Nell’ottobre 2017 alcune importanti figure dell’economia e della politica, tedesca e internazionale, si sono ritrovate a un ricevimento organizzato in una sala a vetrate in uno dei piani alti del più alto grattacielo di Francoforte.

All’evento era presente uno dei massimi dirigenti di un gruppo tedesco che produce automobili: l’uomo, eccitato e sciolto dopo alcuni bicchieri di vino, ha iniziato a raccontare aneddoti, intrattenendo coloro che gli stavano intorno. Dopo un po’, la conversazione è passata sull'Ungheria.

L’uomo si è vantato del fatto che i dirigenti della sua azienda potevano chiamare il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó in qualsiasi momento, se avevano delle richieste riguardanti i loro impianti in Ungheria. Ha poi aggiunto che, se necessario, potevano perfino parlare direttamente con Viktor Orbán: infatti, ha aggiunto l’uomo, il premier ungherese li aveva già aiutati su un caso particolare.

Orbán e il Dieselgate

Due anni prima, nel settembre 2015, l’industria automobilistica tedesca ha attraversato il più grande scandalo della sua storia: è stato portato all’attenzione dell’opinione pubblica che, da diversi anni, le auto diesel del gruppo Volkswagen (Vw) avevano manipolato un software imbarcato sulle automobili per imbrogliare i test sulle emissioni.

In seguito allo scandalo, il prezzo delle azioni Vw ha cominciato a crollare: molte aziende sembravano essere in serio pericolo di chiusura e, di conseguenza, al taglio di posti di lavoro.

Al ricevimento di Francoforte il dirigente automobilistico tedesco di cui sopra ha sostenuto che lo scandalo delle emissioni diesel, poi noto come Dieselgate, era diventato così imbarazzante per il governo federale, che i proprietari delle aziende tedesche sentivano che lo stato iniziava a tirarsi indietro.

Ed è così che si sono rivolti direttamente a Viktor Orbán, chiedendogli di appoggiare gli interessi dei produttori di automobili al Consiglio europeo che stava discutendo la questione.

Orbán non solo ha accettato, ma ha anche mantenuto la sua promessa, ha detto con soddisfazione il dirigente automobilistico tedesco.

Dall’inizio del 2016, il Consiglio europeo, che rappresenta i governi degli stati membri dell’Ue, ha ripetutamente affrontato la questione delle regole relative emissioni inquinanti prodotte dal trasporto su strada. La Germania ha cercato di ammorbidire i regolamenti più severi, in accordo con l’Italia e gli stati membri d’Europa orientale, dove esistono significativi investimenti automobilistici tedeschi.

Nel settembre 2017 un nuovo regolamento è finalmente entrato in vigore, ma il testo permetteva diverse scappatoie: l’applicazione era prevista solo per le nuove auto non ancora su strada, e conteneva molte altre concessioni alle case automobilistiche.

Una fonte d’affari tedesca, presente al ricevimento di Francoforte, ha parlato a Direkt36 del lobbismo e del ruolo di Orbán, aggiungendo che la cosa in sé non ha nulla di sconvolgente. «I rappresentanti di tutte le aziende importanti dicono di avere i numeri di telefono di Szijjártó e di altri», ha detto la fonte, aggiungendo che i dirigenti di diverse case automobilistiche tedesche hanno raccontato storie simili, e che tutti «hanno la certezza di avere il governo ungherese nelle loro tasche».

Il portavoce di Viktor Orbán e il ministero degli Affari esteri e del commercio (diretto da Szijjártó) non hanno risposto alle nostre richieste di commento. Un ex alto funzionario del governo ungherese ha confermato però che «Viktor Orbán difende gli interessi delle case automobilistiche tedesche al Consiglio europeo». Sempre secondo la fonte, non c’è nulla di sorprendente in questo atteggiamento: i governi ungheresi sono, tradizionalmente, accomodanti con le aziende automobilistiche tedesche. 

Dopo lo scoppio dello scandalo delle emissioni diesel, Mihály Varga, ministro delle Finanze del governo Orbán, ha sostenuto che 2-2,5 milioni degli undici milioni di auto diesel del gruppo Volkswagen dotate dei cosiddetti “motori truccati” erano state prodotte nello stabilimento Audi nella città di Győr, aggiungendo che «l’obiettivo più importante per il governo è preservare i posti di lavoro nell’industria automobilistica e la stabilità che questa industria fornisce all’Ungheria».

Questa storia è un buon esempio di come, nel corso degli anni e dei decenni, tra le maggiori aziende dell’industria tedesca e il governo ungherese si sia sviluppata una relazione basata su benefici e dipendenza reciproci. 

Le case automobilistiche tedesche sono il motore principale della crescita economica ungherese e, grazie a questa, dei successi politici del Governo Orbán. Secondo i dati dell’Ufficio centrale di statistica ungherese, la produzione di automobili rappresenta il 4,5 per cento del Pil dell’Ungheria e i fornitori che lavorano per le grandi case automobilistiche ne rappresentano un altro 5-8. In altre parole: ogni ottavo o decimo fiorino prodotto in Ungheria è collegato, direttamente o indirettamente, all'industria automobilistica, dominata dalla Germania.

Abbiamo scoperto come decenni di relazioni personali sottendono le manovre di Orbán in Germania; come le aziende tedesche sono disposte a rinunciare ai tanto dibattuti «valori democratici» se serve i loro interessi commerciali; e, per esempio, che il governo ungherese è riuscito a impedire ai leader della comunità ebraica di Budapest di riportare ad Angela Merkel le preoccupazioni della loro comunità sulla situazione nel paese.

I padroni tedeschi di Orbán

AP Photo/Geert Vanden Wijngaert, Pool

«Chiama il conte e digli che vorremmo rendergli visita!». Questo è il compito che Viktor Orbán ha assegnato a Gergely Prőhle la notte della sua prima vittoria elettorale, il 24 maggio 1998. Prőhle era allora il responsabile dell'ufficio di Budapest della fondazione Friedrich Naumann (la fondazione del Partito liberale democratico tedesco, Fdp). 

Quattro giorni dopo, il nuovo primo ministro era già a Bonn, dove i dirigenti di colossi industriali tedeschi come Audi, Bosch o Siemens aspettavano di incontrarlo. Orbán li ha rassicurati, secondo il rapporto dell’agenzia di stampa statale ungherese, sul fatto che li attendeva una situazione economica stabile e  prevedibile; inoltre il governo ungherese ha fatto sapere agli industriali di aver l’intenzione di aumentare gli investimenti stranieri, soprattutto nel settore manifatturiero.

L’incontro è stato possibile grazie a Otto Graf Lambsdorff, influente politico liberale e presidente onorario del Fdp,  spesso citato dai conoscenti solo come «il conte». Lambsdorff conosceva Orbán da diverso tempo: era presidente dell’Internazionale liberale quando Fidesz, il partito di Orbán, ne divenne membro nel 1992. 

Durante la visita di Orbán, Lambsdorff ha parlato con orgoglio alla stampa tedesca del futuro primo ministro e si è vantato di «aver seguito la carriera politica di Orbán fin dal cambio di regime in Ungheria e di essere molto felice di sostenerlo».

Gergely Prőhle, che in seguito è stato ambasciatore a Berlino e vice segretario di stato per gli Affari esteri sotto il governo Orbán, ci ha detto che «Lambsdorff aveva iniziato a viaggiare nell’Europa dell’Est prima del 1989, diventando il primo mecenate tedesco di Orbán. Lambsdorff era una persona dalla grande intelligenza, da cui si poteva imparare molto. Il conte vedeva i legami economico-politici nella prospettiva di un contesto storico di lungo periodo, era una personalità formidabile».

Il rapporto tra Orbán e Lambsdorff era così stretto da sopravvivere anche quando Fidesz ha rotto i legami con la famiglia politica europea che il conte rappresentava. Prőhle ha perfino scritto un articolo su Lambsdorff per Valasz Online. Secondo Prőhle, il conte si era reso conto che la politica di Orbán andava verso il conservatorismo già a metà degli anni Novanta. Non senza una certa delusione, ha accettato la realtà politica e ha osservato come, con il tempo, il leader dell'Unione cristiano democratica (Cdu) Helmut Kohl sia diventato il punto di riferimento più importante per Orbán. 

A un certo punto, Orbán ha spiegato a Lambsdorff che «per ottenere il massimo di voti in Ungheria, gli slogan liberali non bastavano più, e il conte lo aveva capito». I due uomini politici rimasero amici intimi; nel 2009 Orbán fu l’unico ospite straniero al funerale privato di Lambsdorff.

Durante la sua visita in Germania nel maggio 1998, Orbán non solo incontrò i dirigenti delle grandi industrie: trascorse anche un’ora e mezza con l’allora cancelliere Helmut Kohl, a capo del governo da 16 anni. Kohl si preparava a un’elezione, prevista pochi mesi dopo.

I funzionari del ministero degli Esteri ungherese - ancora sotto la guida socialista - consigliarono a Orbán di incontrare anche lo sfidante di Kohl, Gerhard Schröder, la cui vittoria alle elezioni sembrava più probabile. In ragione della sua fedeltà a Kohl, «Orbán ha rifiutato», ha detto a Direkt36 un ex funzionario del ministero degli Esteri ungherese.

Viktor Orbán e Helmut Kohl sono stati al governo contemporaneamente solo per pochi mesi. Se Lambsdorff era un vero mentore e insegnante per il giovane Orbán, Kohl, che aveva appena perso le elezioni, era piuttosto una «leggenda vivente, un modello» per Orbán: un uomo la cui carriera politica abbracciava diversi decenni, ha detto un altro ex diplomatico che ha servito sotto il governo Orbán. 

Quando il suo rapporto con Orbán è diventato più stretto, «Kohl era già un relitto e aveva perso la sua influenza politica», ha aggiunto la fonte. Nel periodo successivo alla sconfitta di Kohl, dopo aver fallito nel tentativo di costruire una relazione stretta con la coalizione socialdemocratica-verde di Schröder a Berlino, il primo governo Orbán ha dovuto ripensare le sue relazioni con la Germania. 

«Siamo dovuti scendere a livello dei Land, gli stati federati, per costruire un’alleanza, specialmente con i due stati conservatori del sud», ha ricordato l’ex diplomatico del governo Orbán, commentando la strategia utilizzata per costruire legami a un livello inferiore rispetto a quello federale.

La relazione tra l’Ungheria e la Germania meridionale va indietro nel tempo. Lungo il Danubio, le aree del Baden-Württemberg, Baviera, Austria e Ungheria sono economicamente e storicamente collegati: formano una sorta di blocco.

Un ex diplomatico del governo Orbán ci ha riferito che Kohl ha discusso con Orbán di questa coesione geostrategica. «Queste due province del sud rappresentano più della metà delle relazioni economiche ungaro-tedesche; il primo consolato generale ungherese è stato aperto a Monaco, e la maggior parte dei tedeschi che furono deportati etnici dall’Ungheria vivono nel Baden-Württemberg», ha detto Sándor Peisch.

Tra le grandi aziende tedesche che investono in Ungheria, Mercedes e Bosch hanno sede nel Baden-Württemberg, mentre Audi e Bmw hanno sede in Baviera, regione nella quale diverse figure significative dell’élite economica e politica locale hanno legami con l’Ungheria. Ne è un esempio l’ex amministratore delegato del gruppo Volkswagen e protagonista (tra gli altri) dello scandalo delle emissioni diesel, Martin Winterkorn. Nato nel Baden-Württemberg da genitori svevi sfollati da Zsámbék, in Ungheria, Winterkorn ha avuto un ruolo importante nello sviluppo del progetto Audi a Győr, e ha ricevuto riconoscimenti di stato in Ungheria. 

Durante il suo primo mandato come primo ministro, Orbán ha costruito una relazione stretta con questa élite conservatrice della Germania del sud. In politica, invece, all’epoca trovò importanti alleati nel cancelliere austriaco Wolfgang Schüssel, nel presidente bavarese Edmund Stoiber (Csu) e in quello del Baden-Württemberg, Erwin Teufel (Cdu). Nel 2000 sono diventati tutti parte della stessa famiglia politica quando Fidesz si è unito al Partito popolare europeo.

Queste relazioni piuttosto buone non erano solo basate su legami personali. Secondo diverse fonti che hanno lavorato in precedenza per Orbán o che hanno avuto contatti con i suoi uomini di parte tedesca, il premier ungherese considera la dipendenza politica, economica e militare dell’Ungheria dalla Germania come una necessità geopolitica. 

Un’idea ricorrente nei discorsi pubblici di Orbán è che l’Ungheria esiste all’interno di un «triangolo Berlino-Mosca-Istanbul». Oltre a questi, a volte aggiunge Washington e Pechino. Nelle conversazioni private, però, Orbán restringe ulteriormente il campo. Un ex alto funzionario del governo americano dice che Orbán gli ha spiegato che l’Ungheria ha solamente due punti di riferimento veramente importanti, la Russia e la Germania. L’Ungheria si procura l’energia dall’una e il lavoro dall’altra.

Orbán ha, inoltre, aggiunto che solo gli Stati Uniti hanno valori, ma «anche noi abbiamo i nostri valori». Da un punto di vista materiale, la politica ungherese dipende solo da Berlino e Mosca. «Grazie al patrocinio tedesco, Orbán è cresciuto ed è diventato un politico importante, ha un grande rispetto per la Germania», ha detto a Direkt36 un esperto tedesco che intrattiene strette relazioni con diversi membri del governo Orbán e che conosce bene il mondo degli affari ungherese.

Angela Merkel ha poi assunto la leadership della Cdu nel 2000, per diventare cancelliera nel 2005. Orbán incontrò diverse volte Merkel e i due svilupparono un rapporto di lavoro certamente funzionale, ma meno basato sulla simpatia o l’amicizia personale. Quando Orbán tornò al potere nel 2010, prendendo in mano le redini dell’economia ungherese in crisi, iniziò una nuova fase nelle relazioni tedesco-ungheresi.

Valori e interessi

Johanna Geron, Pool Photo via AP

Grazie alla strategia economica di Orbán, le case automobilistiche se la sono cavata piuttosto bene. La più vecchia fabbrica tedesca di automobili in Ungheria, Opel, ha ricevuto 15,3 milioni di euro di sostegno statale nel 2011. Mercedes ha ricevuto 61 milioni per il suo primo stabilimento a Kecskemét nel 2009, 36 milioni per la seconda fabbrica nel 2016, e in più anche almeno 1,7 milioni nel 2017.

Audi è stata sostenuta dal governo ungherese con un importo simile negli ultimi dieci anni: cento milioni di euro. Questi numeri non includono le sovvenzioni locali e lo sviluppo delle infrastrutture che servono le fabbriche. Per esempio, lo stabilimento Bmw in costruzione nella città di Debrecen ha ricevuto 34,4 milioni di euro di sostegno statale diretto, compresi i relativi sviluppi infrastrutturali, ma gli aiuti effettivi salgono a circa 361 milioni di euro.

Oltre alle più grandi e famose imprese tedesche, innumerevoli fornitori tedeschi di grandi o medie dimensioni, e meno conosciuti dal pubblico, hanno beneficiato di importanti tagli fiscali e di sussidi statali. Orbán stesso, durante una conferenza della fondazione Konrad Adenauer, ha affermato che i rapporti commerciali della Germania con i paesi della regione di Visegrad sono molto più sviluppati che, per esempio, con la Francia, l’Italia o il Regno Unito. 

La relazione privilegiata tra le grandi imprese tedesche e il governo Orbán è ben illustrata dal fatto che lo stato ungherese ha restituito loro, come sussidio diretto, 122 milioni di euro, mentre le aziende ungheresi hanno ricevuto solo 72 milioni in sussidi.

Nel corso di dieci anni di governo di Fidesz, Audi, per esempio, ha ricevuto quattro volte più sostegno in proporzione ai posti di lavoro in Ungheria che in Germania. Il ministero degli Affari esteri e del commercio non ha risposto alle nostre domande sulla giustificazione di questi aiuti finanziari.

Secondo una fonte della Cdu, i grandi investitori tedeschi in Ungheria non hanno strutturato le loro relazioni su base partitica: erano invece interessati ad avere buoni rapporti con chiunque si trovasse in posizioni decisionali. Al contempo, in cambio di una relazione privilegiata, molti dirigenti tedeschi accettano le regole dettate dal governo Orbán e si adattano, anche se non sono d’accordo.

Chi lo conosce dice che Viktor Orbán è perfettamente consapevole della natura orientata all’interesse delle grandi aziende tedesche. «Secondo Orbán, i tedeschi sono troppo razionali per prendere decisioni che vanno contro i loro interessi. Si può sempre contare sulla razionalità dei tedeschi», ha detto un esperto tedesco che ha legami con il governo ungherese.

Secondo la fonte, le tensioni tra i Governi ungherese e tedesco si spiegano anche con questo presupposto. «Di fronte alle critiche tedesche, al governo ungherese pensano: cosa vogliono? Abbiamo dato qualche miliardo per la fabbrica Mercedes, perché si lamentano della “dittatura”? Cosa vogliono ottenere? Sono persone razionali, devono sicuramente avere uno scopo!», ha detto l’esperto.

Il governo Orbán ha fatto molto più che dare agevolazioni fiscali e versare sussidi statali per stabilizzare la cooperazione, soprattutto dalla fine del 2014, quando il ministero degli Affari esteri è diventato ministero degli Affari esteri e del commercio.

Secondo un lobbista che lavora per aziende tedesche e altre grandi aziende straniere, fare affari con gli stranieri è diventato da allora un processo «ancora più centralizzato. Già durante i colloqui preliminari al ministero viene suggerito di lavorare con aziende ungheresi vicine a Fidesz, usando frasi come: questo subappaltatore è la garanzia di qualità in Ungheria», ha detto il lobbista.

Secondo un ex funzionario del governo Orbán, il sistema ungherese per attirare gli investitori «è stato certamente creato deliberatamente, ma i tedeschi non sono né stupidi né ingenui». Il funzionario ha ricordato che durante un viaggio congiunto, per esempio, gli uomini d’affari tedeschi erano passati a un tono più informale, iniziando a lodare il governo Orbán. «Dopo una bottiglia di vino, arrivano a dirvi anche che l’Ungheria è un posto meraviglioso perché, per esempio, non siete obbligati a concedere una pausa ai lavoratori turchi per pregare a mezzogiorno», ha detto.

Durante una conversazione privata, gli stessi uomini d’affari tedeschi hanno manifestato il loro accordo con la politica estera filorussa dell’Ungheria e hanno criticato le sanzioni dell’Ue imposte alla Russia a causa del conflitto in Ucraina perché, sostengono, le sanzioni hanno fatto molto male alle aziende tedesche.

Dopo il 2010, il Governo Orbán ha sviluppato un rapporto talmente intimo con molte aziende tedesche da riuscire a risolvere i disaccordi e i possibili conflitti direttamente con gli alti dirigenti delle società in Germania.

Uno dei più importanti intermediari tra governo ungherese e imprese tedesche è Klaus Mangold, un ex top manager della Daimler Ag, che è spesso indicato nella stampa tedesca semplicemente come il signor Russia. Secondo un ex diplomatico del governo Orbán, «Mangold rappresenta da sempre  il grande capitale tedesco in Ungheria e in Russia. È principalmente al servizio dell’industria tedesca», ha detto l’ex ambasciatore Sándor Peisch a proposito del lobbista.

Le attività di Mangold in Ungheria sono un esempio dell’intreccio tra affari e politica nelle relazioni ungaro-tedesche. Nel 2016, 444.hu ha scoperto che il lobbista ha portato il suo buon amico e commissario europeo, il tedesco Günther Oettinger, a Budapest sul suo jet privato, nonostante i commissari non siano autorizzati ad accettare regali privati di un valore superiore a 150 euro. 

Oettinger, membro della Cdu, ha avuto un ruolo chiave nell’autorizzazione del progetto della centrale nucleare Paks II in Ungheria, sotto l’egida russa. Oettinger conosce Orbán da molto tempo e ha un’ampia rete di contatti nel mondo politico ed economico tedesco: dopo essersi ritirato dalla commissione Ue è stato ufficialmente assunto dal governo ungherese come presidente del Consiglio nazionale della politica scientifica ungherese, istituito a febbraio 2020.

Questo articolo è risultato finalista allo European Press Prize 2021, nella categoria Distinguished Reporting, ed è stato pubblicato in origine su Direkt36, 444.hu e Krautreporter. La ripubblicazione in italiano è possibile grazie allo European Press Prize, nel cui sito troverai molto altro giornalismo di grande qualità. Distribuzione e traduzione sono a cura di Voxeurop.

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