Terminata la sua corsa al Quirinale e ancora ricoverato al San Raffaele, Silvio Berlusconi ha scelto il silenzio. Con la certezza che, dopo il suo ritiro così a ridosso della prima votazione, la prima chiama era destinata a concludersi con un profluvio di schede bianche. Chi, come Vittorio Sgarbi, ha parlato con lui lo ha descritto in buone condizioni: «Pensavo fosse prostrato psicologicamente e invece sta bene».

Lontano da Montecitorio, il Cavaliere ha rispettato i patti e lasciato la conduzione delle trattative a Matteo Salvini, che ha passato la giornata a destreggiarsi tra incontri privati con i leader della maggioranza: ora sarebbe il suo turno alla prova della leadership.

«Parlerò a tempo debito e darò indicazioni», avrebbe detto Berlusconi ai grandi elettori di Forza Italia, assicurando loro che il partito non è stato abbandonato a se stesso e di essere in costante contatto con Salvini. Ma non solo con Salvini: un contatto telefonico ci sarebbe stato anche con il presidente del Consiglio, Mario Draghi. Il secco no di Berlusconi su di lui aveva rischiato di chiudere ogni spiraglio per il premier verso il centrodestra: bisognerà vedere se il giudizio si ammorbidirà nel corso dei prossimi giorni oppure se il Cavaliere rimarrà fermo nel suo orientamento.

Intanto, però, anche Forza Italia deve affinare la lista dei suoi nomi da portare al tavolo di centrodestra in vista poi di un confronto con il centrosinistra e Movimento 5 Stelle. A farsi strada sarebbero i nomi di Elisabetta Casellati, ma anche quello di Giuliano Amato inizierebbe a girare.

Tuttavia, il Cavaliere starebbe anche ragionando su una strategia conservativa, ovvero di convincere il centrodestra a orientarsi verso la richiesta di un bis di Sergio Mattarella, convinto che sia l’unico modo per preservare gli equilibri sempre più precari della maggioranza.

La grande prova di leadership

Per il leader della Lega, Matteo Salvini, ha avuto una giornata campale. Il centrodestra ha votato scheda bianca, ma la decisione coordinata è già una vittoria, in attesa di avere un nome o meglio una rosa di nomi da proporre a un tavolo di maggioranza di governo. Tuttavia Salvini ne esce come vincitore, in quanto finalmente al centro della partita sul Quirinale invece che ai margini in attesa dei passi del Cavaliere.

Questa giornata “interlocutoria” è stata spesa dal leader leghista tra colloqui riservati: uno con il presidente del Consiglio, Mario Draghi, prima della prima chiama e poi anche uno con la leader di FdI, Giorgia Meloni «per fare il punto della situazione»; giusto il tempo di passare in aula a Montecitorio per votare, dopo è toccato a un incontro con Enrico Letta negli uffici della Lega alla Camera, infine anche Giuseppe Conte.

L’esito sembra essere positivo, visto che Salvini e Letta hanno pubblicato una nota congiunta secondo cui «si è aperto un dialogo su un nome condiviso e super partes», mentre fonti dei Cinque Stelle hanno fatto sapere che «c'è stata totale sintonia sulla necessità di intensificare il confronto per mettere da parte al più presto le schede bianche e scrivere un nome che unisca il Paese».

Eppure, nomi convincenti ancora non si sono sentiti. Il più loquace dei leghisti è stato il senatur Umberto Bossi, tornato alla Camera dopo molto tempo e accompagnato in sedia a rotelle. Proprio lui non ha escluso la possibilità che la sintesi arrivi a Draghi: «Un nome che può uscire alla fine».

Dopo i colloqui, però, per Salvini il passaggio più complicato sarà quello di trasformare le schede bianche in schede con uno stesso nome scritto sopra, all’esito dei colloqui cordiali. Nessun nome è ancora stato fatto, continuano gli identikit e le mosse parallele dei tanti quirinabili, e Salvini si è assunto il compito di fare ordine. Se chi riuscirà, sarà la sua prova definitiva da nuovo leader del centrodestra. Altrimenti, il percorso verso il Colle di un candidato condiviso potrebbe complicarsi.

Un nome per non essere oscurata

Giorgia Meloni ha scelto il basso profilo, accodandosi al leader della Lega, Matteo Salvini e indicando ai suoi di votare scheda bianca. Un attestato nei confronti del tentativo di regia coordinato dal leghista, in attesa di vederci più chiaro.

Del resto, politicamente a Fratelli d’Italia la partita quirinalizia interessa soprattutto in funzione di un suo legame con un ritorno anticipato al voto. Provare a creare le condizioni per tornare al voto il prima possibile: questa è la nostra posizione che è difforme da quella di tutto il resto del parlamento", ha detto la leader, sottolineando la posizione peculiare del suo partito anche rispetto agli alleati di centrodestra.

Tuttavia, Meloni non può permettersi di uscire completamente dai giochi accodandosi alla Lega, dunque per la prima volta Fratelli d’Italia lancia un proprio nome, quello dell’ex magistrato di Venezia, Carlo Nordio. Per molti versi un nome anomalo, anche rispetto alla tradizione di Meloni: noto per le battaglie garantiste, noto per le sue posizioni critiche anche nei confronti degli esponenti della sua stessa categoria, antagonista dei no-vax.

Il nome è stato «portato al tavolo del centrodestra» come contributo di Fratelli d’Italia. Un nome che ha poche chances di venire scelto, ma che serve a Meloni per avere un argomento che le permetta di rimanere nel dibattito. Del resto, per lei l’attesa non è solo quella per il nuovo capo dello Stato ma anche di soppesare la capacità di regia di Salvini, a cui punta a contendere il posto di leader del centrodestra.

Nel far scorrere una giornata di stallo, Meloni ha approfittato per compattare ulteriormente il suo gruppo: «Tutti sanno che i voti di Fdi resteranno compatti e uniti in tutte le votazioni». Poi ha rilanciato addirittura su una riforma costituzionale cavallo di battaglia del suo partito: «Dalla prossima volta speriamo che il capo dello Stato venga eletto dal popolo».

Renzi lascia agli altri l’onere del lavoro sporco

Twitter è sempre uno strumento interessante per provare a capire pensieri e strategie di Matteo Renzi. Il «senatore semplice di Rignano», come ama definirsi, scrive alle 15.58, quando è da poco iniziata la prima votazione del nuovo presidente della Repubblica e sta per essere chiamato.

Posta una foto del «compianto Tiberio Barchielli» (fotografo a palazzo Chigi negli anni in cui Renzi era premier ndr). Sono ritratti lui e il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. «In questo scatto – recita il tweet – attendo con il presidente emerito Napolitano l’elezione di Sergio Mattarella. Vado a votare perché il successore sia all’altezza di personalità come le loro».

Poi, intorno alle 19, ecco la foto del senatore nell’Aula della Camera mentre deposita la sua schede nell’urna: «Prima votazione per il presidente della Repubblica. Avverto la grande responsabilità e lancio un appello. Basta con le chiacchiere: è il momento di fare una scelta nell’interesse degli italiani, non dei singoli. Come abbiamo fatto 7 anni fa con Mattarella. Fare presto, fare bene».

In messo Renzi ha chiacchierato, eccome. Ha spiegato, ad esempio, che Mario Draghi al Quirinale «è una delle ipotesi in campo ma sta in piedi solo in un quadro di accordo politico. L’elezione del presidente della Repubblica non può essere un gesto di risulta tecnocratica ma è una scelta politica e prevede un accordo sul governo del dopo. Draghi è una ipotesi in campo, non è la sola».

Insomma, Renzi non è più premier e sa che non potrà essere protagonista come lo è stato stato nel 2015. Ma sa anche che i suoi 45 voti sono un ottimo argomento per sedersi al tavolo delle trattative e ottenere qualcosa. I suoi rapporti con Matteo Salvini, mediati da Denis Verdini, sono ottimi.

Quelli con Enrico Letta, causa necessità, sono un po’ migliorati negli ultimi giorni. Draghi non è la sua prima scelta, soprattutto se il premier pensa di trasferirsi al Quirinale senza “trattare” con i partiti che lo sostengono. Ma in questo momento Renzi sa che il segreto è muoversi restando fermi. E lasciare che altri facciano il lavoro sporco al posto suo.

Conte non controlla il suo partito

La verità è che entrambe non sono certezze molto stabili: il centrosinistra, che ieri mattina non ha trovato un nuovo nome con cui sostituire la candidatura di Andrea Riccardi, affossata già domenica, rischia di perdere centralità nella corsa al Quirinale. Matteo Salvini sta cercando di porsi in posizione di vantaggio sugli altri leader.

D’altra parte, Conte può offrire un numero di voti all’apparenza molto alto, ma nella realtà totalmente ingovernabile, tanto da dover imporre ai suoi uomini in aula il conteggio del tempo che i grandi elettori hanno passato nella cabina elettorale.

Tra gli eletti dei Cinque stelle inizia a correre il sospetto che Conte stia scivolando verso l’accordo con gli altri leader sull’elezione di Draghi. Un epilogo inimmaginabile per parlamentari e delegati, già imbarazzati dall’ininfluenza del maggior gruppo in parlamento sulla scelta del nuovo capo dello stato.

Con il centrodestra che vede ancora una possibilità di lanciare un nome di area e il centrosinistra che non ha nessuna alternativa da proporre, una quarantina dei grandi elettori annuncia già che anche alla quarta chiama, quando verosimilmente entrerà in gioco Draghi, è pronta a non votarlo.

Una manciata di voti, nulla di cui il presidente del Consiglio debba davvero preoccuparsi, ma sicuramente un segnale molto duro nei confronti della leadership già fragile di Conte, che a quel punto sarebbe in difficoltà anche di fronte agli alleati.

La virata prudente per evitare il fuoco amico

Mentre a Montecitorio il rosario delle schede bianche viene cantilenato dal presidente Roberto Fico, tra cui quelle del Pd, Enrico Letta rimane sulla sua prima opzione: portare al Quirinale l’attuale presidente del Consiglio, Mario Draghi.

Procede però in silenzio, preferisce non esternarlo, va avanti con discrezione per mettere al riparo il lavoro delle ultime giornate. Il segretario del Pd sa bene quanto pesano le correnti del suo partito, alcune riottose sull’opzione di spostare il premier al Quirinale, e spingere apertamente su Draghi potrebbe portare alla rottura e soprattutto farebbe vacillare la sua segreteria, come già successo a Pier Luigi Bersani nel 2013 dopo i casi di Franco Marini e Romano Prodi.

Da qui il suo atteggiamento concentrato ma lontano dai riflettori, voluto da questioni di prudenza. Ieri ha sentito al telefono Draghi e, soprattutto, ha incontrato il leader della Lega Matteo Salvini. Per la prima volta, almeno da quando si tratta sul Quirinale, i due hanno inviato alla stampa un comunicato fotocopia, dicendo che si è trattato di «un lungo e cordiale dialogo». Si vedranno di nuovo oggi.

I due leader sono in una situazione simile: devono cercare di tenere le redini delle rispettive coalizioni, Salvini con l’indole da interventista, cercando di arginare la competitor Giorgia Meloni, Letta da uomo che usa morigeratezza, tenendo a bada le correnti e il M5s.

Il segretario del Pd manda avanti Salvini, preferisce non risultare lui il kingmaker dell’operazione. Alcuni parlamentari del Pd ribadiscono che si sta lavorando non solo sul nuovo capo dello stato ma anche sul prossimo governo. Ma se l’opzione Draghi non andasse in porto Letta troverebbe un’intesa solo su un nome non di centrodestra. Lavora a questo schema cercando di non farsi impallinare dai suoi compagni di partito.

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