Da venerdì 20 giugno gli attivisti e le ong che hanno realizzato l’iniziativa pacifista a sostegno del popolo palestinese, fallita per il diniego dell’autorizzazione da parte del governo egiziano, presidieranno il parlamento europeo. La richiesta in vista del Consiglio europeo della prossima settimana: la cancellazione dell’accordo di associazione tra Ue e Tel Aviv
Dalle sabbie mobili della burocrazia egiziana ai bastioni della Fortezza Europa: la Marcia globale per Gaza ha cambiato direzione. Fallito il tentativo di marciare dal Cairo verso Rafah, passando per il deserto del Sinai, le organizzazioni internazionali che hanno realizzato l’iniziativa pacifista a sostegno dei palestinesi assediati, massacrati e affamati nel proprio territorio hanno deciso di presidiare il parlamento europeo.
A partire da venerdì 20 giugno per proseguire sabato, mentre in Italia si svolgerà la manifestazione per il disarmo, e domenica sarà installato il campo della Global March to Gaza avviando discussioni, progetti di supporto e attività di sensibilizzazione. Lunedì 23 giugno saranno organizzate proteste, da parte dei manifestanti, per richiedere la cancellazione dell’accordo di associazione tra l’Unione europea e Israele, durante la riunione del Consiglio dei ministri degli Affari esteri.
Martedì e mercoledì saranno invece ideate le manifestazioni che accompagneranno l’incontro dei capi di stato e del governo al Consiglio europeo, in programma giovedì 26 e venerdì 27 giugno.
Le delegazioni dei 54 paesi aderenti alla Global march to Gaza si ritroveranno a Bruxelles per spingere i deputati del Parlamento europeo a rivedere l’accordo di cooperazione politica ed economica con Israele. Le armi usate da Israele contro i palestinesi, infatti, provengono anche dalle industrie di armamenti presenti nel territorio europeo e gli organizzatori della marcia ritengono che la popolazione europea non debba schierarsi con la politica del riarmo.
Tutto ciò alla luce della catastrofe umanitaria in corso nei territori palestinesi. Di fronte all’aggravarsi della crisi umanitaria, Amnesty International ha lanciato un appello, che si può firmare qui, per eliminare «il blocco imposto da Israele da quasi 18 anni e inasprito a partire dall’ottobre 2023, con cui continua a limitare l’accesso a cibo, carburante e forniture mediche per le persone palestinesi».
Perché è fallita la marcia nel deserto?
Fonti diplomatiche affermano che «il diniego delle autorità egiziane era stato formalmente notificato nel corso di una videoconferenza con gli organizzatori italiani e con diverse pec successive in cui è stata confermata la mancata autorizzazione della marcia già il 4 giugno. Lo stesso giorno era stato inoltre pubblicato un avviso di sconsiglio ad hoc sul sito “Viaggiare Sicuri”, in cui si riconfermava l’assenza di autorizzazioni e si segnalava che non sarebbe stato possibile prestare assistenza consolare nelle zone adiacenti il conflitto, in quanto anche l’accesso dell’ambasciata è soggetto a specifiche autorizzazioni preventive. Nelle stesse mail gli organizzatori sono stati invitati a comunicare il diniego a tutti i partecipanti per renderli informati dei gravi rischi a cui andavano incontro, suggerendo di consigliare al contempo a tutti la registrazione sul sito “Viaggiare Sicuri” della Farnesina».
Abbiamo chiesto alla capo-delegazione italiana, Antonietta Chiodo, se fosse a conoscenza delle pec: «Io non le ho ricevute perché sono state inviate alla precedente capo-delegazione. Inoltre, Global March to Gaza ha subito un attacco hacker per cui abbiamo dovuto resettare tutti i nostri sistemi». Quando Chiodo si è messa in contatto con la Farnesina, i diplomatici italiani le hanno comunicato che la stavano cercando, ma non ha mai ricevuto le pec inviate alla precedente capo-delegazione.
«Non ho mai ricevuto un documento ufficiale dall’Egitto dove fosse scritto che le autorità non accoglievano la marcia», sostiene Chiodo. «Svizzera, Canada e Francia, inoltre, hanno avuto modo di parlare direttamente con gli ambasciatori egiziani nei rispettivi paesi - aggiunge la portavoce - non ricevendo dinieghi». Un documento ufficiale, conclude Chiodo, «mi è arrivato soltanto il 12 giugno. Quando abbiamo appreso che non avremmo potuto marciare, abbiamo richiesto un luogo dove organizzare un presidio. Ci è stato comunicato che a Ismailia non ci sono alberghi, ma noi abbiamo risposto che avendo le tende avremmo potuto comunque alloggiare lì».
Proprio giovedì 12 giugno, Chiodo ha inviato un videomessaggio in cui denunciava le pressioni di Israele contro l’Egitto, ricordando le dichiarazioni diffuse il giorno prima dal ministro della difesa israeliano Israel Katz, secondo il quale non ci sarebbero state linee rosse e Israele avrebbe schierato l’esercito se la marcia fosse arrivata a Rafah.
Le fonti diplomatiche, dal canto loro, lamentano il fatto che «nessuna lista o piano di orari di arrivo è mai stato comunicato». Chiamate in causa all’aeroporto del Cairo il 12 giugno, quando sono stati fermati cittadini italiani arrivati per la marcia, «grazie a un costante lavoro di assistenza dell’ambasciata, in stretto raccordo con la Farnesina», sostengono le autorità italiane, «nessun italiano è stato comunque posto in stato di arresto o maltrattato, a differenza di partecipanti di altre nazionalità».
Gli italiani rimpatriati, fanno sapere i diplomatici, «sono stati circa una quindicina. Le motivazioni del rimpatrio sono legate verosimilmente alla partecipazione a una manifestazione non autorizzata». Il riferimento è alla manifestazione avvenuta sabato 14 giugno a Ismailia, non autorizzata dall’Egitto, e a un’altra, di fronte all’ambasciata italiana, con cartelli e bandiere.
Le decisioni di rimpatrio, continuano le nostre fonti, «non vengono mai notificate formalmente da parte egiziana, in quanto considerate prerogative sovrane di queste autorità. Anche il divieto di manifestazioni pubbliche in vigore in Egitto, oltre al divieto di ingresso non autorizzato nel Sinai del Nord per ragioni di sicurezza, rientra nella discrezionalità delle valutazioni di sicurezza di uno stato sovrano, al di là delle motivazioni pacifiche della marcia».
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