Per Fratelli d’Italia le europee si sono chiuse meglio dei pronostici più realistici: 28,8 per cento, per 6,7 milioni di voti assoluti. Ma soprattutto 2,3 milioni di italiani hanno votato «Giorgia», realizzando così l’obiettivo plebiscitario della premier, che è sempre più donna sola al comando di un partito plasmato a sua immagine.

«Risultato clamoroso e non scontato» che «non è per me stessa», ha detto Meloni. Eppure è su di sé che ha costruito la strategia del partito, tra battute a Vincenzo De Luca e spot fuori dal silenzio elettorale. Nessun ministro candidato e nessun big, fatti salvi gli eurodeputati uscenti, di cui solo Carlo Fidanza e Nicola Procaccini sono anche volti nazionali. Evitare di far crescere leadership che col tempo magari potrebbero diventare alternative ha tuttavia un rovescio della medaglia: far emergere ancora più plasticamente la mancanza di una solida classe dirigente.

Del resto, la paura prima del voto per FdI era proprio questa: tolto il nome della premier, le liste non potevano considerarsi davvero competitive. A certificare il prezzo della volontà plebiscitaria della premier bastano i risultati degli altri 23 eletti che non sono Meloni.

I secondi classificati hanno raccolto meno che le briciole: nel Nord-Ovest Carlo Fidanza ha raggranellato 50mila voti (contro i 623mila di Meloni); nel Nord-Est Elena Donazzan è arrivata a 63mila (contro 493mila); al Centro Nicola Procaccini ha toccato i 91mila (contro 487mila); al Sud Alberico Giambino ne ha totalizzati 92mila (contro 549mila) e infine nelle Isole Giuseppe Milazzo si è fermato a 65mila (contro 242mila).

I numeri delle europee vanno presi con la dovuta cautela di una elezione segnata dall’astensionismo di più del 50 per cento degli elettori, tuttavia tracciano un nuovo profilo di FdI. Il partito di Meloni, nato romanocentrico e cresciuto nel clima familiare della capitale, è sempre più un partito con la testa al Nord.

In entrambi i collegi la premier ha fatto il pieno di preferenze e FdI veleggia su percentuali bulgare nelle principali regioni: 31 per cento in Lombardia e addirittura 37 per cento in Veneto. Entrambe guidate da presidenti leghisti, proprio l’exploit veneto potrebbe rappresentare l’ipoteca sul prossimo presidente della regione.

Qui la corsa è già cominciata: la regione è terreno elettorale del ministro Alfredo Urso, e alle europee ha addirittura migliorato il risultato delle politiche 2022. Della sua area è anche l’ex missina Elena Donazzan, da vent’anni in consiglio regionale, radicatissima sul territorio, il cui buon risultato verrà messo sul tavolo non solo della coalizione, al momento di decidere della successione a Luca Zaia nel 2025. Infatti, la prima sfida è dentro FdI: l’uomo forte in regione, legato a Francesco Lollobrigida, è il deputato Luca De Carlo, che però non può far leva sullo stesso radicamento.

Per un ministro che consolida il suo risultato territoriale, un altro perde terreno in vista delle regionali. Nella Puglia di Raffaele Fitto, infatti, il risultato si è capovolto rispetto alle politiche, con FdI al 26,9 sconfitto dal Pd al 33 per cento. Nel 2022 i dem erano fermi al 16 per cento contro il 23,4 di FdI. Il dato pugliese, tuttavia, è in linea con quello meridionale, unico collegio in cui il partito di governo è stato superato dai dem.

Avanti tutta

Nonostante la vittoria lampante, tuttavia, la strategia di Meloni è quella di una veloce archiviazione del dossier elettorale. «Mai temuto scosse per il governo», ha ribadito a Cinque minuti, si è complimentata con Schlein e ha gioito per un «avvicinamento al bipolarismo», poi ha chiuso con un: «Il centrodestra è come un’orchestra, ciascuno contribuisce all’armonia». Tanto che a scrutinio ancora in corso si è svolta una riunione del Cdm e sono stati approvati un decreto legge per la ricostruzione post calamità e uno per lo svolgimento di grandi eventi internazionali. Nel pomeriggio la presidente del Consiglio si è diretta in Puglia, in vista del vertice del G7 che si terrà a Borgo Egnazia da giovedì a sabato.

Il sottinteso evidente è che questo voto non dovrà impattare in alcun modo sul governo: la squadra dei ministri non cambia e il lavoro prosegue come sempre. Anzi, il risultato europeo fortifica la solidità dell’esecutivo, anche rispetto al crollo dei presidenti di Francia e Germania attesi al G7: «La maggioranza è più forte».

Dietro le quinte, tuttavia, almeno un riflesso è già emerso: si rafforzerà l’asse tra FdI e Forza Italia, diventata secondo partito di maggioranza ma soprattutto forza del Partito popolare europeo che darà vita alla prossima Commissione. Meloni avrà in Tajani – come già nei mesi scorsi – un ottimo alleato con cui tessere una rete in Europa nell’interesse del governo italiano.

Ora, infatti, iniziano i giochi per la composizione della prossima maggioranza europea, di cui difficilmente il gruppo dei Conservatori europei farà parte. «È presto per dare una risposta, stiamo ancora raccogliendo i dati per capire le possibili maggioranze. In ogni caso l’Ue dovrà guardare più al centrodestra», è stato il prudente commento di Meloni a Rtl, che è sembrato meno categorico del passato nel negare possibilità di accordo.

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