È normale che una lingua sia tanto più difficile da tradurre quanto più antica è stata la sua nascita e la sua fine. È evidente quindi, che la scrittura più antica al mondo sia la più difficile da decifrare. Stiamo parlando del cuneiforme. Al British Museum di Londra c’è Irving Finkel, curatore del museo stesso, e tra i più grandi esperti al mondo di scrittura cuneiforme, tanto da essere in grado di leggere fluentemente quella scrittura ora totalmente morta.

Misteri svelati

Sebbene sia stata decifrata circa 165 anni fa la maggior parte dei testi esistenti non sono mai stati tradotti nelle lingue moderne, per l’enorme quantità di materiale esistente. «Ora», spiega Alison George sul New Scientist che ha avuto modo di entrare nelle stanze segrete del British Museum, dove sono ospitate le tavolette e dove ha incontrato Finkel, «grazie agli sviluppi dell'intelligenza artificiale, i computer vengono addestrati a leggere e tradurre il cuneiforme e soprattutto a rimettere insieme tavolette frammentate per ricreare antiche biblioteche e, quando è possibile, ipotizzare frammenti di testo mancanti». 

Questi strumenti consentono di leggere integralmente le prime opere letterarie, che offrono spunti di storie apparse in seguito nella Bibbia e gettano luce sulle civiltà agli albori della storia. Il cuneiforme vede la luce circa 6mila anni fa in Mesopotamia, quando piccoli insediamenti agricoli lasciarono il posto a centri urbani di migliaia di persone. Uruk fu uno dei più sviluppati: tra le sue strade circolavano anche 50mila persone, un numero immenso per quel tempo. Per gestire quel mondo nacque il cuneiforme che serviva soprattutto per scopi amministrativi: numerare le persone che entravano in città, calcolare quanta birra fosse necessaria per una locanda e così via.

Erano segni a forma di cuneo che si facevano con l’estremità di una canna nell’argilla umida e da qui il nome moderno. Bisognerà aspettare però circa tre secoli per leggere i primi testi letterari, il tempo necessario perché i cunei da segni quasi esclusivamente numerici si trasformassero in segni in grado di esprimere anche sentimenti. Si arrivò così a scrivere il testo più famoso del periodo: l’Epopea di Gigamesh, di autore sconosciuto, dove si racconta la storia di un diluvio che ricorda molto da vicino quello ripreso dalla Bibbia.

Forse della cultura sumerica si parla troppo poco nonostante alcuni elementi che sono impressi ancora nella nostra vita. Un esempio: il sistema di conteggio sessagesimale a base 60 ha portato a definire che il minuto è composto da 60 secondi e che l’angolo giro è di 360 gradi. Ma attenzione: il cuneiforme non è una lingua, ma una base per varie lingue. Per capire: le lettere dell’alfabeto che noi utilizziamo non sono una lingua, ma una base per l’italiano, il francese, lo spagnolo e così via. La scrittura cuneiforme diede vita all’accadico, all’ittita e all’antico persiano.

E così le tavolette di argilla hanno visto scritto su di esse 3mila anni di storia e moltissime sono resistite fino ai nostri giorni. Spiega Enrique Jiménez dell’Università Ludwing Maximilians di Monaco, in Germania: «Si dice che la prima metà della storia umana sia registrata su quelle tavolette che riportano di tutto, dai grandi poemi agli inni, ma anche dalle liste della spesa fino a reclami di clienti di negozi».

E quel che è interessante è il fatto che di tanto in tanto si fanno scoperte davvero eclatanti. Come è avvenuto nel 2017, quando una tavoletta di 3700 anni fa, nota come Plimpton 322 è risultata la più antica tavola trigonometrica del mondo a dimostrare che furono gli accadi e non i greci a studiare per primi la trigonometria. E l’anno scorso una tavoletta trovata in Iraq ha dimostrato che i babilonesi facevano calcoli con i triangoli secoli prima di Pitagora.

Ma mentre oggi ci sono migliaia e migliaia di persone che conoscono il greco antico, le persone in grado di leggere il cuneiforme non sono più di 80. Eppure le tavolette in gran parte rotte, con bordi sgretolati con storie che non hanno inizio e fine sono migliaia e migliaia. Moltissime tavolette arrivano da ciò che è rimasto dalla distruzione di una vasta biblioteca, che conteneva oltre 30mila tavolette, che aveva realizzato Assurbanipal nel nord dell’Iraq, ma che venne distrutta nel 612 avanti Cristo quando venne saccheggiata.

Mettere assieme quei frammenti è come giocare con un puzzle con il problema in più però, che un pezzo di una tavoletta potrebbe trovarsi al British Museum, un’altra in un museo tedesco e un’altra ancora in una collezione privata chissà dove. Solo per fare un esempio: ci sono voluti più di 100 anni per identificare l'inizio dell'Epopea di Gilgamesh in un piccolo frammento conservato in un cassetto del museo. 

Ma ora ecco la possibile svolta con l’IA che entra in campo. Si tratta del progetto Electronic Babylonian Literature, istituito da Jiménez nel 2018, ma che solo recentemente ha iniziato a lavorare a pieno regime. L’IA è stata addestrata per leggere e confrontare sequenze di tavolette diverse, trovare eventuali piccole variazioni in copie diverse e addirittura prevedere quali segni cuneiformi potrebbero trovarsi nei segmenti mancanti e infine ricostruire l’insieme di una storia.

Nel 2019, questo approccio ha aiutato a identificare diversi pezzi mancanti dell'Epopea di Gilgamesh, oltre a rivelare un nuovo genere di letteratura antica: un testo composto da parodie (comprese battute sullo sterco d'asino) che è stato utilizzato dai bambini delle scuole per aiutare ad imparare a scrivere. E insieme ad Anmar Fadhil dell'Università di Baghdad in Iraq, Jiménez sta anche mettendo insieme un altro genere sconosciuto:  un “inno ad una città”, in questo caso Babilonia, con dettagli sulla vita del tempio.

Un lavoro, quello dell’intelligenza artificale, che ha già dato frutti importanti, come l’identificazione di un frammento mancante di un famoso poema o l’individuazione di una donna, tale Mama-ummi, che era sovraintendente di una fabbrica tessile dove lavoravano sotto di lei ben 180 donne.

Ora la speranza è quella di arrivare ad un sistema di riconoscimento dei segni con i moderni sistemi di traduzione linguistica. Ciò significa che si potrebbe scattare una foto con uno smartphone di una tavoletta presente in un museo e ottenere una lettura istantanea di ciò che vi è scritto. Nessuno di questi sforzi sarebbe possibile senza grandi database digitali di testi per fornire quanti più dati possibili agli algoritmi che possano “imparare”, ad esempio, quali parole verranno probabilmente scritte una accanto all'altra.  Gli sforzi in atto ci porteranno sicuramente a conoscere molti segreti di quello che è stato il primo tentativo dell’uomo di raccontarsi e di raccontare la storia.

Agricoltura e plastica

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Qual è la portata dell’inquinamento da plastica nei suoli agricoli e il suo impatto a livello globale? È una domanda questa, a cui stanno tentando di dare una risposta ricercatori della Staffordshire University inglese e dell’Università di Cukurova in Turchia.

Claire Gwinnett, della Staffordshire University e autrice di una ricerca apparsa su Environmental Science and Pollution Research, spiega: «Conosciamo molte cose sull’inquinamento da microplastiche negli oceani e nelle acque dolci del pianeta e stiamo iniziando a saperne sempre di più sulle microplastiche presenti nell’aria, ma conosciamo davvero poco sull’impatto che esse hanno negli ambienti terrestri. Con il cambiamento climatico, la pressione dell’aumento delle popolazioni sulla produzione alimentare e i rischi per la sicurezza alimentare è diventato evidente che l’aspetto dell’inquinamento delle plastiche sui suoli agricoli sia diventato estremamente importante da capire».

Stando al loro studio negli ultimi anni l’uso della plastica in agricoltura è notevolmente aumentato. E questo deve far riflettere, visto che si stima che le microplastiche nei suoli impiegano fino a 300 anni per degradarsi completamente. La loro presenza nei terreni altera le caratteristiche di questi ultimi, come struttura, capacità di ritenzione idrica e presenza di comunità microbiche e quindi sono responsabili, a vari livelli, della riduzione delle colture. I primi risultati ottenuti dai ricercatori della Staffordshire University hanno dimostrato che la microplastica può causare una diminuzione del tasso di germinazione dei semi che ha conseguenze negative nell’intero ciclo della produzione alimentare.

Facendo proprio uno studio dell’Università di Cukurova (Turchia), che ha studiato la quantità di microplastica che si diffonde nei suoli derivata unicamente dalle pellicole di plastica monouso utilizzata in serre e tubi di irrigazione, ha detto: «Le pellicole sono prodotti comunemente usati in agricoltura non solo in Turchia, ma in tutta Europa. La maggior parte dei contadini, una volta utilizzato tale materiale, anziché raccoglierlo preferisce lasciarlo degradare al Sole, spesso non sapendo che pur vedendolo scomparire agli occhi la plastica non “scompare” realmente, ma si trasforma in microplastica che finisce nei propri terreni danneggiandoli».

In Turchia erano stati prelevati campioni di suolo da 10 diverse località della regione di Adana/Karataş. Lo studio aveva messo in luce che il numero di micro, meso, macro e megaplastiche che è stato identificato nei suoli dove erano stati utilizzati film per serre e tubazioni da irrigazione era rispettivamente di 47, 78, 17 e 1,2 volte superiore rispetto ai terreni agricoli che non utilizzavano la plastica. A conclusione di questi primi studi Gwinnett ha aggiunto: «L’uso della plastica nel settore agricolo può avere vantaggi degni di nota a breve termine, ma gli effetti a lungo termine non possono essere ignorati e questi non sono certamente positivi».

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