Il 2022 si era chiuso con la morte di Benedetto XVI, il 2023 si è aperto con la scomparsa dell’ex calciatore Gianluca Vialli e dell’attrice Gina Lollobrigida. Poi è toccato a Maurizio Costanzo, Tina Turner, Silvio Berlusconi. E a intellettuali come Michela Murgia e Andrea Purgatori. Sono solo alcuni dei personaggi scomparsi nell’ultimo anno. Stando agli elenchi di Wikipedia – con un calcolo poco scientifico – le morti di persone famose sarebbero state 2.036 nel 2023, contro le 1.867 del 2010 e le 1.469 del 2000.

Cifre in forte crescita che fanno sorgere qualche domanda. Sembra che con il passare degli anni muoiano sempre più personaggi noti. Ma è davvero così o è solo una percezione? «La cultura più popolare, mainstream, si è addensata e ha trionfato negli anni Sessanta e Settanta. Conseguenza inevitabile è che nei prossimi tempi dovremo dire addio a grosse porzioni del nostro immaginario condiviso» dice Luca Barra, docente di Televisione e media digitali all’Università di Bologna.

In tv e al cinema

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Tra gli ambiti funestati da più morti ci sono la tv, il cinema e la musica, con il 2023 che ha costretto a salutare vari miti della cultura nazionalpopolare. A febbraio è scomparso Maurizio Costanzo, che ha firmato decine di programmi radiotelevisivi e di commedie teatrali prima di raggiungere grande popolarità con Bontà loro e il Maurizio Costanzo show, salotto che per decenni ha raccontato l’Italia. Iscritto alla loggia P2, nel 1993 il giornalista è sfuggito a un’autobomba piazzata dalla mafia.

Ad agosto è toccato a Toto Cutugno, morto a 80 anni dopo una lunga malattia. È stato uno dei cantanti più amati in patria e simbolo della melodia italiana all’estero grazie a L’italiano, diventato una specie di inno nazionale. Una quindicina di anni in più aveva Gina Lollobrigida, la “bersagliera” del cinema italiano. Protagonista di vari film del neorealismo – era stata diretta da registi come De Sica e Monicelli – da semplice sex symbol si era saputa trasformare in star internazionale.

Il cinema ha poi fatto i conti con la morte di un “irregolare di talento” come Francesco Nuti. L’attore e regista fiorentino, 68 anni, è stato campione di incassi negli anni Ottanta, con commedie romantiche e agrodolci; poi la caduta, vittima della crisi del suo stesso cinema e segnato da un calvario di incidenti e malattie. Così come tormentata, dall’altra parte dell’oceano, è stata la vicenda di Matthew Perry, famoso per il ruolo di Chandler nella serie tv Friends. La sua vita è stata accompagnata da forme di dipendenza, per cui era stato più volte in cura.

Dalla musica allo sport

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Il mondo della musica ha detto addio a un’icona come Tina Turner, scomparsa a 83 anni. Conosciuta come una delle regine del rock, negli anni Sessanta era salita alla ribalta in duo con l’allora marito Ike. Dopo anni di successi e di violenze, ha proseguito da solista con hit come Proud Mary e The Best. A inizio anno se ne era già andato il chitarrista e cantautore David Crosby, fondatore dei Byrds e del trio Crosby, Stills and Nash.

Gianluca Vialli, uno dei simboli dello sport italiano, è invece morto a 58 anni per un tumore al pancreas contro cui combatteva da tempo. Tra i migliori centravanti della sua generazione, è stato anche allenatore, dirigente e capo delegazione della nazionale nell’Europeo vinto con Mancini. Alla sua scomparsa si è aggiunta quella di Carletto Mazzone, amatissimo allenatore di calcio con l’Ascoli, la Roma di Totti e il Brescia di Baggio e Pirlo.

Il mondo della cultura

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A giugno è venuto a mancare lo scrittore americano Cormac McCarthy, autore della Trilogia della frontiera, di Non è un paese per vecchi (adattato al cinema dai fratelli Coen) e del post-apocalittico La strada (per cui vinse il Pulitzer). Più volte si era parlato di lui come di un papabile Nobel. Un mese dopo è scomparso lo scrittore ceco Milan Kundera, 94 anni, famoso per L’insostenibile leggerezza dell’essere e per opere tradotte in 40 lingue.

L’Italia è stata invece scossa dalla morte – attesa ma non per questo meno dolorosa – di un’intellettuale a tutto tondo come Michela Murgia, autrice di Accabadora (con cui ha vinto il premio Campiello) e Chirù. Scrittrice, drammaturga, opinionista, aveva parlato pubblicamente della sua malattia e trasformato gli ultimi mesi in una grande testimonianza “politica”.

Nell’ultimo anno sono passati a miglior vita anche il filosofo Gianni Vattimo, padre del “pensiero debole” in contrapposizione alla metafisica tradizionale, e da ultimo Toni Negri, teorico del marxismo operaista e cofondatore di Potere operaio, ma anche uno dei “cattivi maestri” degli anni di piombo. A loro si aggiunge il sociologo Francesco Alberoni, noto per i suoi studi sui movimenti collettivi e i processi amorosi.

Ma è stato un anno nero anche per il giornalismo, che ha dovuto salutare un cronista di razza come Andrea Purgatori, morto a 70 anni dopo una brevissima malattia. In carriera il conduttore di La7 si era occupato di terrorismo, intelligence e criminalità, indagando con tenacia sulla strage di Ustica. Gianni Minà, scomparso a 84 anni, sarà invece ricordato per il suo amore per l’America Latina e le interviste a grandi personaggi, da Fidel Castro a Gabriel García Márquez, da Muhammad Ali a Maradona.

Chi ha fatto la storia

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Il 2023 è stato poi segnato da morti eccellenti tra governanti e presidenti. Il 12 giugno è scomparso Silvio Berlusconi, protagonista di oltre vent’anni di vita politica italiana e l’uomo che più di ogni altro ha diviso il paese tra sostenitori e critici. Capo del governo per quattro volte, parlamentare in sette legislature, proprietario di un impero economico che andava da Mediaset al Milan, negli anni il leader di Forza Italia ha affrontato scandali e processi.

«Sono passati solo sei mesi ma la sua morte sembra lontanissima, già digerita dal sistema mediale – nota Luca Barra – Con l’accelerazione del ritmo dei discorsi, una tendenza degli spazi digitali, lutti simili sono totalizzanti per qualche giorno ma poi si consumano in fretta». La stessa sorte è toccata all’ex capo dello stato Giorgio Napolitano, morto a settembre a 98 anni. Dirigente del Pci di area migliorista, presidente della Camera e ministro, è stato il primo presidente della Repubblica rieletto per un secondo mandato.

Di due anni più vecchio era Henry Kissinger, l’ex segretario di stato americano che ha segnato la politica e la diplomazia nella seconda metà del Novecento. Consigliere per la sicurezza nazionale e uomo influente nell’amministrazione Nixon, fu insignito del Nobel per la pace nel 1973. Ma sarà ricordato anche per i suoi metodi spregiudicati e per le interferenze su governi e leader stranieri, dal Cile all’Argentina, volte a difendere i suoi disegni realisti e in ultima istanza a salvaguardare il potere.

Il mondo della politica lo conosceva bene, ad altri livelli, anche il boss Matteo Messina Denaro, morto di tumore lo scorso settembre a otto mesi dalla sua cattura. L’ultimo padrino di Cosa nostra, pupillo di Totò Riina, è stato un uomo chiave nel biennio stragista del 1992-93 ed è indicato come uno degli artefici della trattativa stato-mafia. Gravemente malato, era stato arrestato a gennaio nei pressi di una clinica di Palermo, dopo trent’anni di latitanza.

Come funziona il successo

Una lista così lunga di lutti, peraltro non esaustiva, non può che portare a chiederci perché così tanti famosi – politici, attori, rockstar – stiano morendo negli ultimi anni. Secondo i dati di Nick Serpell, già a capo della sezione necrologi della Bbc, non è solo un’impressione: il numero di decessi di personaggi noti è effettivamente in crescita. I motivi hanno a che fare con il declino di una generazione e con il funzionamento della popolarità.

Se fino agli anni Cinquanta le celebrità erano promosse dal cinema e dalla radio, nel decennio successivo si diffonde la televisione e inizia l’era della comunicazione di massa. Il numero di artisti che arriva alla ribalta è enorme e in continuo aumento, e questo si lega all’esplosione della musica pop. «Negli anni Sessanta si crea una popular culture condivisa, trasversale rispetto alle fasce d’età ma anche sociali ed economiche. È la notorietà vera, larga e duratura che in futuro sarà più difficile costruire» dice Barra, che coordina un corso di laurea in Informazione, culture e organizzazione dei media.

Quella generazione di artisti che avevano vent’anni negli anni Sessanta e Settanta – i cosiddetti baby boomers, nati tra il ’46 e il ’64 – adesso sono nella settantina avanzata: entrati in una fase della vita in cui le possibilità di morire semplicemente aumentano. A ciò si aggiunge il fatto che nel dopoguerra, anche in Italia, c’è stato un boom demografico. Lo schema quindi è chiaro: più persone nate in un certo periodo, più persone diventate famose, più persone che oggi sono anziane ed è probabile che muoiano.

Il fattore social

Internet e i social network hanno poi moltiplicato gli stimoli, rivoluzionando negli ultimi anni l’accesso ai contenuti musicali, cinematografici e letterari; portandoci ad apprezzare anche personaggi di nicchia di cui in altre fasi non saremmo venuti a conoscenza. Fino a qualche tempo fa una morte minore avrebbe interessato solo una ristretta cerchia di fan. Oggi, invece, le news sulle mini-celebrities arrivano all’attenzione di tutti e ci danno l’impressione che i vip muoiano più di prima.

«Sui media digitali la morte famosa è content, diventa un contenuto. A chi lavora nell’informazione permette di aggiornare il ciclo delle notizie, di fare articoli o creare una gallery. Agli utenti consente di partecipare a un lutto condiviso sui social in modo intenso e anche esagerato, quasi caricaturale» nota ancora Barra. In un momento in cui il consumo culturale si è frammentato in tante bolle, gruppi e sottogruppi, il cordoglio attorno a queste scomparse diventa un modo (forse un po’ pigro) per ritrovare un senso di comunità che in parte è andato smarrito.

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