Il paese che amiamo. E che ci meritiamo. In cui una squadra di donne integra colori, caratteri, emozioni. Persino i litigi. No woman no cry. E una squadra di uomini che non gioca a fare macho man, ma piange in diretta tv perché un loro compagno (e amico: infortunato) è stato costretto a saltare i Mondiali. Gridano: «Ti vogliamo bene». E «sei bellissimo». Quanta dolcezza in questo azzurro. È l’Italia del volley tutta intera. Uomini, donne: no gender gap. Almeno per quel che riguarda i sentimenti (per i soldi è tutto un altro discorso).

Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, li ha definiti «formidabili». «Complimenti. E grazie. Un ringraziamento grande, siete stati seguiti in maniera appassionata dal paese», ha aggiunto dopo aver ricevuto le due squadre campioni del mondo al Quirinale. Una cerimonia sobria, ma profonda.

divertirsi, lottare, resistere

Le bad girls di Julio Velasco. Quella squadra femminile che, dice il cittì, «è un modello da ammirare. Noi abbiamo molta diversità, ma riesce a lavorare insieme». Una diversità, dice ancora Velasco, «che comincia da me, che vengo dall’Argentina. Abbiamo giocatrici da diverse regioni d’Italia. E quelle con genitori venuti da Nigeria, Costa d’Avorio, Germania, Russia. È la nuova società in Italia e in Europa. Non devono giustificare le origini: hanno dimostrato di difendere l’ideale di questo paese. E l’hanno portato nel mondo». E poi ci sono i teneri boys di Fefé De Giorgi. «Lei è la nostra spinta motivazionale», dice il cittì a Mattarella. «Il nostro motto è stato: divertirsi, lottare, resistere».

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L’ultima volta che le due squadre della pallavolo vinsero il Mondiale nello stesso anno era il 1960, ed era stata l’Urss a riuscirci. Oggi c’è l’Italia. E, dice Velasco, «quando il presidente ci riceve, l’Italia intera ci riceve». A Mattarella sono state consegnate una medaglia, una maglietta per squadra e un pallone autografato. Tanti sorrisi, strette di mano. E la fotografia di come lo sport italiano si vuole sentire. «Sono convinto che stia venendo su una generazione positiva di giovani. Anche grazie a voi, al vostro esempio», dice Mattarella. I giocatori sono andati poi dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che ha ringraziato e fatto i complimenti. «E ci ha detto magari di vincere ancora», ha riferito Velasco.

Un movimento riconosciuto e temuto

Non c’è solo celebrazione. Lo sport è un acceleratore di vedute eccezionale. Non profetizza, mostra. Tuttalpiù anticipa. E fa vedere che c’è l’Italia nuova, quella che vince dominando. Luciano Buonfiglio, cento giorni da presidente del Coni, è già la terza volta che va al Quirinale. «Siamo ancora qua. Siete un modello». Il volley è diventato un movimento riconosciuto e temuto, gli allenatori italiani sono corteggiati ovunque (11 agli ultimi Mondiali sedevano su altre panchine) e i giocatori e le giocatrici hanno contatti (e in certi casi contratti) top. I numeri del movimento crescono a ogni stagione. Al punto che il volley è diventato lo sport più pop che c’è. Sì, d’accordo: ma il tennis? Lì ci sono i self-made-man, individualità al servizio della gloria. Nel volley no. Nessuno sport di squadra ha gli stessi risultati della pallavolo.

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Buonfiglio anticipa che «è stato presentato un disegno di legge per tenere le palestre delle scuole aperte alle società sportive, in particolare per la pallavolo». Un tema, quello dei luoghi, ricordato anche dal presidente della Federvolley, Giuseppe Manfredi. «Ogni bambino e bambina credo debba avere la possibilità di vivere la bellezza in ambienti moderni e sicuri. È una scelta culturale e persino economica. È uno dei luoghi in cui si impara anche a perdere». «Qualcosa di molto importante», dice Mattarella.

Il basket piace, ma molti traguardi restano confinati al sogno (vedremo con il nuovo ct Luca Banchi). Mentre da una decina d’anni il calcio ha perso l’aura: due Mondiali mancati, un terzo che traballa, le coppe europee di club sono spesso affar d’altri. Al contrario, nel volley we are the champions. E però c’è anche chi ammette: «Io ho perso anche parecchio». È Velasco. «Il mito di Re Mida era una maledizione. Non era una cosa bella. Noi andiamo step by step. Se uno pensa troppo in là perde il fuoco». Ma questa pallavolo è soprattutto l’Italia di domani.

Ci sono figlie e figlie di immigrati (da Paola Egonu e Miryam Sylla) e altri nati altrove ma cresciuti qui. Un’Italia che gioca come una squadra, come dice Velasco, e mica bisogna essere per forza amici. Niente santificazioni, c’è anche l’Italia che prende scelte tutte sue. Yuri Romanò che va a giocare in un club della Russia di Vladimir Putin. C’è l’idea di famiglia, ma non per forza tradizionale. Si è visto con il ko di Daniele Lavia e l’affetto dei compagni (Simone Giannelli ha portato in trionfo la sua maglia). Tutti con un merito: «Quello di aver spinto tanti ragazze e ragazzi a dedicarsi allo sport. È un contributo grande per la vita del nostro paese», aggiunge Mattarella.

Un’Italia matura. Saggia come Simone Anzani, che ha lasciato nel momento più alto. Dice: «Questa coppa appartiene a chi ha ritrovato l’orgoglio di un paese capace di primeggiare nelle sfide più difficili». Un’Italia splendida, riconosciuta nel mondo come un’eccellenza. Ragazzi e ragazze che studiano (la capitana Anna Danesi ha tre lauree: «Non ascoltate chi dice che lo sport è nemico dello studio») e non si prendono sul serio (lo ha detto Alessandro Michieletto).

E ora? La soluzione ce l’ha Velasco: «L’anno prossimo faremo come se avessimo perso per tornare qui».

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