Il ritorno del dibattito sul diritto di cittadinanza divide la maggioranza, ma per molti lettori resta un’occasione da non sprecare: la proposta di Tajani è vista come un compromesso minimo, utile solo nel caso di un primo passo verso una riforma più giusta ed efficace
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Come ogni estate, torna al centro del dibattito il tema della cittadinanza. Questa volta è Forza Italia a rilanciare la proposta dello ius scholae, ribattezzata per l’occasione ius Italiae. Il vicepremier Antonio Tajani ha spiegato i contenuti della proposta del suo partito: cittadinanza italiana ai 16 anni per i minori stranieri nati o arrivati in Italia entro i 5 anni di età, ma solo dopo aver completato l’intero percorso della scuola dell’obbligo, dieci anni di formazione scolastica.
La proposta è attualmente all’esame delle Camere, ma si è già scontrata con una maggioranza divisa. Fratelli d’Italia ha bloccato l’iniziativa fin da subito, rivendicando la linea del programma di governo e rifiutando qualsiasi apertura in materia.
La Lega di Matteo Salvini ha definito il provvedimento «irricevibile», mentre Forza Italia, pur avendo inizialmente mostrato aperture tramite il suo leader Tajani, ha poi frenato dopo lo stop di Giorgia Meloni. Sul fronte opposizioni, dal Partito democratico al Movimento 5 Stelle spingono per una riforma più ampia, giudicando la proposta di Tajani insufficiente.
Nel frattempo, alcune città come Firenze stanno tentando gesti simbolici, come il conferimento di cittadinanze onorarie ai minori stranieri cresciuti sul territorio, pur senza valore legale. La battaglia, intanto, si gioca tutta sul piano politico e culturale: cittadinanza come riconoscimento dell’integrazione o pilastro identitario?
Cautela, realismo e desiderio di riforma: opinioni a confronto
Più della metà delle lettrici e dei lettori ha definita la proposta di Forza Italia «l’unica possibilità realistica con questo governo, meglio di niente». Un giudizio che riflette una certa rassegnazione di fronte agli equilibri politici attuali, ma anche un desiderio pragmatico di fare almeno un passo avanti.
Il 24 per cento considera invece la proposta insufficiente e auspica «una riforma più ampia e coraggiosa», mentre un altro 20 per cento la giudica apertamente troppo restrittiva, perché continua a negare il diritto alla cittadinanza a chi cresce, studia e si forma in Italia.
Nei commenti, molte voci sostengono l’introduzione di uno ius soli pieno o di un ius scholae più inclusivo, che non imponga l’intero ciclo decennale scolastico per riconoscere una cittadinanza di fatto già acquisita nei percorsi di vita. «Quando uno straniero vive e lavora o studia in Italia dovrebbe già avere la cittadinanza in modo che anche la famiglia possa avere gli stessi diritti e doveri dei cittadini italiani», scrive un lettore, «e non trovo giustificazioni per come vengono trattati quando fuggono da paesi in guerra, si dovrebbe dare loro la possibilità di scegliere se vogliono rimanere o andare verso altre nazioni».
Ma c’è anche chi allarga il discorso oltre le aule: chi lavora, chi paga le tasse, chi contribuisce alla società dovrebbe essere riconosciuto come cittadino: «È spaventoso che si pongano questioni del genere: ovvia la cittadinanza per chi ha frequentato la scuola dell'obbligo, ma anche per chi qui in Italia lavora, paga le tasse e parla italiano».
Alcuni chiedono l’introduzione dello ius soli anche solo in forma attenuata come in altri paesi europei: «Lo ius soli è il mio primo pensiero. Anche se arrivassimo a uno ius soli "soft" come quello in Spagna sarebbe un successo, dato lo stato delle cose. Lo ius scholae con un ciclo d'istruzione sarebbe l'alternativa per chi non è nato in Italia, ma cresce nella penisola».
Una lettrice osserva anche che il tema non riguarda solo la legge in sé, ma un’intera infrastruttura fatta di barriere burocratiche e costi nascosti che colpiscono soprattutto i più vulnerabili: «Realisticamente parlando, vanno contrastati i costi delle angherie burocratiche: documenti da paesi in guerra, corsi di lingua gestiti da volontari impreparati, tempi inauditi per il rilascio. Sarei felicemente stupita se almeno si sollevassero gli stranieri nati qui, diplomandi, dalla pena di attendere anni per la concessione della cittadinanza».
Non manca chi propone una visione radicale e solidale della cittadinanza, come strumento per sottrarre le persone allo sfruttamento invisibile: «Nel migliore dei mondi possibili, la cittadinanza dovrebbe essere proposta a chiunque sia sorpreso a lavorare, anche senza permesso. Se è utile alla società, va tutelato come cittadino: altrimenti alimentiamo solo marginalità e imbarbarimento».
I SONDAGGI PRECEDENTI
Nelle scorse settimane abbiamo chiesto ai nostri lettori e lettrici di confrontarsi su diversi temi centrali nel dibattito pubblico.
Abbiamo parlato della proposta di Marine Le Pen di garantire condizionatori a chi non può permetterseli, che ha riacceso il dibattito anche in Italia: per la maggioranza si tratta di una toppa che peggiora il problema.
Poi ci siamo occupati del divieto di smartphone alle superiori introdotto con la nuova circolare del ministro Giuseppe Valditara: in molti si sono detti favorevoli, ma con molte riserve sull’efficacia e sull’applicazione della misura.
Infine, abbiamo chiesto loro della decisione del governo di vietare la produzione e la vendita della cannabis light, rispetto alla quale la maggior parte dei partecipanti si è detta contraria alla stretta, chiedendo un confronto più serio sulla legalizzazione.
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