Nel suo ultimo libro, Solo i folli cambieranno il mondo. Arte e pazzia (Il Mulino 2023), Lamberto Maffei, già presidente dell’Accademia dei Lincei e professore emerito di neurobiologia presso la Scuola Normale di Pisa, torna su un argomento a cui ha dedicato particolare attenzione in Arte e cervello, un denso saggio del 1995, scritto a quattro mani con la fisica Adriana Fiorentini. Maffei prende spunto da figure che con il loro stile di vita e con il loro pensiero hanno manifestato una libertà creativa considerata anomala e “folle” dalle persone comuni. È accaduto così a Socrate o a Diogene, ed è accaduto così anche a  svariati artisti, da Van Gogh a Rimbaud, il cui spirito ricorda l’Elogio della follia di Erasmo, che costituisce per Maffei un riferimento costante.

Fantasia surreale

Nel mondo dell’arte visiva egli identifica in particolare nel surrealismo la tensione verso il fantastico che prende corpo nelle immagini. La Biennale di Venezia del 2022 esprime, a suo avviso, come questo sentire sia ancora presente nel nostro tempo. Lo testimoniano i lavori di Leonora Carrington, Remedios Varo e Cecilia Vicuña. L’opera a cui Maffei si riferisce in modo specifico è La comegente (La mangiatrice di persone) del 1971.

Vicuña, artista, poetessa e attivista cilena nata a Santiago nel 1948, presenta in quest’opera una figura mitica che divora persone malvagie al fine di rigenerare un mondo fondato su nuove basi. Queste fughe dal reale non costituiscono dunque una resa rispetto a una società in cui si fa fatica a riconoscersi, ma indicano delle alternative possibili. La tendenza a privilegiare sempre il principio di realtà rischia di appiattirci acriticamente, subordinando ogni scelta al calcolo veloce dell’algoritmo.

La nostra epoca, come scriveva Milan Kundera, è ossessionata dal desiderio di dimenticare. Si abbandona per questo al demone della velocità e accelera il passo per farci capire che ormai non vuole più essere ricordata. Valorizzare il pensiero divergente rispetto alle opinioni più diffuse significa allora cogliere le sollecitazioni che provengono da quanti dissentono, scegliendo forme espressive che appaiono bizzarre, inutili, o addirittura folli, proprio perché sfuggono ai canoni della razionalità strumentale e all’abitudine, definita da Maffei come un’autostrada verso la robotizzazione del sistema nervoso.

Reinventare

La follia di cui parla Maffei non si identifica ovviamente con una grave patologia psichica, ma con quella capacità di «reinventare continuamente il reale» che lo psichiatra Hans Prinzhorn aveva riscontrato in alcuni artisti espressionisti nelle cui opere  si possono riscontrare i sintomi di una sindrome schizoide. Al termine follia si possono allora associare persone che prendono le distanze dal senso comune, in cui Picasso vedeva un ostacolo alla creatività. La follia, così intesa, rappresenta, come sosteneva Basaglia, un aspetto della condizione umana che coesiste con la ragione.

Questo tema è stato da sempre al centro della riflessione filosofica, come dimostra il celebre passo del XXX dei Problemata di Aristotele, in cui leggiamo che tutti gli uomini eccezionali nella filosofia come nella politica, nell’arte o nella letteratura, hanno un temperamento “melanconico”, che oggi considereremmo una sindrome depressiva.

Patologie

Nell’ambito della psicopatologia si possono riscontrare casi di artisti sicuramente affetti da sindromi schizoidi che, come Edvard Munch, affidano alle immagini il compito di comunicarci la loro visione del mondo. Maffei sottolinea come il salotto del professor Emil Zuckerkandl, preside della facoltà di medicina di Vienna, rappresentasse un luogo privilegiato, in cui la psicoanalisi freudiana e l’evoluzionismo di Darwin entravano in dialogo con il mondo della letteratura e dell’arte, producendo anche scandalo negli ambienti conservatori. Tra i frequentatori di quel salotto vi era Gustav Klimt, il cui interesse verso le indagini microscopiche lo condusse a indagare sugli aspetti biologici delle pulsioni.

Queste sue ricerche ci fanno comprendere perché nel quadro Il bacio, del 1907, si possono riconoscere in modo allusivo ovuli e spermatozoi in uno spazio figurativo che ricorda le dorature bizantine. In tale clima si colloca anche l’opera di Oskar Kokoschka, fortemente segnata dalle teorie freudiane sulla sessualità infantile. Il quadro I bambini che giocano, del 1909, produsse grande disagio a Vienna come a Dresda e fu poi accolto alla National Gallery di Londra.

Cosmo e caos

La pretesa di voltare le spalle alla razionalità, dichiarata da André Breton sia nel Manifesto del Surrealismo del 1924, sia nel convegno del 1947, non risulta però del tutto convincente. Non esistono infatti, secondo Maffei, i neuroni dell’irrazionalità. Sono quelli “razionali” che, consapevolmente, scelgono di pensare irrazionalmente, dal momento che l’irrazionale, in senso radicale, si manifesta solo nella malattia mentale.

Il confronto controverso tra ragione e irrazionalità, ordine e caos, non può prescindere dal fatto che un cosmo è sempre preceduto da un caos, da cui lentamente prende forma. La dissonante armonia, che si può incontrare nel surrealismo, trova espressione nell’Action Painting. È noto che Jackson Pollock non considerava i dripping come risultato casuale delle sgocciolature. Le sue dichiarazioni hanno poi trovato riscontro in un’indagine matematica condotta con il metodo dei frattali, in cui  è  stato dimostrato che i dripping riflettono un ordine interno concepito dallo stesso Pollock.

Questo dimostra come per gli artisti il percorso che conduce dal caos alla forma non è lineare, ma presenta le pause e i ripensamenti attraverso cui si costruisce una poetica. Ciò che accade all’artista non è dissimile rispetto a ciò che accade quando si elabora un pensiero che prende le mosse da un’intuizione i cui contorni possono apparire in principio del tutto vaghi. Il cervello, scrive Maffei in Elogio della lentezza (2014), si struttura lentamente, e se la tecnologia ha reso più veloci le comunicazioni, quelle fra i neuroni sono rimaste immutate.

Le reazioni rapide agli stimoli esterni, connesse alla sopravvivenza, risalgono alle origini dell’evoluzione e hanno un carattere per lo più automatico. La tecnologia digitale si rivolge agli aspetti più arcaici dell’emisfero destro senza valorizzarne le risorse creative. Pone dunque in ombra le funzioni dell’emisfero sinistro, che presiede al pensiero lento e costituisce una fase più recente dell’evoluzione. Il prevalere dell’immediatezza degli istinti potrebbe allora alimentare la legge del più forte, che la morale e il diritto hanno contribuito ad arginare nel corso del tempo.

Queste tendenze sono supportate da strumenti indifferenti alle istanze morali, che stanno gradualmente sostituendo i decisori politici. Le tecnologie concepite dall’uomo per esercitare un dominio razionale sulla realtà rischiano così di trasformarsi, come ha scritto Remo Bodei, in autorità cui sottomettersi. I limiti di un pensiero che aspiri esclusivamente all’utilità e all’efficienza, affrancandosi dalla gratuità dell’immaginazione, sono drammaticamente evidenti.

Arte e lentezza

La creatività artistica, come la riflessione filosofica e la ricerca scientifica, non trovano il loro terreno propizio in un clima governato dall’efficienza e dalla rapidità, ma amano la lentezza che scandisce il loro cammino. Nella nostra realtà quotidiana assistiamo a forme di controllo che si estendono agli ambiti più diversi, senza tuttavia riuscire a prevedere situazioni imponderabili, come è recentemente accaduto nel caso della pandemia. La velocità ci aiuta a dimenticare tutto questo, sottraendo spazi alla meditazione.

 Il pensiero divergente, come la follia erasmiana evocata da Maffei, ci suggerisce di fermarci e ci spinge a riflettere. Uno scienziato, un artista o un filosofo potrebbero allora riconoscersi pienamente in un aforisma “socratico” di Ludwig Wittgenstein, per il quale «nella corsa della filosofia vince chi sa correre più lentamente. Oppure: chi raggiunge il traguardo per ultimo».

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