«Aprite gli occhi davanti alle menzogne di Hamas». Il premier israeliano Benjamin Netanyahu rispedisce al mittente le condanne internazionali arrivate a più voci, tra cui anche l’Italia, dopo la conferma del piano di occupare militarmente Gaza City.

Lo ha fatto nel pomeriggio di domenica, in conferenza stampa, con i giornalisti internazionali, poco prima dell’inizio del Consiglio di Sicurezza Onu indetto a New York per discutere del piano di controllo di Israele a Gaza.

La conferenza stampa

Venti minuti circa di domande e risposte durante i quali il premier israeliano ha ribadito le intenzioni di portare avanti l’occupazione militare «perché è il modo più veloce per finire questa guerra e liberare la popolazione dal giogo di Hamas», ribadendo quasi in ogni risposta che la responsabilità di tutta la sofferenza a Gaza ricade interamente sul gruppo islamista.

«Gli unici a morire di fame sono gli ostaggi», ha detto, accusando Hamas di bloccare deliberatamente la distribuzione degli aiuti umanitari così come qualsiasi prospettiva di pace. «Se depone le armi e rilascia gli ostaggi, la guerra finisce domani», chiude Netanyahu.

Non è mancata la stoccata al cancelliere federale tedesco Friedrich Merz, che ha sospeso in parte l’export di armi verso Israele, e che il premier israeliano, paragonando Hamas ai «neo-nazisti», ha accusato di essersi lasciato influenzare da notizie false circolate in televisione e da gruppi interni. «Ma sarà di nuovo dalla nostra parte quando vinceremo», ha concluso, dopo avere sottolineato che Israele non ha bisogno del sostegno degli altri per vincere.

I cinque punti della «non occupazione» ma «liberazione» di Gaza, secondo Netanyahu, prevedono il disarmo di Hamas, la liberazione di tutti gli ostaggi, la smilitarizzazione di Gaza, il perimetro di sicurezza controllato da Israele e infine l’amministrazione civile «esterna». Anche su quest’ultimo punto non ci sono stati ulteriori chiarimenti in particolare sul paese o l’organizzazione che potrebbe governare Gaza.

Alla domanda specifica di una giornalista, il premier ha detto di non volere dare anticipazioni per non rischiare di intaccare le trattative che sarebbero in corso. «Ma abbiamo diversi candidati». Non sono stati chiariti nemmeno i tempi e i modi dell’operazione, se non che sarà «veloce» e prevede l’evacuazione dei quasi 800mila abitanti di Gaza City.

L’unica riposta meno prevedibile, in una conferenza dai toni del comizio politico, è stata quella sull’ingresso dei giornalisti stranieri all’interno della Striscia di Gaza, che, in base a una delibera di pochi giorni fa, a breve dovrebbero poter entrare a Gaza, «sempre nel rispetto delle norme di sicurezza».

L’incontro con la stampa si è svolto mentre migliaia di persone continuavano a protestare a Tel Aviv e Gerusalemme contro la decisione del governo israeliano, in una mobilitazione che per intensità non ha precedenti. Le famiglie degli ostaggi israeliani hanno annunciato uno sciopero generale per il prossimo fine settimana, chiedendo di fermare l’operazione e dare priorità alla liberazione dei loro cari. Mentre in un’indiscrezione fatta filtrare a Channel 12, ci sarebbe la possibilità di una ripresa dei negoziati tra Israele e Hamas in Qatar e in Egitto, nei prossimi giorni.

Il Consiglio di Sicurezza

EPA
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Dall’altra parte dell’oceano, domenica pomeriggio poco dopo le ultime dichiarazioni del premier israeliano, a New York è iniziato il Consiglio di Sicurezza Onu, convocato d’urgenza.

Da una parte è stata ribadita la condanna ferma del piano militare israeliano e la necessità di un cessate il fuoco immediato: lo hanno fatto Russia e Cina, così come lo ha fatto l’ambasciatore della Slovenia presso le Nazioni Unite, Samuel Zbogar, che ha parlato in nome dei paesi europei che siedono al momento al Consiglio di Sicurezza (i membri permanenti Francia e Regno Unito, Slovenia, Grecia e Danimarca), dicendo che l’offensiva «rischia di peggiorare la già catastrofica situazione umanitaria a Gaza e di causare lo sfollamento di massa di migliaia di palestinesi».

Dall’altra parte l’ambasciatrice americana Dorothy Shea nel suo intervento si è detta indignata per le accuse degli altri stati verso Israele, frutto di «campagne false e propaganda» e ha chiarito del tutto la posizione degli Stati Uniti, ovvero il sostegno al «diritto di Israele di difendersi dal terrorismo di Hamas».

E ha aggiunto: «In ultima analisi, Israele ha il diritto di decidere cosa sia necessario per la propria sicurezza e quali misure siano appropriate per porre fine alla minaccia rappresentata da Hamas e da altri gruppi simili».

A Gaza City

Mentre l’ambasciatrice parlava, Roaa Al-Madhoun, 22 anni, studentessa di Gaza City, era seduta in camera con il telefono in mano per seguire le notizie. «Se verremo sfollati e la Striscia sarà occupata, non esisteremo più. Per la Palestina Gaza non è solo un pezzo di terra, è la nostra identità. La storia racconta che le città che resistono sono spesso la scintilla per la rinascita. E in questo senso, Gaza è il cuore che batte in Palestina».

Roaa studia Scienze Alimentari e mentre racconta come si sente, ripete che nella sua famiglia, composta da otto persone, non c’è nessuno che non abbia perso peso. «Io ho raggiunto i 45 chili. Abbiamo un pacco di riso da dividere tra tutti. Ogni persona intorno a me soffre di qualche malattia. I nostri corpi non ce la fanno più e gli aiuti non riescono ad entrare. Quello che arriva è troppo poco e spesso viene rubato».

Gli ultimi dati diffusi dal Ministero della Salute di Gaza hanno registrato cinque nuovi decessi negli ospedali della Striscia causati dalla fame, tra cui due bambini. Le persone morte per fame dall’inizio della guerra sono 217, tra queste, 100 sono bambini.

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