Da qualche tempo il vicino beve troppo, attacca zia appena prelevati all’aeroporto. Non parla a noi, questo ci è chiaro, non sono cose che si raccontino ai ragazzi della nostra età, alcol e sbronze e quell’amicizia così antica che ormai scricchiola sotto il peso delle sue bevute (una disgrazia, per lei come per Jack), ma dai sedili di dietro la sentiamo egualmente lamentarsi sottovoce con la mamma di quelle visite del tardo pomeriggio, così frequenti e così inopportune, già alticcio ma ben determinato a scolarsi un’altra birra dal frigorifero che tengono accessibile nel patio – e il tutto, per giunta, senza più nemmeno chiedere uno straccio di permesso a chicchessia. Bastasse questo, almeno! Invece, continua zia, con lui non basta mai, non basta nulla. Un attimo ed è già finita. E poi un’altra. E un’altra ancora: fino a quando zio Jack non lo raggiunge giù dabbasso sconsolato, neppure lui sapendo esattamente se è sceso a tenergli compagnia e farsi quattro chiacchiere, come ai bei vecchi tempi, o per controllare che sia tutto a posto.

Anzi, Tom (come si chiama il vicino) da qualche settimana comincia sempre prima e non si ferma fino a quando sua moglie non se lo riporta a casa, chiamandolo dall’altro lato della staccionata con quel tono imperativo che per fortuna con lui funziona ancora, e in coda due frasi gentili rivolte a zia e zio, che se lo sono sorbiti un’altra volta nelle ore più difficili, intanto che lei combatte in corsia con l’ennesimo straordinario della settimana.

La capanna

Ci addolora sentirle raccontare queste cose, perché a noi due Tom è piaciuto sempre. Quando ogni estate a luglio visitiamo la famiglia nei sobborghi di Chicago gli adulti non ci prestano attenzione e le uniche alternative sono i libri di quando Taylor era bambina, i cartoni di Disney Chanel (se zio Jack non si è già immerso nel suo baseball) o qualche videogioco dal telefono di mamma, a turni di venti minuti ciascuno, scanditi in anticipo col timer in modo che con Luciano non si finisca un’altra volta a litigare.

È stato in uno di quei momenti di noia dell’estate che, girando per il giardino, un paio di anni prima, abbiamo scoperto la capanna dove Tom tiene i suoi attrezzi da lavoro. A quell’epoca non beveva ancora, passava tutto il tempo libero nel retro della casa trafficando con il legno e costruendo dei mobili elaboratissimi che qualche tempo dopo avrebbe distribuito generosamente tra i vicini. Prima della grande strada a scorrimento veloce, nella strada degli zii, ci sono villette dei colori e delle fogge più diverse, su un piano o su due piani, rivestite in legno o costruite in mattoni chiari, con il garage in vista o occultato sul retro della casa, ma tutte hanno in comune se non altro un tratto: nel salotto di ogni appartamento troneggia almeno un pezzo di Tom, quasi sempre in posizione d’onore, perché si tratta di mobili davvero belli, con quegli elaborati intarsi geometrici nelle infinite gradazioni del tanganica o dell’abete che solo a lui riescono.

Se avesse voluto, avrebbe potuto farci dei bei quattrini!, ripete sempre la zia Gina in questi casi. Tom no: si diverte a lavorarci, questi sì, e soprattutto nelle vacanze estive, quando lui e la moglie non si allontanano mai da casa perché – sostengono – amano godersi il giardino in santa pace come negli altri mesi non è mai possibile. E poi, visto che i due piani della casa erano già pieni, e pure nel sotterraneo non rimaneva spazio, aveva preso a regalarli a destra e a manca, rimettendoci per giunta la spesa per il legno. Su questo, poi, era sempre stato categorico: e, per quanto lo pregassero, non aveva voluto che gli rimborsassero nemmeno quella. Caro vecchio Tom! Ma questo, per l’appunto, succedeva prima. Prima che prendesse a bere per davvero.

Quando gli adulti erano immersi nelle loro cose e la mamma andava in giro con la zia a salutare le amiche degli anni del liceo o facevano un salto al centro commerciale per una scorta dei prodotti che faticava a trovare anche in Italia, Tom si divertiva a mostrarci la sua prodigiosa collezione di martelli, pinze, cacciaviti, morse, seghetti, pialle. Non avevamo mai visto una cosa simile, nostro padre andava celebre per la sua leggendaria impraticità e a casa non cambiava neanche le lampadine lasciando che fosse nostra madre a istruirci sugli incomparabili vantaggi della parità tra i sessi. Ignoravamo i nomi di quegli strumenti anche in italiano, oltre alla funzione (a che serviva quella lama quadrata, per esempio?), ma Tom non smetteva di illustrarceli.

Non sapevamo come ci riuscisse: non interrompeva mai il lavoro, e persino quando ci dava le spalle sapeva esattamente quale pezzo stavamo adocchiandolo in quel momento, per poi lanciarsi in una spiegazione dettagliata dei suoi usi molteplici, e delle sue virtù. D’altra parte perché stupirsi? Quello per noi era l’antro di un mago, il mago Tom, e lui pareva non stancarsi mai di elencarci le proprietà soprannaturali di quegli aggeggi così insoliti. Quando più tardi ne parlavamo a mamma, scoprivamo che spesso nemmeno lei conosceva tutti quei nomi, anche se il nonno e due dei suoi zii in gioventù avevano fatto i carpentieri e il legno era entrato nel patrimonio genetico della famiglia americana da almeno tre generazioni.

Un problema

Poi Tom ha cominciato a darci dentro con la birra. È successo l’anno scorso, dopo che ha perso il lavoro. I malevoli dicono che è stato per via dell’alcol, la fiaschetta di whiskey per tenersi al caldo nei giorni che la temperatura scende sotto lo zero, ma su questo punto invece zia lo difende sempre. No, prima è venuto quel licenziamento così improvviso e così inaspettato, e solo poi le birre, le troppe birre, che, da due o tre, in capo a qualche mese sono già diventate sei o sette, forse di più, perché vallo a sapere che cosa beve quando è solo a casa e non c’è chi lo tiene d’occhio. Tom ha trovato un nuovo posto prima di Natale, perché è normale che uno bravo come lui non rimanga a lungo a spasso, ma qualcosa, dopo il buco nero di quei mesi, si è come incrinato.

Non lavora più con la stessa dedizione, e anche con loro, dice la zia, si è fatto insolitamente silenzioso. Recupera un poco del suo tradizionale buon umore solo alla sera, quando l’alcol prende il controllo delle sue reazioni e lui allora torna a sorridere e a scherzare, al massimo impastando le parole in modo incomprensibile. Allora chi gli ha voluto bene tanti anni in quell’allegria torna a riconoscerlo. Per il resto, invece, sembra diventato un altro. Soprattutto, adesso passa sempre meno tempo nel suo laboratorio, mentre continua a bere al ritmo di quando se ne stava a casa tutto il giorno sfaccendato, con la sola differenza che adesso concentra le lattine nel tardo pomeriggio e nella sera, quando ritorna dal cantiere dove rimane a secco tutto il giorno… È sorprendente quanta birra possa scolarsi sul patio degli zii, prima di rientrare a casa barcollante al cenno della moglie. Grugnisce, ringrazia (è quel grugnito il suo ringraziamento) e se ne va. Così ogni volta.

Anzi, riprende Gina, nell’ultimo periodo Tom è peggiorato ancora. La moglie è esausta, ma i suoi comportamenti stanno diventando un problema pure per il vicinato. Per questo gli hanno chiesto espressamente di non passare quella sera, anche se sanno quanto gli siamo affezionati noi ragazzi. Può essere impegnativo governarlo, soprattutto dopo la terza lattina (più tutte quelle che a quel punto si è già scolato a casa, prima di passare), e zia Gina e zio Jack non sognano oramai che qualche ora tranquilla per chiacchierare assieme a noi in santa pace… Domani, senza dubbio: per salutare Tom non mancheranno certo le occasioni. Mentre per questa sera, in nostro onore, ha fatto persino la torta di formaggio con il rivestimento di marmellata di fragole e la base di biscotti come piace a noi! (L’ultima frase è pronunciata deliberatamente a voce più alta, per essere sicura che l’informazione arrivi anche ai posti dietro).

Siamo tornati

Abbiamo dormito durante il tragitto e adesso ci sentiamo pronti per la gran serata, nonostante il primo giorno la mamma abbia sempre gran fretta di metterci a letto presto per chiacchierare meglio con la zia. Papà ci raggiungerà solo tra una settimana e le sorelle approfittano dei primi giorni per raccontarsi tutto quello su cui non si sono potute aggiornare nei mesi precedenti, quando le telefonate in video hanno un tono prevalentemente pratico. Zia Gina ci ha prelevati al volo sotto la pensilina, abbiamo caricato le valigie e un attimo dopo eccoci che già sfrecciamo su una strada a otto corsie. Da entrambi i lati grandi insegne multicolori e le fotografie giganti di avvocati specializzati negli incidenti sul lavoro e nei tamponamenti. Intanto, dall’autoradio, gli accordi di una canzone country ci cullano a bassissimo volume dall’autoradio. Sì, è proprio l’America. Siamo tornati: un’altra volta.

Poi comincia la sequenza delle villette allineate, con i faccioni del presidente e dell’avversario del presidente esposti in bella vista, dato che questo – lo sappiamo persino noi – è un anno elettorale. Una chiesa. Un ufficio postale. Alcune rivendite di auto straniere. Il centro commerciale a ferro di cavallo, e col parcheggio in mezzo. Finché, tutto a un tratto, le villette riprendono, zia svolta dolcemente a destra e dieci metri più in là ci deposita altrettanto dolcemente davanti a casa, tra il grande olmo e la scritta bianca rossa e blu che invita perentoriamente i passanti a votare di nuovo per il presidente.

È tutto come ce lo ricordavamo dalle estati prima. Anche il nuovo cane, Jagger, è solo una copia un poco più piccola e più giocherellona del gigantesco bernese che ci terrorizzava da piccoli con la sua tenerissima irruenza. Winston è morto nei giorni più freddi dell’inverno e gli zii lo hanno sostituito tempestivamente con un cucciolo della stessa razza, che in pochi mesi ha superato già i quaranta chili. Noi a Milano non abbiamo un animale, mamma ripete sempre che in un appartamento come il nostro non è possibile, ma per fortuna abbiamo già imparato con Winston come ci si deve comportare con un bestione della sua stazza. Basta presentare le nostre mani stese e lasciare che se le lecchi tutte, mentre la zia continua a ripetergli, monotonamente, come per rassicurarlo: – Good, Jagger. Good. Good boy –. Con l’energia che si ritrovano i cani come lui potrebbe scaraventare facilmente in terra anche un adulto, ma adesso Jagger ci conosce, sa che siamo amici, e non ci farà più alcun male.

In famiglia zio Jack ha fama del giocherellone: scherza su tutto, e pure per questo, evidentemente, è il preferito dei cani e dei bambini. Ci viene incontro nel salotto con una delle sue solite battute (questa volta fa finta di pensare che nell’inverno abbiamo dimenticato il nostro inglese), controlla che da qualche parte non ci sia, nascosto, un cappellino dei White Sox (dato che in famiglia, per tradizione, tifiamo tutti per i Cubs) e ci chiede se vogliamo unirci a lui per bere assieme qualcosa prima della cena, offrendoci, come fa sempre in questi casi, la scelta tra un bicchiere di bourbon e un gin tonic. Grande zio! Non è cambiato per niente in questi mesi.

Finché, mentre zia ci porta le solite aranciate con le cannucce e i cubetti di ghiaccio, attacca pure lui a lamentarsi di Tom con mamma. Quante parolacce che dice! Come sempre, per la verità: senza badare alla presenza dei nipoti. Solo che questa volta sembra arrabbiato per davvero, e a noi dispiace sentirlo parlare in questo modo del nostro adorato Tom. Ubriacone qui. Fannullone lì. È una vera arringa. Anzi adesso quasi grida, perché, nonostante la ripetuta richiesta di dargli tregua per una sera, quel matto di Tom si è piazzato lo stesso sul terrazzo e Jack non è riuscito a liberarsene prima della seconda birra. Ancora cinque minuti e a forza di ronzargli attorno gli rovinava addirittura il barbecue! Una iattura. Una vera iattura. E poi ci lascia per sorvegliare ancora la cottura della carne.

Sappiamo che in America si mangia presto e nonostante gli innumerevoli snack dell’aereo e gli orologi italiani che ci ricordano che per noi è tardissimo, abbiamo tutti una gran fame: le costine di maiale alla griglia sono una delle specialità di casa e l’odore della brace ci avvolge tutti mentre la zia si dà da fare col tappo del prosecco e lo zio continua a riempirci i bicchieri di Coca Cola in spregio a un preciso interdetto della mamma. Avevamo dimenticato invece le cicale. Ogni anno ci stupiamo che gli zii riescano a sopportare un rumore così assordante come niente fosse. Quando eravamo più piccoli glielo abbiamo pure chiesto, perché vivono lì, perché non se ne vanno, ma poi mamma ci ha spiegato che non è una domanda gentile da farsi e adesso abbiamo imparato a tenerci certi nostri dubbi per noi solo. Un tale frastuono! Mentre loro non sembrano nemmeno più badarci. Come ci aveva detto mamma l’anno scorso, col tempo ci si abitua a tutto. E poi, a parte le cicale, questo è un quartiere tranquillo e molto ambito, dove puoi lasciare la porta di casa aperta senza preoccuparti perché conosci tutti e sai sin troppo bene che anche così non ti succederà mai nulla. Intanto la cena è quasi pronta.

L’arrivo

Stiamo finalmente per assaporare le nostre succulente costine di maiale con la salsa dolce e quasi collosa che fanno solo qui, di quel marrone scuro che fa tanto pensare al miele di castagno (ma non è miele e si accompagna a uno speciale retrogusto affumicato), quando vediamo a un tratto la smorfia dello zio Jack. È Luciano a notarlo per primo e a indicarmi col capo in direzione della staccionata senza una parola, come facciamo a volte tra fratelli. Ma quello… ma quello è Tom! Tom che avanza dritto dal suo lato del giardino per darci il benvenuto. Il caro Tom, col quale abbiamo passato tanti pomeriggi nel retro della casa a farci insegnare come si lavora il legno.

Anche se capiamo che lo zio è ancora adirato, non possiamo fare a meno di alzarci per dargli il nostro abbraccio. Tom! Tom! Non ci vuole molto per capire che ha bevuto molto, io non ho mai visto prima un uomo ubriaco per davvero (e certamente Luciano ancora meno), ma anche solo dai film e dai fumetti lo si capisce subito, Tom ha continuato a bere a casa e anche adesso non pensa chiaramente ad altro, noi due e la mamma siamo solo una scusa per unirsi al gruppo e, col pretesto di celebrare tutti assieme il nostro arrivo, scolarsi un altro paio di birre in compagnia. Jack non dice nulla questa volta ma si vede egualmente che è proprio nero: ci vuole proprio a capire che questa mossa non se l’aspettava, era stato chiaro e pensava non ci fossero problemi, chiarito, risolto, mentre la nostra presenza lo paralizza, e adesso nemmeno trova le parole per fargli capire che stasera no, che è una riunione di famiglia e noi vogliamo starcene da soli questa sera. Anzi, più noi due sentiamo che Jack è furibondo, più ci divertiamo a riempire Tom di attenzioni: in un attimo Luciano è davanti al frigo e prima che gli adulti possano fermarlo ha già agguantato una birra che offre a Tom invitandolo a sedersi accanto a noi nonostante l’occhiata omicida con cui, dalla sua poltroncina all’altro capo della tavolata, adesso ci folgora la mamma.

Cultura

7 e mezzo

Naturalmente Tom non si fa pregare e si accomoda in un angolo, silenzioso e per niente molesto a dire il vero, insomma diverso da come lo rappresentava zia con mamma ma diverso anche da come ce lo ricordavamo noi, anzitutto nel fisico, più grasso e come gonfio, per non parlare dei suoi silenzi prolungati, inimmaginabili solo un paio di anni fa, quando non la smetteva di illustrarci il modo corretto di maneggiare la pialla elettrica per non rimetterci una falangina nell’operazione. A dire il vero neanche zio Jack è molto loquace: si vede che è adirato, altroché, ma non dice niente, lasciando che siano piuttosto nostra madre e Gina a portare avanti la conversazione per l’intera tavolata, ma specialmente mamma, che si sente in colpa per la bravata di Luciano e prova a rimediare come può, coi suoi racconti dell’Italia, del clima che è cambiato e della difficoltà di preparare una colazione come si deve quando ti mancano tutti gli ingredienti giusti.

Tom non parla, perso nella sua birra e in fondo felice di essersi unito alla compagnia come fa tutte le sere anche se nessuno ancora gli ha offerto un piatto e gli ha proposto di trattenersi per la cena, sorridente e senza dubbio inconsapevole delle tensioni che ha scatenato attorno al sontuoso barbecue apparecchiato zio Jack con largo anticipo per celebrare degnamente il nostro arrivo. La carne è tenerissima e i suggerimenti della zia per fare il suo famoso ciambellone di carota sono un altro modo per allentare la tensione e lasciare che Jack sbollisca e si rassegni, intanto che lui traffica con le salsicce e con gli hamburger (il segreto, ci spiega lei, è nella panna acida).

Poi i piatti si riempiono, i bicchieri si svuotano e anche Jack di colpo sembra tranquillo e persino rassegnato alla presenza dell’ospite inatteso, l’unico che non mangia e che non ha nemmeno un piatto e un bicchiere, volesse, caso mai, unirsi pure lui alla cena. Tom però non sembra dispiaciuto, la cosa non lo turba, anzi diresti che la birra, le nostre facce sorridenti e i discorsi sul caldo dell’Italia in giugno sono tutto ciò che desidera in questo primo assaggio della sera. È serafico. E forse nemmeno si è reso conto della furia trattenuta con cui, ancora due minuti, lo zio infilzava le braciole di carne con i forchettoni.

Su, insomma! Il peggio è passato. Di colpo persino la conversazione della mamma e della zia si fa più naturale, lo zio si siede finalmente assieme a noi e senza una parola comincia a farcirsi il panino con una doppia spruzzata di ketchup e di senape. Si sta rilassando, finalmente, e presto sarà di nuovo dell’umore per gli scherzi che tanto piacciono a noi due.

La rissa

Poi, proprio mentre zio addenta il suo hamburger, ecco che Tom si alza in direzione del frigorifero, con la chiarissima intenzione di farsi un’altra birra.

– No. You don’t.

Lo zio si è fatto serio come in tanti anni noi nipoti non lo abbiamo visto mai, serio e un poco addirittura spaventoso, nonostante il grande boccone che non smette di masticare lo renda anche un po’ comico, destra, sinistra, e poi di nuovo a destra, ma ancor di più con quei vistosi movimenti della bocca. E, visto che Tom sembra non avere intenzione di dargli retta neanche stavolta, in un attimo lo vediamo che scatta dalla sedia ed è già in piedi, davanti allo scrigno del suo frigorifero, giusto in tempo per fermargli la mano con un gesto deciso un secondo prima che Tom azioni la maniglia.

– Enough. Enough for tonight. NOW you go.

Nessuno fiata, neanche zia. La mamma ci guarda, con uno di quei suoi sguardi minacciosi che in casi come questo ci avvertono che non è il momento di scherzare e guai a noi se solamente. Per carità! Fossimo matti. Nemmeno Tom, peraltro, sembra capire fino in fondo quel che gli sta dicendo zio, perché lo guarda interrogativo, come se il suo gesto non fosse stato di per sé abbastanza chiaro. Allora zio riprende.

– I told you not to come. Not tonight. We are having a family party. I prevented you. We want to stay by ourselves. Ok? Family reunion. You had your beer: fine. But now you go home. Got it? NOW!

Tom non risponde neanche adesso. Non ha sentito? O semplicemente ha deciso che questa sera non intende proprio dargli retta? Tutto barcollante fa per avvicinarsi ancora al frigorifero, aggirando l’opposizione di Jack che non arretra di un millimetro. Così succede tutto in un attimo, prima che la zia o mamma possano scongiurare il peggio: Jack che trattiene Tom, Tom che lo spinge, Jack che lo avvinghia e Tom che prova a divincolarsi con una gomitata nello sterno, finché è Jack a colpirlo, molto svelto e molto duro, un pugno secco nell’addome e Tom che rotola per terra portandosi con sé l’intera portata della carne, comprese le meravigliose costolette che lo zio ha messo a marinare dal giorno prima. È tutto velocissimo, seguito da una raffica di parolacce e da un paio di calci a vuoto, che zio non riesce ad assestare a Tom solo per l’intervento di zia Gina, determinata a impedire che l’alterco tra i due amici degeneri in una vera rissa.

E ora? Zio Jack è pazzo di rabbia, se non fosse per la zia salterebbe addosso a Tom anche perché mentre si spingevano Tom lo ha graffiato e adesso zio ha una sottilissima striscia di sangue che gli riga il viso. È mamma allora a raggiungere Tom e a dirgli qualche parola sotto voce, molto calma e molto dolce, non sentiamo cosa, ma sembra avere effetto (ha effetto), ancora stordito dall’alcol Tom si rialza e senza un fiato si incammina verso casa, oltre la staccionata, come se tutto quel trambusto (lo zio che lo insegue con i suoi insulti, la carne sul pavimento) non lo riguardasse più.

La cena è rovinata, dice la zia. Rovinata! Mamma allora si affretta a rincuorarla: abbiamo comunque gli hamburger nel piatto, dice, e non tutte le costolette cadute in terra sono irrecuperabili, per chi di noi avesse eventualmente ancora fame. Ma c’è soprattutto lo zio che va calmato, lo zio che continua a prendersela con Tom e con sua moglie, perché è anche colpa di lei, non vede niente, anzi qualunque cosa pur di non riconoscere a sé stessa che razza di ubriacone è diventato suo marito! Fa finta, gira la tesa altrove, anche se poi, quando quel bel tipetto esagera davvero e alza le mani, è la prima a cercare conforto tra le braccia della zia. Sai che lacrime… Ben le sta. E un’altra parolaccia. Finché la mamma cerca di portare la discussione su un altro tema, qualsiasi altro, anzi con zia propongono direttamente di spostarci coi piatti dentro casa, adesso che la carne è tutta cotta e nessuno ha voglia di continuare a mangiare sotto gli occhi allucinati di quel matto.

Dentro casa

Così entriamo dentro e ci sistemiamo alla meglio nel soggiorno, con i nostri hamburger mezzi sbocconcellati e una gran voglia di ridere per quello che è successo che in nessun modo possiamo manifestare con gli adulti. In un attimo la tavola è di nuovo pronta: le costolette sopravvissute, le patatine croccanti appena uscite dalla nuova friggitrice ad aria della zia, le fette di pomodoro e di insalata (per chi li vuole, dei cetriolini americani). Il graffio non è profondo, ci pensa zia a disinfettarlo, anche se un poco comunque brucia, e per Jack è l’occasione di ripartire con i suoi improperi. Si vede che nostra cugina non c’è, o per lo meno che loro in famiglia hanno un accordo diverso da quello che abbiamo stabilito noi a Milano, un euro per ogni parolaccia che papà pronuncia ad alta voce e il salvadanaio della cucina che in due anni q questo punto è quasi pieno.

Se zia è soprattutto costernata, e non smette di scusarsi, mamma si impegna il doppio affinché ci si lasci dietro al più presto quello sgradevole incidente. Succede: queste sono cose che succedono in tutto il mondo (anche se a Milano non abbiamo mai visto una cosa simile, mai, probabilmente anche perché nel nostro palazzo coi vicini ci limitiamo a dirci buongiorno e buonasera in ascensore). Poi, per sciogliere la tensione, si mette a parlare dei pacchetti che abbiamo portato per tutta la famiglia, con il chiaro intento di distrarre Jack e Gina dai loro pensieri cupi sulla brutta piega che ha preso l’amicizia con quel simpaticone del vicino Tom. Li apriremo dopo cena, dice: senza aspettare la festa prevista per domenica col resto dei parenti. E tanto peggio per chi si rovina la vita annegando nell’alcol i suoi dispiaceri!

Il primo a sentire il rumore questa volta sono io. Dei colpi sordi, fuori. Mi alzo in piedi e faccio segno agli altri di tacere. Sì, alla porta: sempre più netti. Cosa…? Finché in un attimo è tutto chiaro. Si tratta di Tom. È tornato, e ha preso ad inveire contro Jack.

– Come out! Son of a bitch. Come out if you’re a man.

Nessuno si muove. Questa proprio non ce la aspettavamo. Intanto le urla continuano.

– Son of a bitch! Come out. Come out and I’ll teach you some respect.

Poi mamma e zia devono pensare la stessa cosa (non per niente sono sorelle): si alzano contemporaneamente, tutte e due, come per mettersi in mezzo e trattenerlo nel caso venga a zio l’idea di uscire e andare ad affrontare Tom in terrazzo. Lo zio Jack non è il tipo che si lascia insultare in questo modo, e adesso c’è il rischio che la serata finisca davvero in una rissa. Ed è strano, stranissimo, perché Luciano ed io abbiamo paura, questo è chiaro, in vita nostra non ci siamo mai trovati davanti a due adulti che fanno a botte, ma al tempo stesso avvertiamo l’eccitazione del pericolo, il sangue che tutto ad un tratto ci pompa più veloce nelle vene...Non è una sensazione sgradevole, mi tocca ammettere. Quanto a Jack, non dice ancora nulla, ma si è alzato e improvvisamente assomiglia a un toro, la metamorfosi è così evidente!, respira con le narici dilatate e il collo che pare il doppio del suo solito, per non parlare del colore del viso, paonazzo come se avesse preso sole in spiaggia l’intero pomeriggio.

Gli insulti intanto non si interrompono: – You, son of a bitch! You, bastard. Come out! –. Ci va? Esce davvero? Non pensiamo ad altro, e alla comicità di mamma e zia che già si preparano a fermarlo se per caso a Jack decidesse di uscire veramente sul patio con Tom in quelle condizioni. Poi alle nostre spalle comincia un rumore diverso, più cupo e più acuto al tempo stesso. La porta, senza dubbio. Ed è Luciano questa volta a urlare: – He has a hammer! – Sicuramente uno dei tanti martelli da falegname con cui ancora l’anno scorso fabbricava quei suoi mobili così eleganti.

Un altro colpo. E poi un altro. La porta è troppo resistente perché Tom riesca ad aprirsi un varco, e forse nemmeno gli interessa, ci vuole spaventare, ecco, e ci spaventa, almeno noi ragazzi, ci spaventa eccome, con quegli scoppi violenti contro il legno che ogni volta fanno tremare l’intero appartamento. Se non altro questo basta a persuadere zio a rimanere dentro: non si tratta più di un diverbio tra due vecchi amici che hanno bevuto troppo e che domani, passata la sbronza, faranno pace. Questo è un pazzo, un malato! Uno che non controlla più le sue reazioni.

L’argomento della zia funziona. E ora che zio Jack è stato convinto a rimanere dentro e che mamma ha verificato che anche la porta davanti è chiusa col paletto, non ci resta che aspettare che Tom si calmi e vada a casa (sempre che non gli venga in mente di forzare una finestra…). Qui però zia ha una grande idea. Margot le ripete sempre che non c’è da preoccuparsi con suo marito? Bene: facciamo un bel filmetto, e poi vediamo se in futuro avrà ancora il coraggio di ripeterle che Tom ha superato i suoi problemi… Ride, ridiamo tutti. E poi in un attimo eccoci assieme lei al primo piano a riprendere la scena dall’alto, con Tom che continua a brandire nel vuoto il suo martello come fosse un’ascia e affibbia ancora uno o due colpi contro alla porta, ma senza convinzione e quasi solo per tenere il punto. Si sta calmando, ci pare chiaro, ma zia fa in tempo a riprenderlo con gli occhi spiritati e le braccia che vorticano in tutte le direzioni neanche fossero le pale di un mulino a vento. Fatto! E, dling, senza farsi pregare spedisce il video alla moglie di Tom. Più chiaro di così…

Margot controlla raramente i messaggi sul lavoro, ma quella sarà la prima cosa che vedrà una volta finito il turno della sera. No, assicura zia, questa volta la smetterà finalmente di difenderlo con gli argomenti più inverosimili. Già pregusta il momento. Ma è stata fortunata, perché ha fatto appena in tempo, mentre ora, alla stessa rapidità istantanea con cui ha preso fuoco, Tom sembra aver sbollito l’ira e, dopo un ultimo insulto a zio Jack a mezza voce, imbocca la strada di casa oscillando tutto e scompare nel buio oltre la palizzata.

Quando torniamo giù, rimane ancora la cena da finire, la carne si sarà fatta fredda e un poco immangiabile, se non la riscaldiamo almeno un poco nel microonde, avverte mamma. Ci pensa zio, e intanto si serve un generoso doppio whiskey. Se lo è meritato! (Anche se non sa perché). Ma deve pensarlo anche zia Gina se, una volta tanto, guardandolo, non protesta e non gli ricorda la sua cartella clinica.

Niente pericolo

Bene, adesso che il peggio pare passato, l’avventura appena conclusa ci fa tutti ridere. E adesso che zia ha pure spedito a Margot il video del marito, Jack propone di riguardarlo tutti assieme collegando il cellulare con lo schermo della nuova televisione che da un paio di mesi troneggia in bella vista nel salotto, sulla grande credenza intarsiata che Tom ha regalato a zio l’estate che Taylor se ne è andata al college. Che matto! Lui e il suo martello. Eppure una volta era così bravo: un vicino così simpatico e così generoso, sempre pronto a dare una mano a tutti, come quando aveva aiutato zio a ridipingere la facciata e per semplificare il lavoro aveva preso in prestito dal suo principale il camion con la scala elettrica più lunga, per arrivare fino in alto. Un vero vero amico. Un grande amico. Ma ormai quel Tom non c’è più, e questo fa pure più male. C’è solo da sperare che Margot, visto il video, si decida a prendere qualche provvedimento seri prima che Tom combini qualcosa di veramente irreparabile...

Il cavo? Come sempre il problema maggiore è ricordarsi dove lo hanno messo l’ultima volta. Poi, una volta trovato, in un attimo il video è sul computer e da lì sul televisore del salotto. Per noi è facile notare la differenza con nostro padre, che non va oltre il pulsante di accensione e i tasti coi canali e col volume, mentre lo zio lo vedi subito che è un vero asso in certe cose e nonostante sia più vecchio è sempre aggiornato sulle ultime novità dei cellulari e del computer. Ed ecco infatti Tom che si agita per noi in formato panoramico, così grande fa persino ridere di più, rosso e gonfio, coi muscoli del collo tutti tesi e quegli occhi gonfi da cattivo dei cartoni, e noi ridiamo appunto, perché non puoi non ridere davanti a una scena come questa, passata la paura in casi del genere non rimane che il ridicolo, e anche il ferro del martello adesso sembra finto, soprattutto per il modo maldestro con cui Tom lo maneggia, da vero ubriaco, fino al momento in cui torna a percuotere un’ultima volta la superficie della porta, che trema tutta e diffonde un’altra volta per l’intera casa quel rumore sordo, come farebbe un corpo contundente vero. Il più sorpreso sembra proprio lui. Deve essersi reso conto che stava esagerando proprio a quel punto, ma per fortuna zia ha colto perfettamente l’intera scena con lo zoom, andando a chiudere l’inquadratura sul suo volto per mostrarcelo confuso e un poco disperato, come se di colpo Tom non si riconoscesse più nell’uomo dagli occhi iniettati di sangue che sta prendendo a martellate la porta di casa di quello che, a conti fatti, potrebbe essere il suo migliore amico. Brava la zia, davvero brava.

Già: la zia. Che fine ha fatto? Stava cercando il cavetto anche lei, è andata in bagno, e non è ricomparsa più in salotto. Strano. Dobbiamo preoccuparci? Per un attimo corre per il divano un unico brivido di paura: la mamma, zio Jack, noi due, ma poi ci ricordiamo che tutte le porte sono state sigillate con la massima attenzione, e che a questo punto Tom se ne è tornato già da un pezzo a casa sua. Niente pericolo.

No, possiamo stare tranquilli: qui dentro siamo sani e salvi, nessuno ci farà del male, ma poi Jack si mette lo stesso a chiamarla, senza apprensione e più che altro perché vuole che pure lei si goda lo spettacolo e rida assieme a noi quando tra un attimo riguarderemo tutti assieme il video. Si alza. – Gina? Ginaaaa? – Ancora niente. Così, per gioco, ci uniamo al coro pure noi. – Gina? Ginaaaa? Come have fun with us! – Che risate! E in effetti Gina adesso appare, con il cellulare in mano e la faccia di una che ha appena incontrato una mezza dozzina di Tom armati di motosega elettrica. – You can’t even guess what you’ve just missed –, le dice allora zio, mentre lei non stacca la faccia dallo schermo. – Well? – Lo zio sembra deluso: non è da lei fare così. Ma poi finalmente zia Gina alza gli occhi dal telefono, ci guarda e dice, con un’espressione al tempo stesso assente e definitiva: – Somebody shot the president!

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