È l’estate degli avvisi di garanzia e delle strategie istituzionali. Sicilia, Calabria, Marche e Lombardia sono le regioni travolte da quei rispettivi terremoti giudiziari che stanno agitando i vertici dei loro partiti di rappresentanza.

Le indagini a carico di governatori regionali o aspiranti tali, assessori e sindaci sono destinate a muovere le pedine sulla scacchiera delle decisioni politiche in modo inevitabile. 

Calabria

L’esempio più lampante? Quello di Roberto Occhiuto, presidente forzista della Punta dello stivale che giovedì 31 luglio, in maniera del tutto inaspettata, ha postato un video sui suoi social. «Mi dimetto, ma mi ricandido», la comunicazione ai calabresi da parte del presidente indagato, insieme ai suoi fedelissimi, per concorso in corruzione.

I pm della procura di Catanzaro, guidata da Salvatore Curcio, a Occhiuto contestano più in particolare l’aver tratto «benefici» dal conferimento di risorse economiche che il suo ex socio, Paolo Posteraro, realizzò nelle «comuni società».

Si parla di «denaro» ma anche, tra le altre cose, «dell’utilizzo esclusivo per sé e per i propri familiari di tre autovetture, il pagamento di sanzioni per violazioni stradali e ricariche di multicard utilizzate per il rifornimento di carburante». E poi al centro dell’inchiesta destinata ad allargarsi – a seguito delle ultime e nuove perquisizioni realizzate dagli uomini della finanza negli uffici della Cittadella regionale – anche l’ombra di nomine macchiate dall’ambiguità. Insieme a un sistema di potere che corroderebbe i settori cruciali del territorio – la sanità, anzitutto – e ha pure portato i magistrati ad accendere i fari sui più stretti collaboratori dell’ex presidente. 

«La macchina amministrativa è bloccata, nessuno si prende più la responsabilità di firmare nulla», la giustificazione ufficiale data a mezzo Instagram dal forzista che solo una settimana fa era stato interrogato dagli inquirenti e si era detto «sereno». Sarà davvero così? La motivazione addotta è quella reale? A ben guardare il “ritiro” di Occhiuto farebbe parte di una strategia lungamente concordata con la premier Giorgia Meloni, il segretario di Forza Italia Antonio Tajani, oggi (venerdì 1° agosto) a Reggio Calabria per gli Stati generali di FI, e il numero uno della Lega, Matteo Salvini.

Tradotto: nessuna fuga in avanti. Nessun addio, solo un arrivederci. Del resto, la destra è convinta di vincere a mani basse, cogliendo di sorpresa il centrosinistra impreparato allo showdown elettorale. Una controffensiva bella e buona che tuttavia raccoglie anche qualche malumore all’interno del centrodestra: c’è chi ritiene un azzardo il ritorno al voto.

Sicilia

E giovedì 31 luglio, poco prima delle dichiarazioni di Occhiuto, anche un altro colpo di scena: Manlio Messina, il deputato ipermeloniano che oggi dichiara di non sentire più da tempo la premier, ha lasciato Fratelli d’Italia e ha conseguentemente annunciato l’addio al gruppo alla Camera. Nei prossimi giorni deciderà se proseguire il mandato da deputato nel gruppo Misto o rassegnare le dimissioni anche dal ruolo di parlamentare.

«Comunico la mia decisione di lasciare il partito Fratelli d'Italia e di rassegnare le dimissioni dal gruppo parlamentare. Non aderirò ad altri partiti, né ora né in futuro», ha scritto in una nota. Anche in questo caso, però, la decisione non è stata un fulmine a ciel sereno: a inizio marzo aveva lasciato l’incarico di vicecapogruppo di FdI a Montecitorio, finendo gradualmente ai margini del partito. 

I motivi? Di certo l’inchiesta giudiziaria che sta scuotendo l’isola ne ha condizionato le scelte. Messina, ex assessore regionale al Turismo, non risulta direttamente coinvolto nell’indagine della procura di Palermo guidata da Maurizio De Lucia che vede tra i principali indagati il delfino di Ignazio La Russa, e cioè l’assessore siciliano Gaetano Galvagno, a cui tra l’altro è stato appena notificato l’avviso di conclusione indagine.

Messina però, pur non essendo coinvolto, più volte è citato nelle carte del procedimento, avviato proprio dal denaro messo in campo per promuovere la regione siciliana al festival del cinema di Cannes dall’assessorato all’epoca retto dall’ormai ex meloniano.

Ex meloniano che, come raccontato da Domani, vantava stretti legami anche con Carlo Auteri, consigliere regionale in Sicilia, fuoriuscito da FdI dopo le inchieste pubblicate da questo giornale sui fondi pubblici destinati ad associazioni riconducibili ai suoi familiari.

Insomma, nell’isola viene meno il punto fermo di FdI. Ma pure un vero e proprio sistema di potere. Che man mano sembra sfaldarsi.

Marche

Dopo aver incassato la “fiducia” del leader dell’M5S Giuseppe Conte e della segretaria del Pd Elly Schlein, resta invece al suo posto (almeno per il momento) l’eurodeputato Matteo Ricci, indagato dalla procura di Pesaro, guidata da Marco Mescolini, per concorso in corruzione. Ricci, come annunciato, non interromperà la sua corsa da candidato di centrosinistra a presidente della Regione Marche: eppure, l’inchiesta che lo coinvolge, sul presunto sistema di affidamenti e contributi dell’amministrazione comunale, sta creando una serie di malumori in coalizione. 

Dopo l’interrogatorio dell’ex sindaco, ad ascoltare le persone a lui vicine, alla fine mancherebbe la «pistola fumante» nella tesi dei pm. Nel corso del confronto con i magistrati, sempre secondo fonti vicinissime allo stesso Ricci, non ci sarebbero stati colpi di scena su chat o documenti ancora coperti che avrebbero potuto peggiorare la situazione dell’europarlamentare. Tuttavia, in base a quanto apprende Domani, non è escluso possano esserci sorprese future. E questa continua incertezza ha ricadute politiche non indifferenti sulla decisione dei Cinque Stelle di appoggiare o meno il dem pesarese.

Tra le accuse mosse dai pm a Ricci, inoltre, c’è anche quella di aver ottenuto «un’utilità non patrimoniale attraverso la realizzazione, con modalità illegittime, di opere ed eventi pubblici di grande richiamo» in grado di procurargli «un rilevante beneficio in termini di accresciuta popolarità e consenso». È proprio questo capo di accusa quello più contestato nell’ambiente democratico: «Molto fumoso», ripetono da giorni in tanti. Cosa accadrà? L’aspirante governatore, nell’incertezza, dichiara: «Continuerò a fare campagna elettorale per la gente e tra la gente». Con il beneplacito – almeno finora – di M5s e Pd. 

Lombardia 

In ultimo, ma non per importanza, Milano: la città «sventrata», scrivono i magistrati meneghini alle prese con la maxi inchiesta sull’urbanistica, da un «sistema di corruttela tentacolare»

Tra i 74 indagati del procedimento, che giovedì 31 luglio ha portato il gip Mattia Fiorentini a convalidare ben sei arresti, anche il sindaco Beppe Sala, accusato di falso e prima della pronuncia del giudice anche di induzione indebita (contestazione quest’ultima caduta). 

Il Partito democratico, nonostante le continue richieste di dimissioni da parte delle opposizioni, ha deciso di non scaricare il primo cittadino che tra l’altro ha ribadito l’intenzione di continuare a guidare la città. A dimettersi, invece, l’ormai ex assessore comunale all’Urbanistica, Giancarlo Tancredi, oggi ai domiciliari insieme al “re del mattone” Manfredi Catella (entrambi faranno ricorso al Riesame), all’architetto membro della commissione paesaggio in Comune Alessandro Scandurra, all’ex presidente di questa commissione Giuseppe Marinoni e all’ex manager di S+J Federico Pella. In carcere è finito il patron di Bluestone Andrea Bezziccheri (anche lui farà ricorso al Riesame).

Sullo sfondo dell’inchiesta e delle scelte politiche un territorio, quello di Milano, «saccheggiato» dalla volontà degli indagati di «trarre massimo profitto, accrescere esponenzialmente i propri guadagni mediante le relazioni più fruttuose, in un vorticoso circuito di corruzione tutt’ora in corso, che colpisce le istituzioni e che ha disgregato ogni controllo pubblico». 

© Riproduzione riservata