«Dopo quasi un anno dalla fine del nostro percorso accademico, torniamo qui per ritirare i nostri diplomi e ci chiediamo se ritroviamo un Centro Sperimentale migliore di come l’abbiamo lasciato, e purtroppo la risposta è no». Si rivolgono a una sedia vuota gli studenti del Centro Sperimentale di Cinematografia, che venerdì 11 luglio durante la consegna dei diplomi (equiparati a laurea triennale) hanno preso parola per leggere una lettera indirizzata al ministro della Cultura Alessandro Giuli, che doveva presenziare insieme alla ministra dell’università Anna Maria Bernini. Una delegazione governativa inusuale per una cerimonia di una scuola di cinema.

Ma gli studenti, con l’esecutivo, hanno un conto in sospeso. «Due anni fa c’è stato un presidio in cui, per la prima volta dopo tanto tempo, abbiamo provato ad essere noi i protagonisti della nostra scuola», ricordano. «Non più fruitori di un servizio, ma componenti di una istituzione a cui guardiamo con orgoglio e ammirazione: un riferimento per il cinema italiano e non solo».

«Ecco perché oggi, da diplomati, non possiamo fare finta di nulla. Entrando nel mondo del lavoro, ci siamo accorti che quello che è accaduto dentro questa scuola somiglia pericolosamente a quello che accade fuori. Fuori, come qui dentro, la cultura è sempre più subordinata al profitto», si legge nella lettera.

E continua: «Viviamo nel paradosso di un Paese che ama celebrare la cultura, ma che sistematicamente umilia, taglia, precarizza chi quella cultura la costruisce ogni giorno. Diciamolo con chiarezza: questa politica culturale non ha una visione. Ha solo un bilancio. E un bilancio non è un’idea».

«Il compito delle istituzioni – concludono gli studenti – non dovrebbe essere quello di premiare chi ha già, ma piuttosto di promuovere chi sta iniziando. Di garantire spazi, errori, possibilità. Perché la cultura non è un mercato. È un bene immateriale». E rivolgendosi all’assente Giuli, affermano di cercare «una discussione reale, che non sia giocata sulla pelle di chi è più fragile nel sistema».

A prendere parola subito dopo è Federico Mollicone, presidente della commissione cultura alla camera. Anche la sua presenza è inusuale, visto che con le ragazze e i ragazzi della scuola di via Tuscolana, il deputato di Fratelli d’Italia ha da sempre avuto un rapporto molto teso.

Il perché risale a due anni fa, estate del 2023. In quell’anno, l’istituto di cinema che sorge al fianco di Cinecittà è stato “lottizzato”. Il suo statuto sconvolto con un emendamento nascosto nel mucchio del Dl giubileo, e la sua struttura quindi modificata, dal Cda della Fondazione (che comprende anche la Cineteca Nazionale) al comitato scientifico (che si occupa della didattica). Sono due organi, insieme alla presidenza, i cui membri sono ora scelti da quattro diversi dicasteri, ampliando il già esistente spoil system.

Proprio Mollicone è stato cofirmatario dell’emendamento “fantasma”, promettendo di ricevere gli studenti in quei giorni di fuoco. Ma nonostante il presidio della scuola, il sostegno del mondo del cinema e una manifestazione davanti a Montecitorio, quell’incontro non si è mai concretizzato. E da quel momento anche i rapporti con la nuova presidenza del Centro, quella dell’attore Sergio Castellitto, non sono mai stati dei più sereni.

«Ho grande rispetto, venendo dalla politica studentesca di tutti i livelli, delle rivendicazioni di chi, da studente, chiede garanzie. Voglio rassicurare i ragazzi. Purtroppo, molto spesso, non si riesce. Siamo riusciti ad aumentare i fondi al Centro sperimentale di Cinematografia grazie al Ministro Giuli», afferma Mollicone. E si dice aperto al confronto.

L’aumento al bilancio del Csc ammonta a 600mila euro per l’anno in corso. Soldi che, come ha chiarito a Domani la nuova presidente della Fondazione Gabriella Buontempo, «saranno destinati a sostenere lo svolgimento delle attività istituzionali della Fondazione, consentendo di garantire e rafforzare i più elevati standard qualitativi nella didattica, nella ricerca, nella produzione artistica e culturale e nelle attività della cineteca nazionale”.

Sulla Cineteca Nazionale si apre un’altra parentesi, visto che la scorsa estate un incendio in un cellario ha bruciato circa 500 pellicole (cioè 220 film) conservate nella struttura su via Tuscolana. Un incendio inizialmente tenuto nascosto all’opinione pubblica e poi segnalato dal deputato di Avs Marco Grimaldi tramite un’interrogazione parlamentare.

Le pellicole bruciate erano in nitrato (altamente infiammabile, anche per autocombustione) ed erano copie di copie, prima appartenute a una collezione privata. Il Csc aveva raccontato a Domani che gli spazi attuali erano «inadeguati» alla conservazione, e che stavano valutando l’acquisto di nuove strutture, oltre alla restaurazione di quanto andato a fuoco.

Buontempo ha ora riferito a questo giornale che «la Fondazione riserverà particolare attenzione alle attività afferenti al rinnovamento tecnologico e delle strutture immobiliari», e segnala che è stato avviato dal governo un progetto di ristrutturazione della caserma dismessa Cerimat, su via Prenestina, a Roma. «L’obiettivo è di destinarla a usi culturali polivalenti, tra cui la realizzazione di un nuovo deposito filmico per la Cineteca Nazionale».

Di seguito pubblichiamo la lettera integrale degli studenti del Centro Sperimentale di Cinematografia.


Buonasera,

Siamo felici di essere qui a celebrare con le nostre famiglie, gli insegnanti, ma soprattutto i nostri colleghi, la fine di un percorso così unico e impegnativo.

Tuttavia, vorremmo usare questo spazio non solo per i ringraziamenti. Ma come un’occasione, rara e necessaria, per uno scambio di riflessioni su ciò che è stato, preoccupazioni per il presente e, se possibile, visioni per il futuro.

Due anni fa c’è stato un presidio in cui, per la prima volta dopo tanto tempo, abbiamo provato ad essere noi i protagonisti della nostra scuola.

Non più fruitori di un servizio, ma componenti di una istituzione a cui guardiamo con orgoglio e ammirazione: un riferimento per il cinema italiano e non solo.

Dopo quasi un anno dalla fine del nostro percorso accademico, torniamo qui per ritirare i nostri diplomi e ci chiediamo se ritroviamo un centro sperimentale migliore di come l’abbiamo lasciato, e purtroppo la risposta è no.

Abbiamo consegnato una scuola in crisi e ritroviamo ora una scuola ancora più fragile.

Le rette sono sempre più alte, le borse di studio inferiori e mai garantite, e di conseguenza l’accessibilità sempre più appannaggio di pochi.

Ecco perché oggi, da diplomati, non possiamo fare finta di nulla. Entrando nel mondo del lavoro, ci siamo accorti che quello che è accaduto dentro questa scuola somiglia pericolosamente a quello che accade fuori.

Fuori, come qui dentro, la cultura è sempre più subordinata al profitto. E negli ultimi anni le piccole produzioni sono state sacrificate e le sperimentazioni escluse, sfavorendo così il fiorire di nuovi sguardi.

E questa crisi non riguarda solo il cinema. I teatri, le residenze artistiche, le compagnie locali sono tra i primi a pagare il prezzo di una politica che valuta tutto in base al rendimento.

Viviamo nel paradosso di un Paese che ama celebrare la cultura, ma che sistematicamente umilia, taglia, precarizza chi quella cultura la costruisce ogni giorno.

Diciamolo con chiarezza: questa politica culturale non ha una visione. Ha solo un bilancio. E un bilancio non è un’idea.

A chi ci guarda da fuori con sospetto – pensando che i fondi destinati alla cultura siano appannaggio di una élite — diciamo che non è vero. Esiste, sì, un élite da smantellare all’interno di questa industria ma ci sono anche tanti lavoratori.

Siamo lavoratori. Anche quando veniamo pagati solo in visibilità. Anche quando veniamo celebrati come “giovani promesse”, pur avendo già trent’anni e un curriculum pieno di

micro-lavori, di collaborazioni sottopagate, di ruoli che non esistono nei contratti ma che riempiono le giornate e spesso la notte.

Siamo parte della forza lavoro invisibile che tiene in piedi il sistema. Il compito delle istituzioni non dovrebbe essere quello di premiare chi ha già, ma piuttosto di promuovere chi sta iniziando. Di garantire spazi, errori, possibilità.

Perché la cultura non è un mercato. È un bene immateriale.

Il valore dell’arte sta nella sua capacità di trasformarci, di farci pensare insieme, di abitare il mondo in modo diverso. Per questo crediamo che non si debba favorire un profitto momentaneo a un’opera che rimanga nel tempo.

“Giudicare un film dal box office è come giudicare una chiesa dal numero di candele vendute.”

E se oggi, in questo discorso, ci tocca il ruolo degli idealisti, lo accettiamo. Ma non siamo ingenui.

Vogliamo costruire un’industria diversa, che includa invece di selezionare, che favorisca la pluralità, invece di premiare sempre gli stessi.

E ci rivolgiamo direttamente a lei, Ministro Giuli, con rispetto e con franchezza: la sua presenza oggi ha senso solo se saprà davvero ascoltarci.

Non cerchiamo una passerella, né un riconoscimento simbolico. Cerchiamo una discussione reale, che non sia giocata sulla pelle di chi è più fragile nel sistema.

Non chiediamo protezione. Chiediamo ascolto, spazi, regole chiare, possibilità. Chiediamo che la cultura non sia solo memoria, ma anche futuro.

Siamo artisti. Ma anche artigiani.

Siamo sognatori. Ma anche lavoratori.

E crediamo ancora, ostinatamente, che la cultura sia un bene comune.

Grazie

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