Intervistato da Fox News il premier israeliano ha detto che Tel Aviv è pronta a lavorare per la proposta del presidente Usa, condannata da tutto il mondo. Contro l’iniziativa, l’Egitto ha convocato un vertice degli stati arabi per il 27 febbraio
«Penso che la proposta del presidente Trump sia la prima idea nuova da anni, e abbia il potenziale per cambiare tutto a Gaza». A dirlo il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, intervistato sabato sera da Fox News, alla vigilia della fine della sua visita a Washington. La proposta del presidente Usa, condannata da diversi paesi arabi e occidentali, è stata accolta con favore dall’ala estremista del governo Netanyahu e dallo stesso premier: il piano prevede la deportazione di 1,8 milioni di palestinesi, il controllo della Striscia che passerebbe agli Stati Uniti (anche con i soldati «se serve») e infine la ricostruzione che la farà diventare la nuova Costa Azzurra del Medio Oriente.
Un’iniziativa che «viola il diritto internazionale», aveva commentato l’Iran, che «minaccia i negoziati a Gaza» secondo l’Egitto, «inaccettabile» per la Turchia, «razzista» per Hamas e un tentativo di «pulizia etnica» per i sauditi. La Francia, Spagna, Germania e Regno Unito avevano risposto di non accettare la deportazione dei palestinesi dalla Striscia, nemmeno sotto il controllo di uno stato terzo. Anche la Cina aveva detto «no alla legge della giungla».
Nonostante la forte condanna da parte di tutto il mondo, Netanyahu ha fatto sapere che Israele è pronto a «fare il lavoro», perché vede nella proposta un «approccio corretto» per il futuro del territorio palestinese. E ha aggiunto: «Tutto ciò che Trump dice è: “Voglio aprire la porta e dare loro la possibilità di trasferirsi temporaneamente mentre ricostruiamo fisicamente il posto”».
Affermazioni che arrivano durante i colloqui per discutere la seconda fase dell’accordo tra Israele e Hamas, che finora è rimasto in piedi e ha garantito cinque operazioni di scambio di ostaggi e prigionieri, il ritiro delle truppe israeliane e la possibilità per i gazawi di far ritorno alle loro case.
Un’intesa che, però, appare sempre più fragile, minata dalle accuse reciproche e da dichiarazioni, come quelle del premier israeliano: «Elimineremo Hamas e riporteremo indietro i nostri ostaggi. Questo è l’ordine. Ed è quello che faremo», ha detto in un videomessaggio diffuso dal suo ufficio, nel giorno del quinto scambio di prigionieri e dell’invio di una delegazione di negoziatori israeliani a Doha, in Qatar, per discutere i dettagli tecnici.
Lo stesso Qatar ha condannato le dichiarazioni di Netanyahu di venerdì che ha parlato di uno stato palestinese in Arabia Saudita. Un’affermazione «provocatoria», l’ha definita una nota del ministero degli Esteri del Qatar, mediatore chiave nei negoziati.
Il vertice di emergenza
Per contrastare il piano proposto da Trump l’Egitto – che ha raccolto il sostegno regionale – ha annunciato un «vertice di emergenza» dei paesi arabi, fissato per il 27 febbraio. È stato convocato dal Cairo su richiesta dei palestinesi, dopo le consultazioni «negli ultimi giorni al più alto livello con i paesi arabi» per discutere «gli ultimi gravi sviluppi riguardanti la causa palestinese».
Il ministro degli Esteri egiziano Badr Abdelatty, nei giorni scorsi, ha avuto colloqui con i partner in Giordania, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, per adottare una posizione unitaria contro qualsiasi ipotesi di spostamento forzato della popolazione palestinese. L’Egitto ha avuto contatti anche con il Bahrein, che attualmente detiene la presidenza della Lega Araba.
Abdelatty intanto è partito per Washington dove sono previsti incontri con alti funzionari dell’amministrazione Trump e membri del Congresso, ha fatto sapere il ministero degli Esteri egiziano, precisando che la visita ha l’obiettivo di «rafforzare le relazioni bilaterali e il partenariato strategico tra l’Egitto e gli Stati Uniti», oltre a tenere «consultazioni sulla situazione regionale».
Il corridoio di Netzarim
Le truppe israeliane hanno completato il ritiro dal corridoio di Netzarim, previsto nella prima fase dell’accordo firmato tra Israele e Hamas ed entrato in vigore lo scorso 19 gennaio, in base al quale sono già stati liberati 21 ostaggi israeliani e 566 prigionieri palestinesi, riporta Bbc. Entro la fine del primo step, tra tre settimane, si prevede la liberazione di 33 ostaggi – secondo Israele otto tra questi sono morti – e 1.900 detenuti.
«Le forze israeliane hanno smantellato le loro posizioni e postazioni militari e hanno completamente ritirato i loro carri armati dal corridoio di Netzarim sulla strada di Salaheddin, permettendo ai veicoli di passare liberamente in entrambe le direzioni», ha dichiarato un funzionario del ministero degli Interni gestito da Hamas.
Il corridoio divide trasversalmente in due la Striscia, dal confine con Israele al Mediterraneo. In un primo momento l’Idf, che non ha ancora rilasciato dichiarazioni ufficiali, si era ritirata parzialmente dalla parte occidentale, permettendo ai gazawi di raggiungere il nord della Striscia lungo la strada costiera.
Domenica una donna palestinese di 23 anni è stata uccisa dall’Idf nel campo profughi di Nur Shams, in Cisgiordania, ha fatto sapere il ministero della Salute palestinese. Sundos Jamal Mohammed Shalabi era incinta all’ottavo mese, suo marito è rimasto gravemente ferito.
Dall’entrata in vigore dell’accordo a Gaza 110 persone sono state uccise dagli attacchi dell’esercito israeliano, fa sapere l’Euro-Med Human Rights Monitor, citato da AlJazeera, un’organizzazione indipendente con base a Ginevra. Più di 900 persone sono state ferite. Il ministero della Salute della Striscia di Gaza ha invece pubblicato il bollettino giornaliero: dal 7 ottobre 2023, sono morti 48.189 palestinesi e ne sono stati feriti 111.640.
© Riproduzione riservata