Il prossimo 15 ottobre sarà il centenario della nascita di Italo Calvino, che non è nato in Italia ma a Santiago de Las Vegas de L’Habana, sulla strada verso l’aeroporto della capitale cubana. Ho avuto la fortuna di visitare questo paesino sospeso nel tempo, dove tutti conoscono Calvino, più di lui il padre Mario, un agronomo che, come mi ha raccontato un abitante del luogo, «prendendosi cura delle nostre terre ci ha dato da mangiare». Ma qui vogliamo parlare di scrittura, e proviamo a farlo insieme a Calvino, partendo da un’intervista.

Nel 2003 minimum fax, nella sua collana “Macchine da scrivere”, pubblica in Italia Uno scrittore pomeridiano. Intervista sull’arte della narrativa, curata da William Veaver e Damien Pettigrew, un’intervista a Calvino commissionata da Paris Review nel 1983. Rimasta incompiuta anche per la morte dell’autore (19 settembre 1985), nel 1992 viene recuperata e ampliata con le trascrizioni di una videointervista, un intervento di Pietro Citati e una introduzione dello stesso Veaver, il suo traduttore di lingua inglese. L’edizione è completata da un breve testo in cui Calvino stesso appunta per iscritto il suo stato d’animo prima dell’intervista.

Il 2 e 3 settembre si terrà l’evento charity Writing Solidarity organizzato dalla scuola di scrittura e sceneggiatura di Francesco Trento, “Come si scrive una grande storia”. L’evento vedrà quattro nazionali scrittori della Writers’ League sfidarsi, fuori dal campo scrittori e scrittrici da tutta Europa terranno masterclass il cui ricavato sarà interamente devoluto per sostenere 100 famiglie di profughi. In quella occasione terrò l’incontro “Lo scrittore pomeridiano. Metodi e linguaggi di Calvino nel centenario dalla nascita”. Come con gli incontri dell’Associazione di scrittori Piccoli Maestri partirò proprio dalla lettura di alcune risposte dello scrittore italiano contenute in questa intervista.

L’atto fisico

Dopo qualche domanda il suo traduttore gli chiede: «Come scrive? Come compie fisicamente l’atto della scrittura?» Calvino risponde: «Scrivo a mano, e faccio moltissime correzioni. Direi che le parti cancellate sono più di quelle scritte. Quando parlo devo cercare le parole, e ho la stessa difficoltà quando scrivo. Poi faccio parecchie aggiunte, interpolazioni, che scrivo in caratteri molto piccoli. A un certo punto non riesco più a leggere la mia stessa scrittura, e allora uso una lente di ingrandimento per capire cosa ho scritto». 

Ci sarebbe già molto da dire, ma la risposta di Calvino non finisce qui: «Ho due grafie diverse. Una è grande, con lettere piuttosto grosse: le a e le o, in mezzo, hanno un anello molto grosso. Questa è la grafia che uso quando devo copiare o quando sono abbastanza sicuro di ciò che devo scrivere. L’altra corrisponde a uno stato mentale meno sicuro, ed è molto piccola: le o sono quasi dei puntini. Questa è molto difficile da decifrare, anche per me».

La fatica della pagina

Attraverso le parole di Calvino osserviamo il movimento della sua scrittura, la sua grafìa, con dettagli molto significativi. Ma non del tutto soddisfatto della risposta, come se la ritenesse incompleta, Calvino prosegue ancora, entrando nel cuore del suo lavoro quotidiano: «Le mie pagine sono sempre coperte di cancellature e revisioni. Una volta facevo molte stesure manoscritte. Ora, dopo la prima stesura, scritta a mano e tutta scarabocchiata, la batto a macchina, decifrandola sul momento. Quando finalmente rileggo il dattiloscritto, scopro un testo del tutto diverso, che spesso rivedo ulteriormente. Poi faccio altro correzioni. Su ogni pagina cerco prima di fare le mie correzioni a macchina, poi correggo ancora un po’ a mano. Spesso la pagina diventa talmente illeggibile che mi tocca ribatterla».

Un passaggio, questo, che funziona molto bene per mostrare nel concreto quanta fatica possa esserci dietro la pagina di un autore che, una volta pubblicata, sembra scorrere perfetta, con assoluta semplicità. Non finisce qui però, perché la fulminante conclusione di questa lunga risposta di Calvino regala ancora una riflessione a chi si occupa del mondo della scrittura: «Invidio quegli scrittori che riescono a fare a meno di correggere».

Ricomponendo queste parole, ci troviamo di fronte a un canovaccio pronto da utilizzare per una fondamentale lezione di scrittura, che insegna l’importanza di confrontarsi con il proprio testo, di farlo più volte in modalità diverse, raccontando come tutto questo sia determinante per qualsiasi opera calviniana, che pure tutti riconosciamo essere un esempio unico nella storia dell’intero Novecento, non solo italiano, per la poliedrica fantasia, oltre che per l’originale varietà letteraria espressa in ogni suo libro.

Un conflitto eterno

C’è già parecchia carne al fuoco per nutrire un bel dialogo tra scrittori e scritture, compresa quell’invidia riservata in ultimo a chi riesce a scrivere senza dover correggere, privilegio credo concesso a pochi eletti, e non credo applicabile alla loro relativa opera omnia. Ma vorrei aggiungere un ulteriore elemento, che forse consolerà almeno un po’ chi invece è costretto giorno dopo giorno a sudare sulle proprie carte, parafrasando l’amato Leopardi, amato anche da Calvino.

La domanda appena seguente la lunga risposta di cui sopra, sposta l’attenzione dal come al quando scrive Calvino, altra componente determinante per chi si cimenta nell’esercizio della scrittura. Weaver chiede: «Lavora tutti i giorni o solo in determinati giorni e a determinate ore?».

Anche qui la natura articolata di una personalità come quella di Calvino emerge in tutta la sua purezza, descrivendo l’eterno conflitto che alberga in chiunque abbia a che fare con lo scrivere quotidiano: «Teoricamente mi piacerebbe lavorare ogni giorno. Ma la mattina mi invento qualunque scusa pur di non lavorare: devo uscire, fare compere, prendere il giornale. In media, riesco a perdere tutta la mattina: quindi alla fine mi metto a scrivere nel pomeriggio. Sarei uno scrittore diurno, ma a forza di perdere la mattina, sono diventato uno scrittore pomeridiano». Da qui il titolo italiano dell’intervista.

Quanta umanità in questa confessione, e quanta solidarietà da parte dell’intera comunità di scrittori. Il rischio è che possa diventare consolatoria, rivelandosi controproducente: di certo, ti fa sentire meno solo. Come è certo, e spero di averne data dimostrazione, che a un secolo dalla sua nascita Italo Calvino ci parla ancora, e ha ancora molto da dire.

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