Per Trump è il più bell’ufficio mai visto. Ma il Vaticano è luogo di mediazione da decenni. Con la perdita del suo Stato, dalla fine dell’Ottocento la Santa sede ha arbitrato dispute territoriali e mediato per la pace in zone calde e a rischio escalation. E oggi papa Leone XIV eredita l’insegnamento di Francesco, che ha affiancato alla mediazione istituzionale rapporti più personali e dialoghi informali
Fino a Donald Trump, nessuno aveva definito il Vaticano «il più bell’ufficio mai visto». Eppure, lo storico incontro con il presidente Volodymyr Zelensky in una navata della basilica di San Pietro ai margini dei funerali di papa Francesco, lo scorso 26 aprile, è la fotografia di un ruolo diplomatico che la Santa sede riveste da secoli e si promette di farlo ancora, come ha ribadito papa Leone XIV davanti ai partecipanti al Giubileo delle chiese orientali: «La Santa Sede è a disposizione perché i nemici si incontrino e si guardino negli occhi, perché ai popoli sia restituita una speranza e sia ridata la dignità che meritano, la dignità della pace».
Da oltre un secolo, in territorio vaticano i fronti nemici si sono guardati negli occhi. Almeno a partire dagli anni Settanta dell’Ottocento quando la Santa sede, privata della sua indipendenza statale, ha scelto di rilanciarsi in chiave internazionale e porsi al servizio dei processi di pacificazione.
Vaticano, stato imparziale
La genesi di tutto risale proprio a Leone XIII, di cui papa Prevost ha deciso di prendere il testimone. Lo spiega Roberto Regoli, professore di storia del papato presso la Pontificia Università Gregoriana: «Già nell’Ottocento la Santa sede si poneva in modo imparziale. Con il Risorgimento papa Pio IX, davanti alla scelta di schierarsi fra le potenze belligeranti Italia e Austria-Ungheria, non lo fece perché entrambe erano sue figlie spirituali. Questa neutralità, che in quel momento sembrava indebolire il papa, nel lungo periodo rafforzò il ruolo di terzietà della Santa sede, che continua fino ai nostri giorni. Di fronte ai conflitti, oggi la Santa sede si pone come interlocutore e mediatore» spiega.
Neutralità è la parola chiave della diplomazia degli ultimi pontefici, ma ciò che ha fatto del territorio vaticano il luogo della mediazione è l’imparzialità.
A poche settimane dalla sua elezione, papa Giovanni Paolo II riuscì a sventare il conflitto tra Argentina e Cile per la sovranità del canale di Beagle e di isole in America Latina. Ai negoziati fallimentari dell’argentino Videla e del cileno Pinochet si opposero i cardinali Antonio Samorè e Agostino Casaroli, insieme all’azione diplomatica dei nunzi apostolici nei due rispettivi paesi, i cardinali Pio Laghi e Angelo Sodano. Grazie alla loro mediazione, proprio in Vaticano il 29 novembre 1984 fu firmato il Trattato di pace e amicizia alla presenza del Segretario di stato Agostino Casaroli.
Diplomazia latinoamericana
L’America Latina ha rappresentato il campo della diplomazia pontificia anche con papa Francesco. Basti pensare alle trattative riservatissime per consentire il disgelo delle relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Cuba in Vaticano: una serie di negoziati condotti con discrezione fin dal 2010 e protrattisi sino al giorno stesso della rinuncia di Benedetto XVI, quando prima del Concistoro del 2013 si tenne un incontro riservato tra i rappresentanti del Patriarcato di Mosca e la Segreteria di stato vaticana, anticipo del più noto incontro tra papa Francesco e il patriarca russo Kirill nell’aeroporto di Cuba.
Fu l’allora sostituto alla Segreteria di stato, Angelo Becciu, a ricordare che nel 2015 i negoziatori cubani e statunitensi dentro le mura leonine firmarono il documento con cui cessavano 54 anni di ostilità e tensioni. I tempi lunghi dei negoziati e la discrezione della Santa sede sono altri due pilastri su cui si regge la diplomazia dei papi.
Lo stesso caso cubano, per esempio, è stato reso possibile grazie alla politica pacificatrice svolta anni dal Vaticano di papa Giovanni XXIII che, con l’enciclica Pacem in terris alla mano, scongiurò il punto di massima tensione tra gli Stati Uniti e l’isola caraibica nota come crisi dei missili di Cuba.
Dopo di lui, toccò a Giovanni Paolo II allentare l’isolamento e il bloqueo economico che di fatto isolava Cuba dagli scenari internazionali: per Wojtyła era l’applicazione del celebre discorso di insediamento del 1978, quando invitava gli stati ad aprire a Cristo i loro sistemi economici e politici.
La diplomazia dei Giardini
D’altro canto, in America Latina la Santa sede aveva preso l’impegno di mantenersi neutrale già dai primi del Novecento. E questo contribuiva a riconoscerle un ruolo di arbitro nelle dispute territoriali.
Lo spiega il canonista dell’Università di Palermo, Antonio Insoglia, sulla rivista Stato, Chiese e pluralismo confessionale: «Dall’arbitrato per la definizione dei confini tra il Perù e la Colombia nel 1905, seguito da quello svolto tra il 1909 e 1910 su questioni legate ai possedimenti minerari di Brasile, Bolivia e Perù».
Andando a ritroso, a papa Leone XIII toccarono diverse mediazioni: «Tra l’Ecuador e il Perù, tra Haiti e Santo Domingo. Si tratta di questioni legate ai confini tra gli stati viciniori dell’America Latina, che hanno spesso creato conflittualità per periodi molto lunghi», puntualizza il prof. Regoli, in uscita con un saggio sulle mediazioni e gli arbitrati internazionali della Santa sede.
Certo, il luogo fa la differenza. Papa Francesco elesse i Giardini Vaticani, luogo privo di simboli religiosi, come teatro della strategia diplomatica della Santa sede, quando l’8 giugno 2014 riunì il presidente palestinese Abu Mazen e il presidente israeliano Shimon Peres per piantare l’ulivo della pace.
Più spirituale, ma di uguale peso negoziale, lo storico incontro fra i due leader belligeranti del Sud Sudan dopo due giorni di ritiro in Vaticano. Davanti al presidente della Repubblica del Sud Sudan, Salva Kiir Mayardit, e ai vicepresidenti designati presenti, tra cui Riek Machar e Rebecca Nyandeng De Mabio, il papa chiese la pace baciando loro i piedi: «Imploro che il fuoco della guerra si spenga una volta per sempre», furono le parole da lui pronunciate prima dello storico gesto.
La trattativa per la consegna dei minori ostaggio della Russia condotta dal cardinale Matteo Zuppi rientra, invece, in una modalità di mediazione diversa, ma ugualmente importante. Sono quelli che in diplomazia sono chiamati buoni uffici, contemplati anche dalla Carta delle Nazioni Unite (art. 34). Regoli puntualizza: «Buoni uffici sono quelli per i quali la Santa sede non ha un ruolo di arbitro, come nelle mediazioni, ma tenta di avvicinare le due parti, e il ruolo della Santa sede è quanto le viene riconosciuto dalle parti coinvolte».
Per questo, a prescindere dal luogo dell’incontro, la diplomazia dei papi può avere diverse forme: ai tempi della guerra Usa in Iraq, per esempio, Giovanni Paolo II adottò la shuttle diplomacy attraverso il cardinale Pio Laghi, che trattava con i singoli contendenti.
Canali personalizzati
Quando un cardinale agisce come delegato pontificio, quindi a nome del papa, agisce per conto della Santa sede, anche se la trattativa avviene fuori dal suo territorio. Infatti, spiega Regoli: «Più che un luogo fisico in Vaticano, ci sono gli uffici della diplomazia pontificia. Non necessariamente l’incontro avviene a Roma, ma non è tanto importante il luogo, quanto la mediazione, ovunque avvenga nel mondo» spiega.
È il caso dei cardinali itineranti, come di recente ha fatto Matteo Zuppi per chiedere il rientro dei minori ucraini in territorio russo, a prescindere dagli esiti finora raggiunti. In uno scenario di terza guerra mondiale a pezzettini, papa Francesco ha coltivato dei canali più personalizzati: «Era un po’ la cifra del suo modo di agire che al di là di quello che faceva a livello istituzionale, trovava sempre uno spazio personale: c’era originalità da mettere in armonia con l’istituzione. Però poi la Segreteria di stato era sempre coinvolta», puntualizza Regoli.
E nel solco tracciato da Francesco «come unico popolo, come fratelli tutti», il suo successore Leone XIV sembra voglia camminare, come ha ribadito lo scorso 19 maggio davanti ai rappresentanti delle altre chiese: «Il papa della Fratelli tutti ha promosso sia il cammino ecumenico sia il dialogo interreligioso, e lo ha fatto soprattutto coltivando le relazioni interpersonali, in modo tale che, senza nulla togliere ai legami ecclesiali, fosse sempre valorizzato il tratto umano dell’incontro. Dio ci aiuti a fare tesoro della sua testimonianza!».
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