Il 27 dicembre è previsto al Senato il via libera definitivo di una riforma che trasforma la magistratura contabile in un consulente della pubblica amministrazione e con deboli poteri di controllo. Tra dubbi di costituzionalità, un atteso boom di atti da vagliare e il rischio di dover restituire soldi all’Ue
Alla fine la calendarizzazione della riforma della Corte dei Conti è arrivata: il 27 dicembre, tra Natale, Capodanno e la complessa legge di Bilancio, il Senato farà i salti mortali per dare il via libera definitivo alla legge che stravolgerà le funzioni della magistratura contabile.
Proprio quella magistratura che, negli ultimi mesi, ha messo sotto la lente del suo controllo alcune delle iniziative più caratterizzanti per il governo: il ponte sullo Stretto, di cui è stata bocciata la delibera Cipess e i cpr in Albania, di cui è al vaglio un possibile danno erariale. Sempre la Corte, poi, ha acceso un faro sulla spendita dei fondi Pnrr, il cui utilizzo procede ma non corre come dovrebbe in vista della scadenza definitiva di giungo 2026.
Il testo, già approvato alla Camera, è blindato sotto l’occhio attento del sottosegretario Alfredo Mantovano, ma l’Associazione nazionale Corte dei Conti spera ancora in qualche ripensamento dell’ultimo minuto, almeno per correggere i punti più problematici di una legge che rischia di produrre effetti anche su scala europea.
«La calendarizzazione è strana – ha commentato il presidente Donato Centrone – auspichiamo che il Senato possa adeguatamente vagliare i rischi di questa riforma», è stato il ragionamento in conferenza stampa dell’Associazione. Anche alla luce della necessità di controlli sull’utilizzo del Pnrr, «chiediamo al parlamento un ulteriore spazio di riflessione serio e approfondito».
La linea della magistratura contabile è stata quella di una mano tesa in extremis al governo, pur elencando i rischi e i problemi anche di costituzionalità di un disegno di legge «frettoloso e privo di una visione sistemica, che rischia di ridimensionare in modo significativo il ruolo della Magistratura contabile e di alterare gli equilibri costituzionali posti a tutela della legalità, della finanza pubblica e del corretto utilizzo delle risorse pubbliche, incluse quelle del Pnrr».
La riforma
La riforma ha due facce. La prima parte – che entrerà subito in vigore – modifica le funzioni della corte introducendo il cosiddetto “doppio tetto al risarcimento” per responsabilità amministrativa.
La legge, infatti, prevede che l’ammontare del risarcimento per l’amministratore condannato per danno erariale calcolato dal giudice contabile debba poi essere risarcito in una misura massima equivalente al 30 per cento del pregiudizio accertato e comunque non superiore alle due annualità di stipendio lordo. «Con l’effetto che il differenziale tra ciò che paga il condannato e il danno prodotto rimanga a carico della collettività», ha spiegato Centrone.
Inoltre viene ampliato il controllo preventivo sugli atti (introducendo un preventivo "a chiamata" su atti individuati dalle amministrazioni) e la funzione consultiva della Corte. In sostanza, in molti casi si apriranno tre possibili strade per il dirigente.
La prima: può chiedere un parere alla sezione di controllo della Corte, che ha 30 giorni di tempo per rispondere. Se la sezione riesce a rispondere entro il tempo previsto dando parere contrario, perché mancano i presupposti di legge, tutto fila liscio. Se invece non decide, scatta una sorta di silenzio assenso: il parere si intende favorevole alla domanda posta (affidamento indiretto, anche se illegittimo) e il richiedente è esente da qualsiasi responsabilità.
La seconda: il dirigente decide di sottoporre l’atto al controllo preventivo della magistratura contabile. Anche in questo caso, se la risposta non arriva entro trenta giorni, il richiedente viene esentato da ogni responsabilità, anche per tutti gli atti conseguenti al primo.
La terza: il dirigente non interloquisce con la Corte, adotta l’atto illegittimo e poi viene indagato e condannato per danno erariale. In questo caso, appunto, il risarcimento non sia equivalente al danno provocato, ma «per un importo non superiore al 30 per cento del pregiudizio accertato e, comunque, non superiore al doppio della retribuzione lorda conseguita nell'anno».
«Se non viene definita adeguatamente la disciplina in sede di decreti, gli enti territoriali invaderanno la Corte con atti che le sezioni di controllo, alla luce degli organici, non saranno in grado di evadere in tempi previsti», ha spiegato Centrone. Per avere una stima: oggi la Corte esamina circa 30mila domande l’anno, con la riforma tutti e 8000 gli enti territoriali potranno presentare quante richieste vogliono, perché non ci sono criteri su quali atti si possono sottoporre al controllo.
Con un ulteriore rischio: con le sezioni di controllo intasate da questi atti, potrebbero finire bloccate le erogazioni di servizi essenziali come il trasporto pubblico, gli asili nido, la gestione dei rifiuti, che vengono gestiti dalle pubbliche amministrazioni con i bilanci in equilibrio certificati dalla Corte.
La seconda parte della riforma andrà invece attuata con decreti delegati e incide sull’organizzazione della Corte e sui poteri del procuratore generale. Sul fronte organizzativo, verranno accorpate le sezioni centrali regionali, i cui magistrati dovranno svolgere sia funzioni di controllo che giurisdizionali e consultive; si introduce la separazione per funzioni di magistrati contabili requirenti e giudicanti; si aumenteranno i poteri del procuratore generale, che avrà ampi poteri sui procuratori regionali.
«Così si rischia di rischia di incrementare le ipotesi di incompatibilità, rendendo meno efficiente l’erogazione dei servizi, mentre la gerarchizzazione delle attività di procura può minare il carattere di autonomia delle toghe requirenti», ha spiegato il presidente.
Altro che efficienza
«Condividiamo l’obiettivo della riforma di aumentare l’efficienza, ma lo strumento porta al risultato opposto», ha spiegato la magistrata Elena Papa, perchè con il risarcimento al 30 per cento «si deresponsabilizzano i dirigenti pubblici e non è così che si può perseguire il buon andamento dell’amministrazione. Anzi, si demotivano gli amministratori più attenti».
Anche perchè, come ha sottolineato Paola Briguori, «chi produce il danno maggiore paga proporzionalmente di meno».
Anche la funzione consultiva così estesa produrrà effetti distorsivi, perché «darà patente di legittimità implicita al silenzio della Corte, snaturando così la funzione consultiva, perché il parere non viene reso ma si attribuisce valore all’esigenza di autotutela dell’amministratore, avallando la legittimità di soluzioni non in concreto esaminate», ha spiegato la toga Angelo Quaglini.
In altre parole: si disincentiva l’amministratore diligente e si intasa la Corte con richieste che non potrà vagliare nei 30 giorni previsti dalla legge, introducendo un silenzio assenso sugli atti che salverà anche quelli errati. Di fatto, il controllo non sarà più una verifica della legittimità dell’azione amministrativa, ma «uno strumento per “scudare” i responsabili dello spreco di denaro pubblico», sottolineano i magistrati contabili.
Con in più anche un rischio di incostituzionalità, sia sulla mancata separazione delle funzioni della corte tra giurisdizionale e di controllo, sia sull’automatismo del risarcimento del danno.
Il Pnrr
Gli effetti deteriori della riforma rischiano di ricadere sulle casse statali, proprio nell’anno di conclusione a giugno 2026 del Pnrr. La riforma, infatti, riguarda anche la gestione di tutti i fondi europei, di cui la Corte è chiamata a vigilare sulla corretta gestione.
I fondi europei, infatti, vengono erogati sul presupposto che lo Stato ne garantisca il corretto utilizzo e l’Ue presuppone un controllo specifico per danno erariale sulla totalità dell’ammonta. Non solo: nel caso di frodi e irregolarità o mancato raggiungimento dei target intermedi e finali, tutto l'importo del Pnrr viene decertificato e va compensato sui trasferimenti successivi.
Questo, alla luce del limite risarcitorio del 30 per cento, prevede un solo effetto: «Anche se a livello interno il nostro sistema riterrà che sia sufficiente il 30 per cento, la restituzione per il danno verificatosi all’Ue sarà del 100 per cento e il 70 mancante ricadrà sullo Stato e dunque sui cittadini», ha spiegato Elena Papa.
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