La detenzione amministrativa della nave per 60 giorni era stata disposta dalla prefettura il 12 novembre scorso, dopo il soccorso da parte dell’organizzazione di 92 naufraghi e il rifiuto di navigare per altri quattro giorni fino al porto di Livorno, assegnato dal Viminale. «Quando sottoposti alla verifica della loro legittimità davanti a un giudice i provvedimenti di Piantedosi sono smentiti e cancellati», ha denunciato l’organizzazione
Il tribunale di Agrigento ha sospeso il fermo amministrativo della nave Mediterranea. Ancora una volta, i giudici hanno dichiarato illegittima l’applicazione del decreto Piantedosi con una misura d’urgenza, procedendo «inaudita altera parte» – fa sapere l’organizzazione del soccorso civile Mediterranea Saving Humans – «senza ritenere neppure necessaria una prima convocazione dell’Avvocatura di stato».
Il fermo era stato disposto dalla prefettura di Agrigento il 12 novembre scorso, dopo lo sbarco a Porto Empedocle di 92 naufraghi soccorsi in tre diversi salvataggi. Il provvedimento era «particolarmente pesante»: 60 giorni di detenzione amministrativa della nave e 10mila euro di sanzione pecuniaria per comandante e armatore.
La decisione «dimostra l’esistenza di una precisa strategia del governo», scrive l’organizzazione. «Il reiterato abuso, arbitrario e addirittura illegale, dei poteri sanzionatori previsti dal decreto legge Piantedosi – aggiunge – ha l’obiettivo di ostacolare e impedire l’attività di soccorso civile nel Mediterraneo centrale».
Di fatto, il fermo disposto in applicazione del decreto che porta la firma del ministro dell’Interno ha impedito alla nave della flotta civile di tornare subito in mare per continuare l’attività di ricerca e soccorso, bloccandola per circa un mese.
Nel caso specifico, afferma l’ong, «l’abuso è ancora più pericoloso: violando qualsiasi regola vogliono arrivare alla definitiva confisca della nave». Non solo. Anche «allo strangolamento economico» perché ogni fermo – sottolinea Mediterranea – ha «costi eccezionali» e questo permette di «togliere di mezzo testimoni scomodi che denunciano quotidianamente le violazioni dei diritti delle persone migranti e la distruzione sistematica del diritto internazionale, marittimo e umanitario, in mare».
Tra fermi amministrativi, la pratica di assegnazione di porti lontani e il divieto di fare soccorsi reiterati imposti dal governo, infatti, è sempre più complicato per le organizzazioni tornare nel Mediterraneo, non solo per svolgere il lavoro umanitario ma anche per documentare ciò che accade in un tratto di mare che è rimasto svuotato dalle politiche delle istituzioni.
Oggi l’Unione europea è presente con la sua agenzia per il controllo delle frontiere che, però, ha via via cambiato strategia e abbandonato gli assetti navali in favore di quelli aerei e di droni. In questo modo non c’è l’obbligo del soccorso dettato dal diritto internazionale. Le conseguenze, però, sono tangibili e vanno dai naufragi fantasma alle intercettazioni da parte dei cosiddetti guardacoste libici.
La 23esima missione
La 23esima missione dell’ong, seconda per la nuova nave Mediterranea, ha portato in salvo 92 persone – tra cui 31 minori non accompagnati, sei donne, di cui una incinta – in tre diversi interventi, effettuati in acque internazionali. Alla nave era stato assegnato Livorno come porto di sbarco, un luogo a oltre quattro giorni di navigazione dal punto in cui sono stati tratti in salvo i naufraghi. Proprio per questo motivo il Viminale ha disposto il fermo.
Non solo le condizioni di salute psicofisica delle persone soccorse non permettevano di navigare per ulteriori quattro giorni, ma due procure – quella per i Minorenni di Palermo e quella di Agrigento – avevano ordinato lo sbarco immediato a Porto Empedocle di tutte le persone soccorse.
I provvedimenti del viminale
«Ogni volta che i provvedimenti di Piantedosi vengono sottoposti alla verifica della loro legittimità davanti a un giudice terzo competente sono clamorosamente smentiti e cancellati», denuncia Mediterranea, che ora attenderà il giudizio di merito sulle «illegittime detenzioni della nave». Le udienze sono previste il 17 dicembre al tribunale di Trapani e il 21 gennaio al tribunale di Agrigento.
«Il nostro obiettivo – conclude l’organizzazione – è che il decreto legge Piantedosi, così come tutte le norme che calpestano i diritti delle persone, sia abolito. E che ogni abuso di potere contro la vita degli esseri umani e la solidarietà che li soccorre, sia denunciato e sanzionato».
E, invece, mentre i giudici hanno sospeso il fermo di Mediterranea, un’altra imbarcazione della società civile – la Humanity 1 di Sos Humanity – è stata colpita dal decreto «per essersi rifiutata di comunicare con il centro di coordinamento dei soccorsi libico», che coordina la cosiddetta guardia costiera libica. La stessa che nelle ultime settimane ha sparato contro le navi di soccorso.
«Il blocco rappresenta una pericolosa escalation nella criminalizzazione del soccorso civile in mare», ha denunciato l’ong, «mentre solo quest’anno più di 1.700 persone sono morte nel Mediterraneo». E ha aggiunto: «Non possiamo essere costretti a dare le nostre posizioni operative a milizie armate finanziate dall’Ue, che ci sparano contro e che sparano contro le persone in cerca di protezione».
Gli attacchi perpetrati dalle milizie libiche, finanziate dalle istituzioni europee, hanno portato una coalizione di 13 organizzazioni di soccorso, chiamata Justice Fleet, a decidere di interrompere la comunicazione operativa con il centro di coordinamento dei soccorsi libici. «Ora – ha concluso l’ong – le autorità italiane hanno risposto alla decisione dell’alleanza», sequestrando «la nave Humanity 1 nel porto di Ortona».
Janna Sauerteig di Sos Humanity ha chiesto all’Ue di «porre fine alla sua complicità nei crimini quotidiani delle milizie libiche e perseguire chi viola il diritto internazionale, non chi difende i diritti umani e salva vite nel Mediterraneo centrale».
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