«Nessuno strappo con i pacifisti, nessuno strappo con il popolo della pace», assicura Enrico Letta. Anche se è stato il primo a chiedere l’invio delle armi all’Ucraina. Lo ha fatto, cogliendo in contropiede i suoi, il giorno stesso dell’invasione, dal palco di un sit in convocato in fretta e furia a Roma sotto l’ambasciata russa. Da lì è andato dritto su quella strada: pace a Kiev, certo. Ma anche resistenza contro l’invasore russo.

Ha assicurato all’ambasciatore ucraino Yaroslav Melnyk che l’aiuto italiano sarebbe stato «concreto, non solo parole», lo ha ridetto alla prima manifestazione per la pace, poi alla fiaccolata notturna al Colosseo, poi in aula. Ha spinto perché palazzo Chigi escogitasse un meccanismo di emergenza per far votare al parlamento il sì agli aiuti militari anche «di difesa».

Infine lo ha ripetuto martedì scorso annunciando il voto alla risoluzione unitaria che derogava alla legge 185 per autorizzare «la cessione di apparati e strumenti militari che consentano all’Ucraina di esercitare il diritto alla legittima difesa e di proteggere la sua popolazione». Per tacitare qualche avemaria di dissenso da parte cattolica, ha citato il teologo luterano Bonhoeffer, impiccato dai nazisti nel 1945: «Quando un pazzo lancia la sua auto sul marciapiede, io non posso, come pastore, contentarmi di sotterrare i morti e consolare le famiglie. Devo saltare e afferrare il conducente al suo volante. È il mio dovere».

Letta si è messo nel gruppo di testa dei leader europei più attivi sul fronte ucraino. Per questo ora però non deve allontanarsi troppo dal «popolo della pace» italiano che sabato prossimo scenderà in piazza a Roma, chiamato dalla Rete italiana pace e disarmo, un cartello che riunisce le associazioni pacifiste e i sindacati confederali. La manifestazione partirà alle 13 e 30 da piazza della Repubblica per arrivare a piazza San Giovanni. E scandirà i grandi classici del disarmismo: «Contro l’aggressione della Russia, per il cessate il fuoco, contro l’allargamento della Nato, per la sicurezza condivisa». E perché «dall’Europa e dell’Italia» arrivino «soluzioni politiche e negoziali». Ieri sera dalla piattaforma è sparito il «no alle soluzioni militari», creando scompiglio fra le associazioni. Un avvicinamento oggettivo alla linea del Pd, dovuta all’attivismo dei sindacati.

La strategia dell’ascolto

Intanto da ieri Letta ha intensificato le iniziative del Pd in sostegno dei civili ucraini e di accoglienza per i profughi. E la strategia dell’ascolto delle associazioni pacifiste. Per primo ha incontrato il presidente dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo, nei giorni scorsi al centro di una contestazione per le sue posizioni anti Nato. Alla fine del confronto, un comunicato concordato fin nelle virgole parla di «un impegno e un obiettivo comune», «nella reciproca autonomia e nei diversi ruoli, opinioni diverse che seguitano a confrontarsi nel rispetto reciproco. Ci uniscono la necessità di sostenere il dialogo e la diplomazia, di stare al fianco del popolo ucraino e di lavorare perché l’attacco e l’aggressione finiscano».

Pagliarulo dettaglia: «A Letta ho detto che c’è il rischio di una militarizzazione del dibattito pubblico. Dobbiamo discutere civilmente, trasformando lo scontro in confronto. Lavoriamo per la pace, a volte convergendo, a volte in autonomia di ruoli e posizioni».

Sull’invio delle armi la divergenza è massima, anche se si tratta di sostegno alla resistenza ucraina: «C’è il rischio che la Russia lo interpreti come un gesto di co-belligeranza», secondo Pagliarulo, «Ed è un pericolo grave, che rischia di allargare il conflitto. Un innalzamento della tensione può portare all’uso delle armi nucleari. Un grave pericolo per la sicurezza del paese, per tutti. Certo, sosteniamo i resistenti ucraini, ma dobbiamo farlo con altri mezzi, non militari».

In piazza per la pace

Le divergenze ci sono, ma con l’Anpi e con le associazioni il Pd prova a scambiare un segno di pace: «La cosa importante è che, anche nelle eventuali divergenze su alcuni punti, riusciamo a mantenere la massima unità», spiega Marco Furfaro, responsabile dem dei rapporti con movimenti e associazioni, «Dalla politica e dalla società deve arrivare un messaggio unitario di pace, è il miglior aiuto a chi combatte in Ucraina e chi lavora per la pace».

Martedì scorso, alla camera, è stato possibile votare le singole parti della risoluzione. Sulle armi dai dem è arrivata una valanga di sì, astenuta solo Laura Boldrini. Da Leu solo Stefano Fassina, Erasmo Palazzotto e Flavia Timbro. Una trentina i no, tutti dall’opposizione, da Nicola Fratoianni di Sinistra italiana a una pattuglia di ex M5s.

«Martedì abbiamo fatto un webinar con i pacifisti ucraini e quelli russi. Sono tutti contrari all’invio di armi al governo di Kiev», racconta Francesco Vignarca, della Rete pace e disarmo, «è una scelta inefficace e pericolosa: tanto per cominciare sarà difficile fare in modo che non finiscano nelle mani sbagliate o che non vengano intercettate dai soldati russi. Crediamo nelle forze di interposizione e nell’informazione che spazza la propaganda, a partire da quella di Putin. In piazza come da tradizione daremo voce alle associazioni, ai sindacati, alle testimonianze da questa e dalle altre guerre. Ma vengano tutti i cittadini e le cittadine che credono alla pace, a un pacifismo maturo, attivo, pronto alla politica di relazioni e alla solidarietà internazionale».

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