Clerici regalò a Federer il libro di Freud perché capisse che Nadal non era più forte, era lui che se ne era fatto un complesso. Speriamo che dopo la sconfitta a New York, per il tennista italiano Alcaraz non diventi un complesso. Sotto il cielo di Roma ho finito di leggere Il prodigio, è un romanzo in diretta, bellissimo
Domenica scorsa
Guardo la finale di New York sorseggiando Mojito: le partite di tennis sono troppo lunghe per il Martini. E penso a quando Gianni Clerici regalò a Federer L’interpretazione dei sogni perché capisse che Nadal non era più forte, era lui che se ne era fatto un complesso. Spero che a Sinner non venga il complesso di Alcaraz. Comunque oggi Jannik è una pasta De Cecco scotta, un Rolex che va indietro, una bustina di Enervit scaduta. Ha perso la connessione Fastweb con il suo solito, invincibile tennis.
Purtroppo vince Alcaraz, in canottiera, smanicato come Marianna Aprile. Abbozzo un verso adatto a questi giorni di lutto nazionale per Armani: Aprile è la mise più crudele.
Lunedì
Aspettando l’Italia di Gattuso stasera, sbrigo la posta arretrata. Pio Ciampa vive sulla Costiera Amalfitana ed è uno dei miei lettori più antichi, fedeli ed estrosi.
Mi dà ragione sulle mie idiosincrasie (Alberto Sordi, Enzo Biagi e Pippo Baudo) e scrive: «Baudo (soprattutto!), che si offese quando lo definirono nazionalpopolare. Il grande Uolter Veltroni gli dedica sul Corriere pagine di nulla, aria fritta. E gliela pubblicano pure».
Pio fa le sue classifiche personali: «Arbore è un’altra cosa, a partire da Alto gradimento. Un genio. Il miglior attore italiano per me è Volonté, seguito da Mastroianni, per il fascino, Gassman segue a distanza. Peccato che ci toccheranno generazioni di Gassman, ora tocca alla terza. I soliti raccomandati all’italiana, vedi Castellitto!».
Poi Pio mi racconta le sue vacanze: «Sono stato a Brunico. Il turismo e l’avidità stanno rovinando anche le Dolomiti. Oggi la vera montagna la trovi in Basilicata e Calabria. Lo strudel di mele è un dolce mediocre, i cannoli, le cassate, le paste di mandorla sono dolci del Paradiso. Prima o poi dobbiamo rifondare il regno delle Due Sicilie. Tu sarai sempre ministro della cultura, Aurelio De Laurentiis, presidente, lo sceriffo De Luca, lo metterei in giunta per allegria. È l’unico caso in cui l’originale è più divertente delle caricature. Ciao».
La Nazionale vince 5-4 con Israele. Gianni Brera vedendo tutti quei gol presi avrebbe scritto che questo non è calcio, però è molto divertente. Il calcio non è più quello di Brera, difensivistico e un po’ moralistico: subire gol per Brera equivaleva simbolicamente a una sottomissione sessuale. Oggi anche il pallone è più fluido.
P.S. Però Volonté no. Pessimo attore. Basterebbe fare un paragone tra il suo commissario (Indagine su un cittadino su un cittadino al di sopra di ogni sospetto) e il commissario Santamaria di Mastroianni (La donna della domenica).
Martedì
Per soave intercessione della sorella Rosanna, una volta chiesi ad Armani una classifica degli scrittori più eleganti. Vinse Tomasi di Lampedusa. Fu buonissimo, trovò elegante perfino Sciascia che sembrava la pubblicità dell’uomo in Lebole.
Ho cercato l’intervista in archivio e non l’ho trovata. Però ho trovato una intervista (non mia) dove l’architetto Fuksas dice una cosa che fa riflettere sui destini dell’architettura e, forse, del mondo: «Quando io ho fatto la Maison Armani (che naturalmente non è una casa) a Hong Kong sono usciti 1.156 articoli che ne parlavano e pubblicavano la foto. È il mio record personale. Ecco, io sono pronto a scommettere che se facessi una casa bella come quella sulla cascata di Wright non scrivereste 1.156 articoli con foto, perché un architetto che fa case non fa notizia. Questo è spaventoso».
Al telegiornale proclami filoputiniani di Vannacci. Sembra Travaglio. Ho letto una preghiera di Adriano Sofri agli altri ospiti del programma della Gruber (da Cacciari a Mieli) perché sconfessino le balle spaziali di Travaglio sulla genesi della guerra in Ucraina. Travaglio è filiera Montanelli, un figlioccio. Montanelli scriveva benissimo ma, forse, è un altro mito italiano (come Sordi, Baudo, Biagi) da rivedere. Magari leggendo Indro Montanelli (1909-2001) di Sandro Gerbi (Hoepli 2014), libro bello, documentato, coraggioso e molto censurato all’epoca.
Non trovo più in archivio una mia stroncatura di Montanelli e Biagi. Temo un boicottaggio?
Carlo Antonelli e Luca Guadagnino sono ormai gli Alex e Franz dei necrologi del Corriere. La loro ultima performance è, secondo Concita De Gregorio, «un editoriale, fra i più riusciti» in morte di Armani. Il finale dice: «Dimenticavamo: mai abbastanza è stata sottolineata la prestanza fisica dell’uomo. Le spalle, proporzionatissime. Il collo, scolpito. Il viso, perfetto, marinaresco, irreale. La potenza fisica, le gambe, l’ombreggiatura del cavallo. Distante, statuario, sempre assorbito da una scolpitura classica del suo portamento, verrà ricordato in eterno anche per questo: bellissimo, bellissimo, bellissimo».
Il concetto è giusto, ma l’esecuzione (l’ombreggiatura del cavallo?) sembra un attacco di stupidera gay.
Mercoledì
In treno per Roma penso che la pagina dei necrologi del Corriere è diventata una specie di Facebook funerario. Lo è sempre stata? Voltiamo pagina (dei necrologi), ma prima un’ultima perla: «Abbraccio Roberta con tanto affetto per Giorgio. Tua suocera Lina Sotis».
Giovedì
Roma è il posto ideale per finire Il prodigio, il romanzo di Fabrizio Sinisi (Mondadori), perché a Roma si vede sempre il cielo, a differenza di Milano (dove, credo, sia ambientata la storia). Ed è appunto in cielo che, come racconta Sinisi, appare una mattina un volto inquietante: «È inequivocabilmente la forma di una faccia. Uno smile colossale, piuttosto rozzo». Che si tratti di Dio in persona venuto ad affacciarsi e magari a piangere sul latte (sangue) versato? O forse anche Lui non ha resistito alla tentazione di farsi un selfie?
L’idea dell’apparizione è forte e con una tempistica perfetta visto come sta andando il mondo. Ovviamente la muta e incombente presenza scatena rivolgimenti d’ogni tipo. Siamo nei dintorni dell’Apocalisse: gli animali (cani e gatti compresi) si ribellano quasi orwellianamente agli umani. Quest’ultimi inscenano rivolte e insurrezioni (li capitana un Generale: un po’ un quadro di Baj, un po’ il succitato Vannacci), ma si abbandonano anche a una foia sessuale più contagiosa del Covid.
Ci vuole molta ironia per raccontare una materia così incandescente e Sinisi ne ha. Un esempio è l’episodio del «quarantenne in giacca e cravatta» che si presenta nel confessionale di don Luca, il prete smart narratore e protagonista del romanzo. L’executive confessa, «come stesse parlando non al suo parroco ma a un consulente erotico», che quella mattina stava per fare l’amore con la moglie quando, tra le tende scostate, ha visto il faccione in cielo. Era così scenografico che «lo attizzava – così mi dice, “mi attizzava, rooftop”».
Venerdì
Rileggo frasi del Prodigio che ho appuntato sul taccuino. La prima dice: «Uno pensa al Male sempre con la maiuscola, azioni epiche e infami, incresciosi tradimenti shakespeariani, e invece no, il vero male non gode del privilegio della maiuscola». La grande Hannah Arendt colpisce ancora.
La seconda frase è di un prete, un collega di don Luca: «Sappi, amico mio, che è venuto il tempo in cui i pagliacci diventano i padroni del mondo». E suona ormai come una ex profezia.
Questo è un romanzo in diretta, è un instant book, bellissimo, ispiratissimo. Soprattutto necessario. Viene da un altro pianeta, come se l’avesse dettato il faccione in persona.
Ma chi è Fabrizio Sinisi? Farò qualche ricerca nel weekend. Di sicuro è uno che ha orecchio per la grande poesia come quando cita i versi di Leopardi da All’Italia: «Parea ch’a danza e non a morte andasse / ciascun de’ vostri, o a splendido convito».
Per raffreddare un po’ il motore della rubrica (con Sinisi ho rischiato di fonderlo), vi racconto una poesia di Valentino Zeichen, grande poeta e grande amico. Comincia così: «Di molti addii siamo stati ripetutamente orfani».
Di tutti questi addii quello che ha segnato il lutto più grave per Valentino «è l’uscita di catalogo del Bally modello 758-2211-908». Il Bally è un sandalo svizzero con plantare ortopedico che fu fedele compagno del poeta nelle lunghe camminate «al tempo dell’autostop».
Questo sì che è un necrologio come Dio comanda.
Per scrivere ad Antonio D’Orrico: lettori@editorialedomani.it
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