In questi giorni si sono accese le polemiche (non sempre costruttive per altro) legate alla matrice fascista del partito di Giorgia Meloni. I maggiori media stranieri non sembrano (solitamente) avere molti dubbi e continuano a monitorare l’Italia in vista di un governo a guida “fascista” o “postfascista”.

Esponenti di Fratelli d’Italia hanno risposto insistendo sulle (paradossali) influenze della sinistra italiana sugli editorialisti esteri più critici. Sebbene ci sia una reale preoccupazione per le possibili alleanze internazionali di un governo nazionalista con forze storicamente vicine a Putin, sembra quasi che si voglia credere che esistano entità (oscure) pronte a fermare i cloni di Trump in salsa italica.

Osservando il fenomeno Meloni con occhi distaccati e basandosi sulle ricerche accademiche su questi partiti possiamo avere delle chiavi interpretative meno legate al caos elettorale. 

Estremisti?

È chiaro che FdI è un movimento di estrema destra e come tale è studiato dalla comunità internazionale di studiose e studiosi. Il problema è che in Italia una tale classificazione può essere considerata politicamente motivata.

La trasformazione dell’Msi in un partito (teoricamente) postfascista come An non ha mandato in soffitta quel “pericoloso” estremismo neofascista? Perché usare “estrema destra” se si definiscono conservatori? In questo contesto, gli unici estremisti sembrerebbero essere solo Forza nuova e Casapound.

Un problema è che con l’avvento di Silvio Berlusconi e la sua ormai famosa “coalizione dei moderati” l’opinione pubblica ha interiorizzato un messaggio che non necessariamente corrisponde(va) alla realtà storica. Un cambiamento simile è avvenuto con un revisionismo storico che in questi anni ha permesso la riabilitazione del regime mussoliniano. 

Destra internazionale

AGIF via AP

Oggi FdI condivide molte delle sue politiche con movimenti come Vox e Fidesz, incluso l’euroscetticismo, le posizioni contro l’Islam, la chiusura delle frontiere, una ferrea difesa dei valori tradizionali e cristiani. Osserviamo, in sintesi, un rigetto o rifiuto di ciò che è diverso e delle differenze. I nemici si materializzano in concetti come il cosmopolitismo “apolide”, il multiculturalismo, la multietnicità e la globalizzazione.

Questi sono appunto tratti comuni alle destre estreme europee (e non solo). Il trumpismo e il bolsonarismo sono trend comparabili in una una storia che comprende fascismo, populismo e neofascismo (seppure questi ultimi non siano entità identiche). Questi “-ismi” condividono la stessa genealogia (non tutti i fascisti rimasero “fascisti” dopo il 1945).

Populismo postfascista

AP

Storicamente il populismo, fenomeno di per sé controverso, almeno in alcune aree, può essere definito come un approccio autoritario alla democrazia. Esso rappresenta una riformulazione del fascismo per riuscire a sopravvivere a un nuovo contesto non più dittatoriale.

È una forma di postfascismo. Il fascismo è invece solitamente dittatura che spesso emerge dalla democrazia per distruggerla. Il populismo ha solitamente distorto le strutture democratiche dello stato, senza quasi mai annullarle completamente. 

Questo è quello che è successo con Juan Perón in Argentina e Getulio Vargas in Brasile. Oggi in Europa i movimenti di destra nazionalista stanno in maniera simile cercando di cambiare molte istituzioni (e valori) liberi implementando “democrazie illiberali” come in Ungheria.

Essendo pertanto il populismo un termine dibattuto, FdI certamente mostra chiari tratti populisti, soprattutto a livello di comunicazione e in riferimento al culto del leader, a un presidenzialismo che limita il potere del parlamento e a un forte antagonismo contro le élite considerate nemiche degli italiani. 

Tradizione neofascista

Tuttavia, il partito non è solo “populista”, né tantomeno conservatore. Usare queste nozioni, e spesso senza discuterne la dimensione storica, è un modo, indiretto e involontario probabilmente, per bypassare altre categorie storiche e concettuali come fascismo e neofascismo.

Queste semplificazioni non aiutano la comprensione del fenomeno e nemmeno a  una seria riflessione sulla dimensione xenofoba e illiberale. Oggi però l’aspetto più dibattuto, a causa delle molte polemiche sul simbolo di FdI  che richiama direttamente al Msi, è quello se il partito sia neofascista o meno. È noto che la loro risposta sia stata riproporre una fiamma della quale si sentono “fieri”.

In realtà non occorreva attendere il 2022 per realizzare che questo fosse un movimento incluso in una tradizione genuinamente neofascista. Abbandonare la fiamma significherebbe recidere i legami con una comunità e un immaginario di riferimento. Un simbolismo che è fatto non solo di fiammelle e, come ci raccontano le foto maldestramente pubblicate sul web, di qualche saluto romano.

Parliamo di apparato filosofico costruito su libri, “patrioti” del passato, saghe letterarie, mondi perduti e idee mai sopite. Questo è uno dei motivi che porta gli ex missini a intitolare i  loro circoli a Giorgio Almirante o omaggiare gerarchi e generali come Balbo o Graziani.

Oggi l’occidente è in preda a pulsioni centrifughe e polarizzanti che cercano una nuova via non necessariamente democratica, con populisti che tornano al fascismo e nazionalisti che si radicalizzano sempre più verso destra. Leader come Donald Trump o Jair Bolsonaro rappresentano questa nuova formula politica. L’Ungheria e la Polonia tracciano una comparabile strada per difendere un’Europa bianca e cristiana (ma non necessariamente democratica).

È probabile che con una forte maggioranza dopo il 25 settembre i nazionalisti di destra italiani tenteranno di percorrere un percorso simile.

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