È tornato a trovarmi il pusher di ottimismo, come promesso, in una settimana in cui l’unica notizia veramente buona è che Salman Rushdie se l’è cavata. No, in realtà, qui ce ne sono altre; con il grande piano di rilancio dell’economia e lotta al cambiamento climatico, i dem stanno risalendo nei sondaggi e lo sento dai discorsi delle persone che frequento, che si informano sui diecimila dollari di sconto se compri un’auto elettrica, sui pannelli solari quasi gratis, sul già agognato pick up elettrico della Ford, lo storico T 50, che sarà per il mito americano quella che è stato 15 anni fa l’iPhone… Il tutto dovrebbe dare qualche speranze per le elezioni di mid term, quelle che tutti aspettano per annunciare la morte di Biden e la conferma che nessuna America esiste senza Trump, senza il populismo.

Un libro da rileggere

Il mio dispensatore di ottimismo ha tirato fuori dalla giacca un foglietto di carta e ha fatto il prezioso. «Questo che adesso ti leggerò è considerato uno dei più begli incipit della letteratura del Novecento». Una descrizione di un luogo e dei suoi abitanti. Ci andò nel 1959 lo scrittore Truman Capote, già allora molto famoso per la sua penna e per la reputazione di depravato sessuale; Capote era rimasto attratto da un trafiletto comparso sul New York Times dove si dava conto del brutale quadruplice omicidio di una famiglia di agricoltori in un villaggio del Kansas.

In quell’America post bellica il Kansas aveva la fama di uno stato piatto, noioso, separato dal mondo e in qualche modo preservato dalla modernità. L’intenzione di Capote era di andare a viverci un bel po’ per raccontare quella storia. Riemerse dopo quattro anni con il capolavoro “A sangue freddo”, che ha cambiato per sempre il modo di scrivere romanzi. Sono passati una sessantina di anni e di nuovo il Kansas fa notizia; l’agosto 2022 sarà ricordato per la rivoluzione delle donne del Kansas che nessuno aveva immaginato.

Ma prima, ecco il famoso incipit: «Il villaggio di Holcomb sta sulle alte pianure di frumento del Kansas occidentale, un’area solitaria che gli altri abitanti del Kansas chiamano “laggiù”. Un centinaio di chilometri a est del confine del Colorado, la campagna, con i suoi cieli azzurro intenso e l’aria trasparente e secca, sa più di Far West che di Middle West. L’accento locale ha acutezze da prateria, nasalità da bovari, e gli uomini, molti di loro, portano pantaloni stretti da cowboy, cappelli Stetson, stivali a tacco alto e aguzzi in punta. Tutto è piatto e la vista si spinge così lontano da togliere il fiato; cavalli, mandrie di bovini, un bianco torreggiare compatto di silos per il grano che si leva con la grazia di un tempio greco, sono nitidamente visibili molto prima che il viaggiatore ci arrivi vicino».

Il Kansas, granaio americano è grande più o meno come l’Ucraina, che peraltro è il doppio dell’Italia, ma ha meno di tre milioni di abitanti. Nelle scuole elementari e medie di Topeka, la capitale, si studia il creazionismo e il darwinismo è bandito, l’80 per cento è bianco e cattolico, conservatore e repubblicano da sempre.

Nel 2019 ci sono stati 213 omicidi e 1.500 stupri. Quello per cui Kansas ora è (ri)diventato improvvisamente famoso è legato all’aborto. Dopo la nefasta decisione della Corte Suprema che ha abolito la storica “legge Roe” del 1973 rimandando ai singoli Stati la decisione, 17 stati repubblicani hanno immediatamente dichiarato l’aborto illegale, il Kansas no; ha mantenuto la sua legge (aborto permesso fino alla 22esima settimana) ed è diventato così l’unico rifugio degli stati confinanti. Per lavare quest’“onta” il governatore del Kansas ha proposto un referendum per cambiare la costituzione dello stato; domanda: volete voi che la Costituzione sia emendata e dica esplicitamente che l’aborto non vi è contemplato? Si è votato sì o no, il 2 agosto.

Donne silenziose

Il governatore, i politologi, i sondaggisti, i preti, tutti erano convinti che avrebbe vinto il sì, anche se di stretta misura, e si cominciarono a stupire quando videro l’inaspettata affluenza alle urne, e soprattutto quando arrivarono i risultati: schiacciante vittoria del No, plebiscito nei centri urbani, ma anche vittoria risicata nei paesini rimasti più o meno uguali alla Holcomb di sessanta anni fa.

È stato un immediato shock mediatico che ha scombussolato tutta la campagna elettorale per il Mid term. Roe is on the ballot (l’aborto è sulla scheda) aveva previsto Joe Biden, le elezioni si giocheranno sul diritto strappato dalla Corte Suprema, più ancora che sull’inflazione o sul prezzo della benzina. Gli algoritmi si sono mesi subito a lavorare: se le donne degli Stati Uniti seguiranno l’esempio del Kansas, tutte le previsioni sul midterm diventano obsolete. Già, ma resta un problema. Perché uno stato così conservatore ha votato per preservare un diritto che apparentemente non avevano mai amato? Forse che anche il Kansas ha una memoria segreta? Se riprendete in mano il libro di Capote, scritto tredici anni prima che la legge Roe andasse in vigore, troverete una società di bianchi, onesti, puri - dallo sceriffo ai vicini di casa degli uccisi, nessuna complicità con gli autori della strage (e infatti il Male veniva da fuori) e neppure volontà di vendetta. Gli autori del crimine (una rapina andata a male) vennero impiccati, e Capote fece della loro vita disgraziata una grande denuncia contro la pena di morte, che all’epoca l’America considerava “giusta”.

La legge sull’aborto arrivò da queste parti una dozzina di anni dopo e ha funzionato bene per cinquant’anni, due generazioni e mezzo. Perché cambiarla? Gli ideologi repubblicani avevano pensato che il loro elettorato non vedesse l’ora di punire, di vendicarsi. Non avevano considerato che esiste anche la memoria. Evidentemente molte donne del Kansas in cinquant’anni hanno usufruito della legge Roe, uno stato in cui gli stupri superano di dieci volte gli omicidi. Evidentemente avevano apprezzato l’aspetto più importante della legge, la difesa della privacy delle donne che volevano decidere del proprio corpo.

Il candidato Soumahoro

Pensando alle donne del Kansas. Si dice in genere che si vota con la pancia. Chissà se è vero; forse si vota con la memoria? Gli studiosi dovrebbero inserire il tema nei loro sondaggi.

L’Italia, si sostiene sempre, non ha memoria: del fascismo, della guerra, delle leggi razziali, del “baciamo le mani a vossia”, in cui sono vissuti i nostri nonni. Ma mi ha fatto un enorme piacere trovare nelle liste elettorali il nome di Aboubakar Soumahoro, sindacalista dei braccianti italiani, le cui condizioni gridano scandalo. L’ultima volta l’avevo visto era in un breve video del genere “strano ma vero”. Soumahoro si era incatenato davanti a palazzo Chigi, chiedeva di parlare con il primo ministro Draghi. Proprio così “uno schiavo negro” incatenato, nel 2022, trasmesso in tv per 40 secondi. (Passò di lì Peppe Provenzano, vice segretario del PD, lo scatenò e lo portò da Draghi, il banchiere senza cuore, che però poi venne deposto). Leggo con piacere che è candidato (da Verdi- Sinistra Unita) a Modena, io l’avrei messo in tutti i collegi possibili. Fossi stato Bonelli-Fratoianni, l’avrei detto anche a Calenda: facciamo così, candidiamo Soumahoro e non ci candidiamo noi. Ti va?

La sua storia mi ricorda che quando Salvini divenne ministro dell’Interno, disse “la pacchia è finita”, ma non ce lo ricordiamo più. C’è un bel libro da leggere, se si è incerti sul voto, si chiama: “La pacchia. Vita e morte di Soumalia Sacko, nato in Mali ucciso in Italia”. L’ha scritto Bianca Stancanelli, dice parecchie cose su queste elezioni italiane, e sulla memoria, quella “a breve”, che gli psichiatri considerano diversa da quella “a lungo”.

La lezione di Sally

C’è un'altra visione del mondo di cui io e il mio pusher ottimista amiamo discutere: la geopolitica. Ah, la geopolitica, regno dei complottisti, rifugio dei nullafacenti. Mi ricordo un film del secolo scorso con Alberto Sordi - si chiamava “Il Vigile” - e raccontava di un perdigiorno di provincia, che usciva di casa in vestaglia per andare al bar e lasciava cadere il suo commento sulla crisi internazionale del momento: “Che fa ‘a Cina? Se move ‘a Cina?”

Ormai si sa che Draghi fu fatto cadere per il sostegno del governo italiano all’Ucraina. La sua caduta è stata preparata da una formidabile campagna televisiva a favore di Putin, un’intossicazione televisiva mai vista prima, generali, giornalisti, Michele Santoro, guru. Tutti puntavano sulla vittoria di Putin, e consideravano l’invio di armi alla resistenza ucraina, una indegnità, una bestemmia, un crimine. Poi, quando si è trattato di fare le liste, l’Ucraina è sparita. Sparito Santoro con il suo partito della pace, sparito il prof. Orsini, quello del nonno felice. Meglio non rischiare. E che succede se Putin non vince? Dico, prima del 25 settembre?

La vita del propagandista di guerra è esaltante, ma difficile. Mi è venuta in mente la vicenda di Milfred Gillars, una talentuosa ragazza americana che si innamorò di un ufficiale tedesco e divenne nel 1943-1944 una delle più grosse spine nel fianco delle truppe americane in Europa. Era la voce di un popolarissimo programma radiofonico del Reich rivolto alle truppe nemiche: “Soldatini, smettete di combattere, la Germania è invincibile!” “Soldatini, sono una di voi!”. Aveva una gran voce e un gran successo, la chiamavano Axis Sally. Gli americani l’arrestarono a Francoforte, affamata e derelitta, nel giugno 1945, la incriminarono per tradimento. Al suo spettacolare processo, nel 1949 si presentò vestita e pittata da diva, a metà tra una suora e Rita Hayworth. Declamò la sua passione per il suo amante nazista, ma ci tenne soprattutto a ricordare che era stata la giornalista radiofonica più pagata del Terzo Reich”. Fu praticamente perdonata e andò ad insegnare musica in un convento cattolico.

Alla prossima domenica.

 

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