I due grandi sconfitti delle europee sono loro, gli eterni litiganti: Carlo Calenda e Matteo Renzi. E dire che in genere alle elezioni ognuno rivendica una vittoria, anche solo a parole. In questo caso l’operazione diventa impossibile: il loro ko è senza appello.

Dopo il naufragio del Terzo polo, dunque, Calenda e Renzi hanno affondato la presenza dei centristi nell’europarlamento. La divisione non ha pagato e nessuno ha superato la soglia del 4 per cento di sbarramento, a causa della concorrenza. Un bel danno per la famiglia europea di Renew, che dall’Italia non riceve alcun contributo in termini di seggi europei. Emmanuel Macron avrà anche altri pensieri, ma i cugini italiani non gli hanno dato un motivo di consolazione. 

I risultati parlano chiaro: Stati Uniti d’Europa, la lista unitaria di +Europa e Italia viva, si è fermata al 3,75 per cento, mentre Azione ha raggiunto il 3,32. Dando la stura allo scambio di reciproche accuse sulla (mancata) volontà di trovare un accordo per andare insieme.

Ed è ancora più difficile che dopo il disastro dell’8-9 giugno si possa arrivare a una pace. Le scorie rischiano di avvelenare qualsiasi ipotesi di dialogo futuro. Calenda è stato chiaro: non vuol sentire più parlare di Renzi dopo la rottura del patto del Terzo Polo con l’ennesimo cambio di accuse sulle responsabilità.

Liberali ostaggio

Cosa resta delle europee, allora? Piaccia o meno, un fatto è certo: Calenda e Renzi hanno deciso di tenere in ostaggio quel bacino elettorale orientato al liberalismo e che guarda a sinistra. Sono distanti personalmente, eppure quasi uguali politicamente, ognuno vuole giocare la propria partita, senza cedere di un millimetro all’altro, rivendicando la guida di Renew in Italia.

Quell’intera area politica vale in Italia il 7-8 per cento, come hanno testimoniato le politiche del 2022, quando si vagheggiava la prospettiva di un partito unico. Nonostante le liti e gli stracci volanti, poi, c’è stata una sostanziale conferma con le ultime europee. La somma delle due liste porta sopra al 7, sebbene il calcolo matematico non sempre rispecchi la realtà. In ogni caso un milione e mezzo abbondante di elettori si rivede in una posizione politica più o meno simile. Se non per le divergenze di personalità.

Uniti dal destino

E c’è un ulteriore cortocircuito: i loro partiti dipendono dalle loro leadership. Senza Calenda non esiste Azione, senza Renzi non c’è Italia viva. Le eventuali dimissioni significherebbero la dissoluzione dei rispettivi progetti politici, di impronta decisamente personale. Ancora una volta i due dioscuri liberaldemocratici sono uniti dal destino, nonostante la professione di antipatia reciproca.

Il colpo delle europee è comunque duro: Calenda, solitamente loquace sui social, non ha postato nulla durante la lunga notte elettorale. Un po’ per l’attesa dei risultati definitivi, visti i primi exit poll che davano qualche speranza, un po’ perché il boccone da mandare giù è alquanto indigesto. Renzi aveva puntato molto sulle elezioni, mettendoci la faccia dai mesi scorsi.

Renzi e Calenda battaglia di preferenze

Sul piano delle preferenze Renzi vince il derby in ogni circoscrizione: ha ottenuto ovunque più voti di Calenda. Nel complesso l’ex presidente del Consiglio può vantare un bottino personale di poco inferiore a 190mila preferenze personali. Un dato notevole, considerando che la lista è appunto sotto il 4 per cento e che Renzi non fosse presente in una circoscrizione (Nord-Est). 

Calenda si è fermato a 80mila voti personali, al Mezzogiorno è addirittura quarto della lista alle spalle di altro candidati di Azione. Il segnale di un leader non più capace di essere attrattivo, nonostante una costante presenza mediatica. 

In mezzo c’è una sorta di terzo incomodo, vittima dei fuochi incrociati: +Europa di Emma Bonino e Riccardo Magi, partito reduce dalla grande delusione del 2022 quando alle politiche per una manciata di voti non ha raggiunto la soglia del 3 per cento necessaria a far eleggere dei deputati alla Camera nella parte proporzionale. Il tentativo di mettere tutti d’accordo è risultato vano. Così una fetta di elettori non avrà rappresentanti in Europa. E Bonino, ancora una volta, non rientra nelle Istituzioni.

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