Vittimizzazione secondaria che non si arresta, formazione obbligatoria insufficiente degli addetti ai lavori, tagli ai finanziamenti per la prevenzione della violenza di genere e ancora pochi rifugi per le donne che la affrontano. Undici anni dopo l’entrata in vigore della Convenzione di Istanbul, l’Italia deve fare i conti con lacune sistemiche che rallentano il contrasto alla violenza sulle donne.

Nel primo rapporto nazionale realizzato dal Grevio, il gruppo di esperti indipendenti del Consiglio d’Europa che ha il compito di monitorare l’attuazione della convenzione, le criticità emergono a più livelli. A partire dalle scuole. «Nell’ambito della prevenzione, l’insegnamento di materie come l’uguaglianza di genere e la violenza contro le donne rimane disomogeneo e sporadico in tutto il paese», scrivono gli esperti.

Eppure, secondo il Grevio, il contesto attuale richiederebbe un’azione capillare. Le statistiche riportate indicano un «preoccupante aumento» del 28 per cento della violenza sessuale commessa dai minori e un aumento del 57 per cento di tutti gli stupri di gruppo commessi tra 2019 e 2022. Un terzo delle vittime è minorenne e nel 78 per cento dei casi l’autore del reato ha meno di 18 anni.

Cosa manca a scuola

«La visione di pornografia violenta in giovane età aumenta l’accettazione degli stereotipi di genere, così come la tolleranza per comportamenti discriminatori, dannosi e violenti nelle relazioni sessuali», si legge nel rapporto. Nonostante questo, a scuola l’educazione sessuale resta assente, così come la nozione di stupro basata sulla mancanza di consenso, un vuoto nell’insegnamento scolastico che il Grevio sollecita le istituzioni italiane a colmare.

Il problema, però, è all’origine. In Italia non esiste alcun documento politico o normativo, che offra definizioni di violenza domestica o violenza contro le donne in linea con la Convenzione di Istanbul, né uno specifico divieto della sua condotta. A questo si aggiunge la mancanza di una formazione obbligatoria per di chi lavora nella magistratura e nei servizi sociali, necessaria a impedire una nuova vittimizzazione delle donne che affrontano la violenza.

La formazione nei tribunali

Nella loro valutazione della giustizia italiana, la formazione sulla violenza di genere è fondamentale per evitare l’alto numero di archiviazioni e il basso numero di condanne che caratterizzano il sistema nazionale. Il riconoscimento della violenza dovrebbe invece essere garantito realizzando monitoraggi periodici dei casi pendenti. «I processi continuano a essere estremamente lunghi e, anche quando si concludono con una condanna, le sanzioni non sono sempre proporzionate o dissuasive. Inoltre le vittime continuano a subire vittimizzazioni secondarie in tali processi a causa di stereotipi e pregiudizi», scrive il Grevio.

A destare preoccupazione è anche il fatto che la Riforma Cartabia non inserisce i casi di violenza domestica tra i criteri giuridici da prendere obbligatoriamente in considerazione al momento di decidere sull’affido di un minore e sul diritto di visita del genitore denunciato per maltrattamenti. Questo accade al contrario di quanto previsto dalla Convenzione di Istanbul, che riconosce la necessità di proteggere donne e figli dalla nuova violenza che un riavvicinamento con l’ex partner può generare.

In tema di prevenzione, i dati presentati nel rapporto mostrano tendenze contrapposte, su cui il Grevio chiede di invertire la rotta. Se il 54 per cento degli Italiani condivide ancora almeno uno stereotipo di genere, con il 39 per cento che crede che una donna possa evitare l’aggressione sessuale «se lo vuole davvero», i finanziamenti per la prevenzione della violenza contro le donne hanno registrato una sorprendente riduzione del 70 per cento dal 2022 al 2023.

Fondi e centri antiviolenza

A lavoro e sui media le cose non vanno meglio. Quando vengono presentate denunce di molestie sessuali sul posto di lavoro, è la donna, piuttosto che l’uomo, a subirne le conseguenze. Nel 32 per cento dei casi segnalati nel 2022, è stata infatti la vittima a subire una retrocessione, un licenziamento o a dimettersi, mentre sono state adottate misure contro l’autore soltanto nell’8 per cento dei casi. Per il Grevio poi «le rappresentazioni sessiste delle donne nei media persistono e la copertura mediatica della violenza sessuale e dello stupro spesso trasmette stereotipi e perpetua pregiudizi e miti sullo stupro».

In questo quadro, i rifugi antiviolenza in Italia non soddisfano la quota minima di un posto per famiglia ogni 10.000 abitanti. Aumentare la loro distribuzione sul territorio e garantire gli standard essenziali di qualità per i centri antiviolenza, riducendo per esempio i ritardi nell’erogazione dei finanziamenti pubblici (che spesso non risolvono comunque le carenze di risorse) è cruciale, dice il rapporto.

«Questo – secondo la Rete Dire – eviterebbe l’indirizzamento di fondi verso soggetti improvvisati nell’antiviolenza, che usano un approccio gender-neutral contrario ai principi della Convenzione di Istanbul, con un grave impatto per le donne che non vedono garantito un sostegno qualificato e specialistico».

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