I primi quattro quesiti riguardano i licenziamenti illegittimi, nelle grandi e piccole imprese, la sicurezza sul lavoro e i contratti a termine. Il quinto chiede che venga ridotto da 10 a 5 anni il termine della residenza legale per poter fare richiesta di cittadinanza. Si vota dalle 7 di domenica 8 alle 15 di lunedì 9 giugno
I referendum popolari abrogativi dell’8 e il 9 giugno prevedono cinque quesiti su cui le cittadine e i cittadini italiani sono chiamati a esprimersi. I primi quattro riguardano il lavoro, il quinto la cittadinanza. I seggi saranno aperti domenica 8 dalle 7 alle 23, e lunedì 9 dalle 7 alle 15. Perché i referendum siano validi occorre il quorum del 50 per cento più uno degli aventi diritto al voto. Raggiunto il quorum, se la maggioranza voterà “Sì” approverà la cancellazione di parte o di tutta la legge. Al contrario, il “No” significa votare contro la sua abrogazione.
primo quesito: licenziamenti illegittimi e contratto a tutele crescenti
Il primo quesito sarà contenuto nella scheda verde (fac-simile) e propone di cancellare uno dei decreti del Jobs act, la legge-manifesto del governo Renzi che nel 2015 ha spazzato via l’articolo 18 della legge 300 del 1978, lo Statuto dei lavoratori.
Con l’abrogazione si ristabilisce l’obbligo di reintegro del lavoratore – nelle imprese con più di 15 dipendenti per chi è stato assunto dal 7 marzo 2015 – nel suo posto di lavoro dopo un licenziamento illegittimo.
Secondo la Cgil, a ora sono oltre 3 milioni e 700mila le lavoratrici e i lavoratori penalizzati da questa legge. Per questo il sindacato invita ad abrogare questa norma: «Diamo uno stop ai licenziamenti privi di giusta causa o giustificato motivo».
secondo quesito: Indennità in caso di licenziamento nelle piccole imprese
Il secondo quesito, su scheda arancione (fac-simile), riguarda le regole sui licenziamenti nelle piccole imprese, con l’obiettivo di lasciare ai giudici maggiore libertà nel decidere i risarcimenti per i lavoratori. Si tratta di un’abrogazione parziale che mira a eliminare il limite massimo del risarcimento previsto, in caso di licenziamento illegittimo, nelle aziende sotto i 15 dipendenti. In caso di vittoria del sì sarebbe il magistrato a stabilire l’indennizzo, anche oltre il tetto di 6 mensilità previsto oggi. Il limite minimo resterebbe invece fissato a 2,5 mensilità dell’ultima retribuzione.
Un tema per nulla marginale se si considera che il tessuto imprenditoriale italiano è costituito in larga misura da piccole imprese, in cui lavorano circa 3,7 milioni di persone: secondo l’Istat, le realtà produttive fino a 9 addetti costituiscono più del 90 per cento delle aziende e occupano poco meno della metà della forza lavoro.
terzo quesito: contratti di lavoro a termine
Il terzo quesito, su scheda grigia (fac-simile), riguarda la disciplina dei contratti a tempo determinato e chiede l’abrogazione delle norme del Jobs act che consentono al datore di lavoro di assumere lavoratori fino a 12 mesi senza «causale», senza cioè specificare il motivo per cui a un contratto a tempo indeterminato si preferisce uno a termine.
Attualmente, con le norme in vigore, i datori di lavoro possono stipulare contratti a tempo determinato e prorogarli o rinnovarli fino a dodici mesi senza dover specificare una ragione giustificativa. La causale è richiesta solo se i contratti superano i dodici mesi e fino al limite massimo di durata di ventiquattro mesi.
L’indicazione della causale è importante perché permette al lavoratore di contestare la validità del contratto e richiedere al giudice di convertirlo in un contratto a tempo indeterminato se la causale non è valida o sufficiente a giustificare la scelta del datore di lavoro.
Quarto quesito: responsabilità solidale in materia di appalti
Il quarto quesito, su scheda rosa (fac-simile), chiede di abrogare la frase dell’articolo 26 del Testo unico del 2008 sulla sicurezza sul lavoro che esclude la responsabilità solidale del committente per i rischi specifici delle attività delle imprese appaltatrici e subappaltatrici.
Oggi il committente, colui che affida l’appalto, non è responsabile per gli infortuni dovuti a negligenze o violazioni delle normative da parte dell’appaltatore o subappaltatore. La responsabilità ricade solo sull’azienda che esegue il lavoro, non su quella che lo ha commissionato.
Per esempio, in un appalto per la costruzione di un edificio, i rischi legati agli interventi di rifacimento di facciate, tetti, solai, muratura che possono essere affidati in subappalto a un’impresa specializzata. Se vince il sì, negli appalti e subappalti in caso di un incidente sul lavoro, la responsabilità civile e risarcitoria verrebbe estesa al committente oltre la quota già risarcita dalla previdenza pubblica. Si mira a spingere le ditte appaltanti a fare più attenzione alla verifica e al controllo delle misure di sicurezza adottate dagli appaltatori e subappaltatori.
Quinto quesito: cittadinanza
Il quinto quesito, su scheda gialla (fac-simile), chiede di abrogare una parte della legge 91 del 1992, portando da 10 a 5 anni il requisito della residenza legale previsto per i cittadini di paesi fuori dall’Ue (per i comunitari sono sufficienti quattro anni) per poter fare richiesta di cittadinanza per naturalizzazione. Si tornerebbe alla situazione precedente al 1992, quando è stata introdotta la legge ancora in vigore con uno degli standard più restrittivi d’Europa.
Una volta ottenuta la cittadinanza italiana con questo nuovo requisito, il referendum consentirebbe poi di trasmettere automaticamente ai figli e alle figlie minorenni. Potenzialmente, l’abrogazione parziale potrebbe coinvolgere circa 2,5 milioni di persone di origine straniera, consentendo loro di fare domanda di cittadinanza.
Rimangono però tutti gli altri requisiti: oltre alla documentazione – certificati di nascita, casellario giudiziale del paese di origine, non sempre facili da reperire – e alla conoscenza della lingua italiana, la legge prevede un reddito minimo, che spesso è un grande ostacolo vista la precarietà lavorativa o il lavoro nero.
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