistema mediatico agli esponenti e in particolare i leader di questi partiti. Naturalmente, questo significa che anche le posizioni più radicali in passato estranee alla destra conservatrice vengono veicolate come posizioni legittime e “accettabili”. Tanto che, con l’espressione di “normalizzazione” (mainstreamization) si fa anche riferimento al fatto che i temi della destra radicale divengono progressivamente temi sensibili nel dibattito pubblico e anche per i partiti tradizionali, che si trovano spesso a rincorrere i loro concorrenti della destra radicale. Anche qui i media svolgono un ruolo cruciale, spesso favorendo l’attenzione sui temi sbandierati dai partiti populisti e, più o meno consapevolmente, adottandone gli stessi schemi interpretativi.

In un interessante saggio di Michele Sorice e altri nel volume del 2021 curato dallo stesso Sorice e da Leonardo Morlino per la Luiss University Press (L’illusione della scelta. Come si manipola l’opinione pubblica in Italia), era stato rilevato empiricamente, ad esempio, l’adeguamento della stampa, durante la campagna elettorale per le elezioni europee del 2019, alla rilevanza attribuita da Salvini all’immigrazione e alle chiavi di lettura del tema da lui adottate. «Troppo importante l’immigrazione per non essere al centro dell’agenda politica», si domandavano allora gli autori, «o semplicemente troppo “notiziabili” le dichiarazioni di Salvini perché i media potessero non notarle?».

Dall’opposizione

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D’altro canto, tornando ai nostri dati, osserviamo che la percezione che gli elettori dei partiti oggi di opposizione (Azione, Pd, M5s) hanno dei due partiti populisti della destra radicale è più “normalizzata” di quanto ci si potrebbe attendere, perlomeno relativamente a Fratelli d’Italia. Naturalmente, tra questi partiti prevale (o quasi, come vedremo tra un attimo) l’idea che Lega e Fratelli d’Italia siano partiti in qualche forma radicali, non mainstream.

Infatti, vediamo come gli elettori dei partiti di opposizione considerano la Lega un partito conservatore di destra o di centrodestra in misura ampiamente minoritaria (Azione 16,3 per cento, Pd 18,3 per cento, M5s 16,9 per cento). Tuttavia, non posseggono la stessa opinione del partito di Meloni. Addirittura, tra gli elettori di Azione è considerato un partito conservatore dal 58,3 per cento, un valore superiore a quello corrispondente di Forza Italia.

Dello stesso parere sono il 22,5 per cento degli elettori del M5s (un quinto) e il 36,8 per cento (più di uno su tre) degli elettori del Pd. Se, dunque, la differenza di valutazione del posizionamento ideologico di FdI e Lega tra gli elettori dei due partiti e quelli dei partiti di opposizione è netta, non possiamo non osservare come il processo di “mainstreamizzazione” sia andato ben al di là del confine degli elettori e simpatizzanti dei due partiti della destra radicale. Complice, probabilmente, anche la normalizzazione che il sistema dei media ha prodotto della loro agenda. Perché tutto quanto fa audience.

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