Dopo i raid statunitensi, è stato il turno degli iraniani. Teheran ha infatti lanciato la propria rappresaglia contro le truppe Usa dislocate in Medio Oriente e nel Golfo. Nel mirino soprattutto la base di Al Udeid in Qatar, su cui sono stati lanciati almeno dieci missili, in quello che sembra un attacco “telefonato”. Il paese aveva chiuso poco prima lo spazio aereo, secondo il New York Times sarebbe stato avvertito proprio dall’Iran.

Un modo per minimizzare gli effetti e avere una via d’uscita, pur dando ufficialmente una risposta militare. Le difese aeree qatariote sono scattate, intercettando i missili balistici, con le esplosioni che si sono sentite sopra Doha. Non ci sarebbero vittime, anche se dall’Iran hanno affermato che almeno tre missili siano andati a segno e il Qatar ha dichiarato di riservarsi il diritto di rispondere all’aggressione.

Alcuni colpi di mortaio, invece, sono stati indirizzati contro una base americana in Siria. Mentre un missile è stato lanciato contro una base in Iraq. L’allarme è suonato anche negli Emirati Arabi Uniti, in Kuwait e in Bahrein, che hanno chiuso gli spazi aerei. Anche gli Usa, comunque, sarebbero stati avvertiti prima, con Donald Trump che si è riunito con i vertici militari nella Situation room

Un «messaggio chiaro» lanciato a Washington, hanno detto in maniera minacciosa le Guardie rivoluzionarie iraniane. Ma se Teheran si accontenterà di pochi missili lanciati preallertando i paesi coinvolti, vorrà dire che non vuole o non può andare oltre con gli Stati Uniti. Nel mentre, però, non può scoprire il fianco con Israele. Le sirene a Tel Aviv, a Gerusalemme e nel resto del paese sono suonate fin dalle prime ore di lunedì.

Colpiti i simboli del regime

Anche Israele ha colpito duramente. Gli attacchi si sono concentrati su quelli che il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha definito «i simboli del regime». Le bombe sono piovute sul sito nucleare di Fordow, già colpito dagli Usa ed emblema delle aspirazioni atomiche di Teheran. Non è ancora certo dove gli iraniani abbiano trasferito i 408 chili di uranio arricchito al 60 per cento, ma intanto i raid israeliani hanno mirato alle strade di accesso al sito.

A essere bombardato anche il quartier generale delle Guardie rivoluzionarie, braccio militare della Repubblica islamica. Sarebbero morte decine o centinaia di pasdaran secondo le Idf. Poi l’obiettivo si è spostato sul carcere di Evin, il centro della repressione di Teheran. È stata colpita all’ingresso, al cancello di entrata. Come fosse un invito ai detenuti di scappare.

Le autorità iraniane hanno smentito evasioni o rivolte, nella struttura la situazione sarebbe sotto controllo, nonostante l’esplosione all’ingresso abbia colpito altre parti del carcere. La protesta però è montata al di fuori. Non si hanno prove di feriti, ma molti familiari dei detenuti hanno espresso la loro rabbia, raccolta da media internazionali. E la Francia, tramite il ministro degli Esteri Jean-Noel Barrot, ha definito «inaccettabile» l’attacco a Evin.

Colpite anche la tv pubblica iraniana Irib, per Israele fulcro della propaganda iraniana, e forse anche un’università. Il bollettino delle vittime di questi 10 giorni di attacchi israeliani continua a salire: per i dati ufficiali sono 500, per l’ong indipendente Human Rights Activists News Agency (Hrana) sono addirittura 950, con 3.450 feriti.

L’appoggio russo

Il regime iraniano sta accusando i colpi. Sia l’ingresso nel conflitto degli Stati Uniti sia i continui bombardamenti israeliani stanno mettendo a dura prova Teheran. E la difficoltà ha spinto Teheran a cercare la sponda di Mosca. Il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araqchi è volato in Russia. Al Cremlino è stato ricevuto da Vladimir Putin che ha condannato gli attacchi, parlando di «un’aggressione non provocata che non ha motivi né giustificazioni».

I colloqui, almeno a sentire il Cremlino, si sono soffermati su una possibile soluzione pacifica. Il presidente russo ha poi offerto una generica assistenza «al popolo iraniano», tanto è bastato per far ripartire un soddisfatto Araqchi alla volta dell’Iran.

Esprimendo vicinanza al suo alleato, Mosca non sembra si sia voluta esporre più di tanto. Specie per non intaccare il nuovo corso delle relazioni con Washington. «Si tratta di processi indipendenti», ha ribadito il portavoce di Putin Dmitri Peskov. Gli attacchi statunitensi sull’Iran sono una cosa, il rapporto tra Donald Trump e Putin è un’altra. A minare questa visione, ci ha pensato però lo stesso Trump che si è scagliato contro il sempre loquace Dimitri Medvedev, vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo.

Medvedev aveva criticato il tycoon per gli attacchi all’Iran e suggerito che ora molti paesi sono pronti a fornire testate nucleari a Teheran. E Trump, dal suo social Truth, ha risposto: «La “parola con la N” (nucleare!) non dovrebbe essere presa con tanta superficialità. Immagino sia per questo che Putin è “il capo”».

Una reazione un po’ a sorpresa, quasi come quella di Emmanuel Macron, che dalla Norvegia ha definito «illegali» i raid americani sull’Iran. Il presidente francese ha condannato anche il bombardamento israeliano su Evin. Intanto dalla Cina si è alzato l’appello a «ridurre l’escalation».

Sia per evitare che il conflitto si allarghi sia per evitare effetti a catena sull’economia mondiale. Un messaggio preciso che si riferisce allo scenario di una chiusura dello stretto di Hormuz, da cui passa anche il petrolio diretto in Cina. Ipotesi non gradita a Pechino.

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